Danno erariale se l’assunzione nei ruoli della PA è avvenuta con titolo non veritiero

La falsificazione del titolo di specializzazione richiesto per l’assunzione nel concorso pubblico, qualora da un controllo postumo dovesse risultare falso, in quanto contraffatto, comporta la decadenza dell’assunzione e il danno erariale da quantificare pari alle retribuzione percepite, al lordo delle ritenute previdenziali ed erariali.

12 Marzo 2021
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Secondo la Corte dei conti della Sicilia (sentenza n.211/2021) la falsificazione del titolo di specializzazione richiesto per l’assunzione nel concorso pubblico, qualora da un controllo postumo dovesse risultare falso, in quanto contraffatto, comporta la decadenza dell’assunzione e il danno erariale da quantificare pari alle retribuzione percepite, al lordo delle ritenute previdenziali ed erariali.

Il caso

La Procura della Corte dei conti ha citato in giudizio una docente di sostegno di alunni con deficit psico-fisici, responsabile di aver prodotto un certificato di specializzazione contraffatto e non veritiero, in assenza del quale la docente non avrebbe conseguito l’immissione in ruolo. La Procura ha quantificato il danno pari alle retribuzioni percepite, in quasi cinque anni di insegnamento. La dipendente si è difesa, tra l’altro, evidenziando l’illegittimità della restituzione degli stipendi percepiti, in quanto in aperta violazione delle norme poste a tutela del lavoratore (art.2126 c.c.), trattandosi di diritti primari (di ordine patrimoniale) del lavoratore, rispondente ai principi costituzionali dell’art. 36 Cost..

La decisione del Collegio contabile

Il Collegio contabile ha condiviso l’azione della Procura. La carenza genetica di un requisito indefettibile per l’accesso alle funzioni di docente di sostegno rende conseguentemente indebito l’esborso stipendiale corrisposto dal datore di lavoro pubblico. In questo caso, infatti, non trova applicazione la disciplina dell’art.2126 c.c. secondo cui “La nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa”. Il concetto di illiceità è stato interpretato dal Giudice delle leggi secondo cui “non può ravvisarsi nella violazione della mera ristretta legalità, ma nel contrasto con norme fondamentali e generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento”. Inoltre, l’inapplicabilità dell’art.2126 del c.c. va, altresì, ricondotta alle finalità che il legislatore intende perseguire con detta previsione, ovvero, esigenza di tutela del lavoratore in buona fede che abbia prestato un servizio di fatto in favore della pubblica amministrazione. Infatti, nel caso di specie non può riconoscersi una tutela in favore di chi, intenzionalmente, ha violato le norme dell’ordinamento preposte all’instaurazione di un valido rapporto di lavoro per trarne un vantaggio ingiusto. Pertanto, la causa del contratto di lavoro sottoscritto in assenza dei requisiti necessari per legge alla instaurazione del relativo rapporto di lavoro deve ritenersi, in concreto, illecita per contrarietà a norme imperative e, nel caso in esame, non può conseguentemente riconoscersi alcuna tutela accordata dal codice civile.

La quantificazione del danno erariale

In ragione della mala fede serbata dal dipendente all’atto di presentazione dei requisiti per la partecipazione al concorso, il Collegio contabile che l’obbligo di restituzione dell’indebito debba riguardare tutte le retribuzioni percepite. Inoltre, la richiesta della difesa della restituzione delle somme percepite al netto dei contributi previdenziali ed erariali corrisposti, non può trovare favorevole accoglimento. Se è vero che potrebbe essere il datore di lavoro legittimato a chiedere la restituzione all’ente previdenziale e, parimenti, la restituzione all’erario delle imposte versate all’erario, altrettanto vero è che nel caso di specie si verte in tema di responsabilità amministrativa, ossia per un danno all’erario quantificato in misura pari alle retribuzioni erogate al lordo in favore di un dipendente infedele. Sulla questione è di recente intervenuta la pronuncia delle Sezioni Riunite della Corte dei conti n. 24 del 2020 che ha espresso il seguente principio “In ipotesi di danno erariale conseguente alla illecita erogazione di emolumenti lato sensu intesi in favore di pubblici dipendenti (o, comunque, di soggetti in rapporto di servizio con la Pubblica Amministrazione), la quantificazione deve essere effettuata al lordo delle ritenute fiscali Irpef operate a titolo di acconto sugli importi liquidati a tale titolo”. Nel caso di specie, pertanto, non può trovare accoglimento la richiesta di riduzione del danno in misura pari alle ritenute previdenziali, posto che le stesse non si risolvono in un vantaggio per l’erario ma vengono introitate nell’esclusivo interesse del dipendente, a copertura dei costi del suo trattamento pensionistico.

In conclusione, la dipendente deve essere condannata a restituire tutte le somme percepite al lordo, oltre la rivalutazione monetaria dalla data di corresponsione di ciascuna delle retribuzioni relative al periodo in contestazione e sino alla data del deposito della presente sentenza, nonché interessi legali sulle somme rivalutate dalla data del deposito della sentenza ora detta e sino al soddisfo.

 

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Stefano Maini | 2020 Maggioli Editore

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