Fondo crediti di dubbia esigibilità, si calcola sui residui dell’ultimo quinquennio

il sole24ore
19 Dicembre 2019
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di Carmelo Battaglia e Domenico D’Agostino

Con la Deliberazione n. 102/2019/PRSE, la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Lazio, ha ricordato il principio contabile in forza del quale il metodo di calcolo per la quantificazione del fondo crediti di dubbia esigibilità (Fcde), da accantonare a rendiconto, deve prendere a riferimento il valore dei residui dell’ultimo quinquennio, non gli stanziamenti delle risorse da svalutare iscritti nel bilancio di previsione. La Corte ha, anzitutto, ricordato che l’art. 148-bis, Dlgs 267/20003 – introdotto dall’articolo 3, comma 1, Dl 174/2012, convertito con legge 213/2012, – ha rafforzato l’obbligo, per le Amministrazioni controllate, di rimuovere le irregolarità accertate dalle Sezioni regionali di controllo. La cogenza di detto obbligo viene assicurata dall’assegnazione all’Ente di un termine breve (60 giorni) per la comunicazione dei provvedimenti adottati alla Sezione, la quale è competente a verificare se gli stessi siano o meno idonei a consentire il superamento delle irregolarità accertate, e dalla previsione di una specifica misura cautelare (la preclusione del programma di spesa) nel caso in cui l’Ente non provveda alla trasmissione dei suddetti provvedimenti o la verifica dia esito negativo. Inoltre, può essere assegnato all’Ente un termine breve per adeguarsi alle indicazioni fornite dalla Sezione, in tutte le fattispecie nelle quali la tempestività nell’adozione di provvedimenti, idonei a rimuovere le irregolarità accertate, sia funzionale a garantire l’efficacia degli stessi e il pronto ripristino delle condizioni indispensabili ad assicurare effettivi equilibri di bilancio, indipendentemente dal concretizzarsi delle condizioni necessarie per l’applicazione della sanzione tipizzata. Con riferimento al caso in esame, la Sezione ha evidenziato che uno scorretto criterio di calcolo comporta un accantonamento sottostimato del Fcde, che può protrarre i suoi effetti nella quantificazione del fondo accantonato nel rendiconto degli esercizi successivi, qualora l’Ente locale abbia scelto di adottare, come metodo di calcolo, il criterio semplificato previsto dal Dm 20 maggio 2015. Inoltre, per una sana gestione finanziaria, la Corte ha sottolineato come sia necessaria l’evidenziazione, nei rendiconti, dei vincoli di cassa delle entrate aventi specifica destinazione e la conseguente garanzia della ricostituzione degli stessi vincoli per le entrate eventualmente utilizzate per una destinazione diversa. In ordine alla necessità di quantificare correttamente il fondo crediti di dubbia esigibilità, per rimediare all’accantonamento sottostimato del fondo, è possibile disporre una variazione di bilancio per l’adeguamento del relativo stanziamento nel bilancio di previsione,  con una maggiorazione che sopperisca alla carenza strutturale accertata, nonché rideterminare l’importo del fondo crediti dubbia esigibilità accantonato nel relativo risultato di amministrazione, avvalendosi della facoltà – concessa dall’articolo 2, comma 6, del Dl 78/2015 – di utilizzare la quota accantonata nel risultato di amministrazione per sterilizzare le erogazioni ricevute, ai sensi di quanto disposto dall’art. 1, Dl 35/2013, a titolo di anticipazioni di liquidità a valere sul fondo, per assicurare la liquidità per i pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili. La Corte, pur nella consapevolezza che il citato art. 2, comma 6, del Dl 78/2015 è oggetto di una questione di legittimità costituzionale non ancora decisa – sollevata con ordinanza n. 5/2019/EL delle Sezioni Riunite, in sede giurisdizionale in speciale composizione -, ha ritenuto che tali operazioni, poste in essere dagli Enti, allo stato, non possano essere censurate.

Rassegna stampa in collaborazione con Mimesi s.r.l.

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