di Marco Magrini Benedetto Santacroce
Non deve essere dimenticato che uno degli obiettivi del legislatore è garantire un tempestivo flusso dei pagamenti sulle forniture e una regolare e costante gestione contabile, ostacolando solo i comportamenti fraudolenti e gli errori macroscopici non sanabili dei fornitori, al contempo eliminando tutti gli strumenti dilatori ingiustificati delle amministrazioni per ritardare il pagamento o procrastinare il concretizzarsi dell’operazione e/o il concludersi del relativo procedimento amministrativo. Proprio in questo senso la Pa se abituata a utilizzare il rifiuto della fattura per ritardare l’esecuzione dei relativi pagamenti, dovrà più correttamente, in caso di contestazione, aggiornare la posizione del fornitore e intervenire sulla piattaforma dei pagamenti (Pcc) indicando la motivazione dei relativi ritardi.
Il rifiuto della fattura è ora legato solo a specifici casi elencati nel decreto. In particolare i casi sono relativi:
alla generalità della Pa committenti, di fatture elettroniche riferite ad operazioni che non sono state poste in essere a favore della Pa destinataria della trasmissione (lettera a) con omissione o errata indicazione del Codice identificativo di gara (Cig) o del Codice unico di progetto (Cup), previsti dal tracciato della fatturaPa (articolo 35 Dl 66/14), quando richiesti (lettera b);
a regioni ed enti locali, di omessa o errata indicazione del numero e data della determinazione dirigenziale d’impegno di spesa (lettera e);
a forniture in sanità, per l’omessa o l’errata indicazione del codice di repertorio (lettera c) o del codice e quantitativo Aic (lettera d).
Pertanto in queste ipotesi il rifiuto potrà essere affidato a una gestione automatizzata senza necessità di particolare valutazione da parte della Pa destinataria della fattura. Occorre però fare alcune considerazioni.
Il decreto stabilisce, poi, un’altra regola di particolare rilevanza. Infatti, quando la situazione d’irregolarità della fattura si può regolarizzare con l’emissione di una nota di credito (articolo 26 del Dpr 633/72) questa resta, al di fuori dei casi di rifiuto, l’unico mezzo possibile per innescare un dialogo di rettifica del documento con il fornitore. Ovviamente in tali casi la pubblica amministrazione potrà, con mezzi alternativi al sistema d’interscambio, richiedere al fornitore l’emissione di una nota di credito. Come si ricorda, infatti la nota di credito sia in aumento che in diminuzione può essere emessa sempre da colui che ha trasmesso la fattura al cessionario/committente.
Le situazioni, però, che rendono compatibile l’emissione della nota di credito in base alle previsioni dell’articolo 26 del Dpr 633/72, sono solo quelle, come ha ribadito l’agenzia delle Entrate con la risposta 208/E/2019, relative ad elementi incidenti nell’ammontare (in aumento o riduzione) dell’imponibile di un’operazione o quello della relativa imposta, anche in ragione del differente trattamento Iva applicabile. Negli altri casi, compreso quelli di correzioni di errori materiali e di calcolo, le variazioni possono essere effettuate con annotazioni interne in rettifica sui registri Iva (quando l’operazione rientra nella sfera commerciale del committente).
Rassegna stampa in collaborazione con Mimesi s.r.l.
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