Il ripiano della società in house in perdita, in assenza dei presupposti previsti dal legislatore, conduce al danno erariale non solo del Consiglio comunale che lo ha votato, ma anche del responsabile finanziario che ha espresso il proprio parere positivo di regolarità contabile, del revisore dei conti e, infine, del Segretario comunale. Sono queste le indicazioni della Corte dei conti della Calabria (sentenza n.83/2022) che ha ritenuto tutti responsabile in ugual misura del ripiano delle perdite operate nei confronti della società in house posta successivamente in liquidazione.
Il soccorso finanziario
Il disavanzo emerso in sede di liquidazione della società partecipata, quale debito fuori bilancio approvato dal Consiglio comunale, è stata oggetto di indagine della Procura della Corte dei conti. Secondo quest’ultima, il riconoscimento del de-bito fuori bilancio compiuto con la deliberazione contestata avrebbe avuto luogo in violazione dell’articolo 194, lettera b) Tuel il quale consente “la copertura di disavanzi di consorzi, di aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi, purché sia stato rispettato l’obbligo di pareggio del bilancio di cui all’articolo 114 ed il disavanzo derivi da fatti di gestione”. In altri termini, la Procura ha contestato ai consiglieri comunali che hanno espresso parere favorevole, al Segretario comunale, al revisore dei conti e al responsabile finanziario per i pareri rilasciati, il danno erariale. Si tratterebbe, infatti, di aver sanato il disavanzo della società in house ealizzando un intervento di soccorso finanziario sganciato dai vincoli posti dal legislatore, il quale subordina il recupero offerto: a) alla sussistenza del pareggio di bilancio attraverso il riscontro di un’idonea programmazione; b) alla predeterminazione del budget economico; c) alla verifica che il disavanzo accertato possa ricondursi a fatti gestionali sopravvenuti. Inoltre, poiché nella specie il debito posto a carico dell’ente è stato quello conse-guente alla liquidazione dell’azienda, questo debito sarebbe ancora più difficilmente riconducibile all’espressa previsione dell’art. 194 lett. b) del Tuel che, per le caratteristiche già richiamate, presupporrebbe che il debito sia dovuto a contingenti squilibri di bilancio e il suo ripiano sia funzionale all’obiettivo della continuità aziendale.
Le parti si sono opposte alle conclusioni della Procura anche in sede di giudizio evidenziando che si fosse in presenza di un debito fuori bilancio non di ripieno del disavanzo ma acquisti di beni e servizi senza copertura finanziaria.
La conferma del danno erariale
In via principale il Collegio contabile ha precisato che, il debito fuori bilancio è un’obbligazione verso terzi per il pagamento di una de-terminata somma di danaro, che grava sull’ente e che è stata assunta in violazione delle norme giuscontabili che regolano i procedimenti di spesa degli Enti Locali. In altre parole, sono da ritenersi debiti fuori bilancio le spese che sono state ef-fettuate senza che sia stato assunto un regolare impegno di spesa o che, comun-que, sono state attivate in maniera difforme dalle regole stabilite dal TUEL e dai principi contabili. Sotto il profilo soggettivo, il riconoscimento del debito fuori bilancio è atto di competenza esclusiva del Consiglio comunale. In questo contesto, i responsabili dei servizi hanno l’obbligo di effettuare periodiche rico-gnizioni (art. 193 del TUEL) ai fini di un controllo costante della situazione ge-stionale, teso alla tempestiva segnalazione delle passività all’organo consiliare. Inoltre l’art. 239 del TUEL (nella formulazione introdotta dall’art. 1, co. 3, D.L. 10 ottobre 2012, n. 174) richiede il preventivo parere obbligatorio dell’organo di revisione sulle proposte di delibera consiliare aventi ad oggetto l’approvazione di debiti fuori bilancio.
Da ultimo, i provvedimenti di riconoscimento di debito posti in essere sono poi trasmessi agli organi di controllo ed alla competente Procura della Corte dei Conti (art. 23 comma 5 legge n. 289/2002) e vanno allegati in copia al rendiconto della gestione (art. 193, co. 2 TUEL, d.lgs. n. 267/2000) nel caso in cui siano stati contestualmente adottati provvedimenti per la salvaguardia degli equilibri finanziari.
