Danno erariale per mancata cura del patrimonio dell’ente anche se per fini sociali

6 Settembre 2019
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A seguito della condanna ricevuta in primo grado per danno erariale, il Sindaco, l’assessore di riferimento e il funzionario tecnico, erano stati condannati in quanto responsabili di gravi irregolarità nella gestione del patrimonio comunale e, in particolare, della mancanza di verifiche e controlli circa la sussistenza in capo agli inquilini delle case comunali dei requisiti di legge per fruire dei canoni sociali previsti dalla normativa sull’edilizia residenziale pubblica. Il Segretario, non evocato in giudizio dalla procura, risultava per il Collegio contabile di primo grado corresponsabile delle inadempienze. La sentenza è stata confermata dalla Corte dei conti, III° Sezione giurisdizionale centrale di Appello, con sentenza n.161 depositata il 2 settembre 2019.

La difesa dei convenuti

Pur riproponendo le medesime motivazioni non considerate valide dal giudice contabile di primo grado, i convenuti insistono sul fatto che tutti gli alloggi in questione, in quanto costruiti o recuperati con il concorso dello Stato o della Regione, apparterrebbero, per tale ultima circostanza, all’edilizia residenziale pubblica e perciò sarebbero sottratti alle logiche di mercato e alla normativa statale in tema di canoni di locazione. Sostengono, inoltre, gli appellanti come nel caso di specie non vi fosse alcuna necessità di compiere (da parte del Comune) periodici accertamenti patrimoniali sugli occupanti degli alloggi, essendo la situazione economica di ciascuna famiglia conosciuta in paese.

La conferma della Corte contabile di Appello

I giudici contabili di Appello confermano in pieno le motivazioni della sentenza di primo grado. Rilevano, infatti, come dagli accertamenti effettuati, la Guardia di Finanza ha riscontrato presso gli uffici comunali l’assenza o comunque il difetto di completezza di validi ed efficaci contratti di locazione, di controlli, di verifiche, di formali provvedimenti di assegnazione, nonché della pertinente documentazione. Dal quadro complessivo di questi accertamenti, rileva il giudice di appello, ha disvelato una gestione del patrimonio immobiliare comunale improntata a superficialità, lacune documentali, confusione, assenza di atti formali di assegnazione, assenza di controlli a monte e nel corso del rapporto locativo, mancato adeguamento dei canoni. Una situazione che nel complesso può definirsi di mala gestio. In merito alle doglianze degli appellanti, secondo cui non si sarebbe tenuto conto che trattandosi di patrimonio di edilizia residenziale pubblica, ovvero che tale patrimonio fosse sottratto alle logiche di mercato, secondo la Corte di Appello il fatto non costituisce un dogma immutabile, atteso che l’applicazione dei canoni sociali, nella misura prevista dalla legge, è condizionata dal possesso e dal permanere dei requisiti, anche reddituali, riferiti al nucleo familiare, previsti per l’assegnazione. In sostanza, se è vero che la funzione sociale è connaturata alla stessa finalità dell’edilizia residenziale pubblica, nelle varie forme che essa assume, non è men vero che se vengono meno nel corso del rapporto i requisiti che avevano determinato l’assegnazione, il Comune gestore ha il dovere giuridico di valorizzare il patrimonio e di perseguirne la naturale redditività. Come il primo giudice anche quelli di appello, respingono la tesi che non vi fosse bisogno di accertamenti patrimoniali documentali attesa la “conoscenza” diretta degli inquilini. Né a tal fine è possibile tener conto del fatto evidenziato, in modo stucchevole e privo di valenza giuridica, dagli appellanti secondo cui tali accertamenti (doverosi a norma di legge) avrebbero “ulteriormente mortificato chi è già stato tanto provato dalla vita”.

In conclusione, gli appellanti hanno colpevolmente gestito il patrimonio pubblico, cagionando un danno erariale che con condivisibile motivazione il primo Giudice, con senso di prudente apprezzamento della particolare realtà gestoria, ha quantificato in via equitativa, riducendo significativamente l’addebito posto a carico degli appellanti. Di conseguenza, devono essere respinti tutti i motivi di appello e con conferma della sentenza gravata.

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