L’ordinazione di prestazioni di servizi, non coperte dall’impegno contabile, radicano la responsabilità nei confronti dell’ordinante che ben può esercitare l’azione di rivalsa, per ingiustificato arricchimento, nei confronti dell’ente locale che, con delibera dell’organo esecutivo aveva, nel frattempo, riconosciuto il debito. La Cassazione (ordinanza n.19821/2022) nel giudicare inammissibile il ricorso ha confermato le conclusioni della Corte di appello secondo cui la sola responsabilità non poteva che essere intestata nei confronti dell’ordinante.
La vicenda
Un’Associazione culturale ha convenuto in giudizio il Presidente di una Comunità Montana per il pagamento dei costi aggiuntivi supportati per l’organizzazione di una manifestazione espositiva di prodotti artigianali. L’azione diretta nei confronti del solo Presidente discendeva dalla mancata approvazione della deliberazione delle maggiori somme richieste per l’evento, a nulla rilevando una deliberazione dell’organo esecutivo (privo di competenza) che ne aveva accertato l’utilità. L’associazione, pertanto, ha chiesto di accertare che il rapporto oggetto di causa era intercorso col Presidente, il quale aveva azione di rivalsa ex art. 2041 c.c. nei confronti della Comunità Montana per quanto tenuto a pagare all’attrice, e di condannare il predetto Presidente e la Comunità Montana, in solido, al pagamento della somma richiesta.
Il Tribunale di primo grado, in parziale riforma di quanto richiesto ha disposto la condanna del solo Presidente, sentenza questa confermata anche in sede di appello.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso il Presidente lamentandosi della mancata prova documentale e/o testimoniale, certa e intangibile, di una sua presunta responsabilità in merito all’autorizzazione alla spesa. Né è possibile accertare la sua responsabilità a fronte dell’approvazione da parte dell’Organo esecutivo che era intervenuto al solo fine di verificare la possibilità di un riconoscimento ai sensi dell’art. 194 Tuel. In altri termini, non era e non è possibile condannare né l’ente montano, né gli eventuali amministratori o funzionari che avrebbero commissionato la spesa, dal momento che non è assolutamente provata né la commissione di ogni specifica prestazione né l’ammontare di spesa autorizzato sia pure irregolarmente. D’altra parte, conclude, evidenziando che se si dovesse ritenere la delibera della Giunta esecutiva un atto autorizzativo in sanatoria (non previsto dall’ordinamento degli enti locali), la condanna al pagamento del maggiore importo richiesto dall’associazione, non poteva essere posta esclusivamente a carico del Presidente ma doveva essere statuita nei confronti dei componenti l’organo esecutivo che hanno riconosciuto, sebbene solo in linea di massima, l’utilità della prestazione.
L’inammissibilità
Secondo i giudici di Piazza Cavour il ricorso è inammissibile. Il ricorrente, infatti, non ha denunciato specifici errori di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte, ma si è limitato a contestare genericamente la correttezza dell’applicazione dell’art. 191 D. Lgs. n. 267/2000 sull’assunto della sua sostanziale estraneità ai fatti e, altresì, del difetto di prova adeguata del credito vantato dall’Associazione. In questo caso, ha chiesto una rivisitazione dei fatti della vicenda e, in tal modo, ha sollecitato la Corte a un non consentito nuovo apprezzamento di merito.
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