Tra queste tipologie di debito riconoscibili, nella specie ne vengono invocate due: 1) art. 194 comma 1° lett. b) “copertura di disavanzi di consorzi, di aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costi-tutivi, purché sia stato rispettato l’obbligo di pareggio del bilancio di cui all’articolo 114 ed il disavanzo derivi da fatti di gestione”; 2) art. 194 comma 1° lett. e) “acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 191, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza”.
La Procura ha individuato la prima tipologia, mentre alcuni consiglieri hanno insistito per la seconda fattispecie.
Ora, evidenzia il Collegio contabile, nell’ipotesi ex art. 194 comma 1° lett. e) (acquisizione di beni e servizi) la deliberazione consiliare di riconoscimento deve for-nire la prova dell’utilità, congiunta all’arricchimento dell’ente, e i due requisiti devono coesistere. L’utilità è riferibile ai vantaggi economici che possono attribuirsi con riferimento all’espletamento di pubbliche funzioni e dei servizi di compe-tenza; l’arricchimento, invece, può consistere in un accrescimento patrimoniale o in un risparmio di spesa e corrisponde alla diminuzione patrimoniale sofferta senza giusta causa dal soggetto privato terzo, che deve essere indennizzato nei limiti dell’arricchimento ottenuto dall’ente. Al momento del riconoscimento, il Consiglio deve prendere atto, anzitutto, che l’obbligazione si riferisce a funzioni e servizi di propria competenza, per poi di-chiarare l’effettiva utilità ricevuta dalla prestazione in termini di arricchimento per l’ente. L’accertamento della sussistenza dei predetti elementi attiene alla dimo-strazione dell’effettiva utilità che l’ente abbia tratto dalla prestazione altrui, in termini di misurazione dell’utilità ricavata dalla prestazione di beni o servizi eseguita dal terzo creditore. L’arricchimento non deve essere inteso necessariamente come accrescimento patrimoniale, potendo questo consistere anche in un rispar-mio di spesa (Cassazione Civile, Sezione I°, 12 luglio 1996, n. 6332).
Nel caso di specie, la delibera di approvazione del debito fuori bilancio integra un’ipotesi di riconoscimento del debito fuori bilancio ex art. 194 comma 1° lett. b) e non già ex lettera e). Infatti, tanto nella delibera in esame quanto nei documenti ivi allegati non si fa infatti il benché minimo riferimento ai beni e servizi offerti dalla società in house o al loro valore in denaro, né vi è alcun accertamento degli elementi dell’utilità e dell’arric-chimento. Al contrario, gli atti in questione parlano espressamente di “ripiano di disavanzo”. D’altra parte, può procedersi al riconoscimento del debito ai sensi della lettera e) dell’art. 194 TUEL soltanto nei limiti in cui il bene/servizio acquisito rientri nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza e venga accertata, con delibera motivata, sia l’utilità del bene/servizio, che l’arricchimento che l’attività ha comportato per l’ente. La delibera di riconoscimento del debito ex art. 194 lettera e) richiede, quindi, una specifica motivazione. Nel caso di specie, al contrario, è assente qualsivoglia momento argomentativo in ordine ai requisiti richiesti dall’art. 194 lettera e). La deliberazione contestata in questa sede non reca alcuna menzione dei beni e/o servizi che ipoteticamente si sarebbe inteso saldare, né dell’afferenza alle funzioni dell’ente, né dell’arricchi-mento e dell’utilità che all’ente medesimo sarebbero derivati, e tutte le argomen-tazioni addotte in tal senso negli atti difensivi assurgono a una sorta di motiva-zione postuma del provvedimento, in ogni caso del tutto avulsa e contrastante rispetto alla chiara lettera del provvedimento medesimo nel quale on-tiene ripetuti riferimenti alla circostanza che trattavasi di ripiano di un disavanzo.
Accertata la natura del debito fuori bilancio, essa è stata posto al di fuori del paradigma imposto dal legislatore, con la conseguenza che il ripiano del disavanzo non era preordinato in chiave funzionale a favorire un recupero di efficienza e, in conclusione, nell’ottica della continuità aziendale. Infatti, si trattava del debito conseguente alla liquidazione dell’azienda e in quanto tale lo stesso non è riconducibile all’espressa pre-visione del TUEL che, per le caratteristiche già richiamate, mal si concilia con una situazione nella quale il debito ripianato non appare funzionale ad una scelta mirata verso l’obiettivo della continuità aziendale. In altri termini si è realizzato un accollo di un debito vietato dalla legge.
Tutti i convenuti sono responsabile del debito fuori bilancio che dovrà essere ripartito in parti uguali.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento