Danno erariale da ritardato riconoscimento del debito fuori bilancio

Mentre le Sezioni di controllo della Corte dei conti esortano i Comuni ad attivare tutte le procedure possibili per il tempestivo pagamento dei debiti fuori bilancio, anche bypassando il previo riconoscimento da parte del Consiglio comunale, le Procure regionali iniziano nel rinviare a giudizio i responsabili dei debiti fuori bilancio che hanno visto ritardato i loro pagamenti.

17 Aprile 2018
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Mentre le Sezioni di controllo della Corte dei conti esortano i Comuni ad attivare tutte le procedure possibili per il tempestivo pagamento dei debiti fuori bilancio, anche bypassando il previo riconoscimento da parte del Consiglio comunale, le Procure regionali iniziano nel rinviare a giudizio i responsabili dei debiti fuori bilancio che hanno visto ritardato i loro pagamenti.

I fatti di causa

La Procura tratteneva, tra i vari debiti fuori bilancio comunicati dal responsabile dei servizi finanziari, quello riferito ad una sentenza esecutiva, cui seguiva il pignoramento delle somme presso la tesoreria comunale. In considerazione dell’inerzia nel pagamento del citato debito fuori bilancio, la Procura citava in giudizio il Sindaco che rivestiva anche la carica di responsabile dei lavori pubblici, colpevole di aver cagionato un ingiusto danno patrimoniale all’ente locale di appartenenza con la sua condotta omissiva serbata durante il pur significativo lasso di tempo nel quale aveva ricoperto tali funzioni amministrative. Evidenzia la Procura come la condotta del convenuto era da considerarsi ancor più censurabile in ragione della duplice funzione rivestita (artt. 50 e 107 T.U.E.L.), compresa quella apicale, consistita nella violazione dei doveri di servizio e delle più basilari regole di buona amministrazione che avrebbero dovuto, invece, imporre di dare tempestiva e spontanea esecuzione già alla sentenza di condanna subita dal Comune ed emessa dal Tribunale, al fine di evitare prevedibili aggravi finanziari per le casse comunali per effetto di eventuali conseguenze giudiziarie di carattere esecutivo dall’esito piuttosto scontato.
Il convenuto difende la sua posizione in considerazione della grave malattia che lo avrebbe colpito nel periodo di assunzioni delle cariche, evidenziando sul punto che l’inerzia era proseguita anche quanto non rivestiva più la carica di sindaco e conseguentemente anche quella di responsabile dei lavori pubblici.

Le motivazioni del Collegio contabile

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per il Molise, con la sentenza 13/04/2018 n.24, dopo aver respinto le eccezioni di rito, da ragione alle Procura sull’inerzia mostrata dal convenuto nella liquidazione delle somme dovute da sentenza, in quanto:

  • il Collegio, dall’esame delle risultanze processuali, ha rilevato in modo piuttosto inequivoco che l’oggetto del giudizio è costituito dal preteso danno erariale, di cui si chiede il risarcimento, derivante dalla liquidazione del debito fuori bilancio costituito da un titolo giudiziale esecutivo (nella specie, decreto provvisoriamente esecutivo), ai sensi dell’art. 194, co. 1, lett. a, T.U.E.L.;
  • Infatti, il decreto del Giudice dell’Esecuzione che liquidava le somme dovute, discendeva dalla notifica del titolo esecutivo di fonte giudiziale, costituito dalla sentenza, dal successivo atto di precetto e, infine, della citazione per pignoramento presso terzi, vale a dire il Tesoriere comunale.

Secondo il Collegio contabile, appare di tutta evidenza la sussistenza dell’elemento oggettivo della responsabilità amministrativa dovendosi rilevare, alla stregua delle risultanze processuali, già sotto il profilo del nesso di causalità, come a costituire causa del danno patrimoniale provocato all’Ente locale sia stata la condotta omissiva tenuta dal Comune nella vicenda, che rimaneva soccombente anche per gli ulteriori danni conseguenti al procedimento di esecuzione dell’obbligo di fare precedentemente stabilito con la sentenza di condanna, dotata di forza di giudicato. Tale condotta non può, infatti, che essere addebitabile al convenuto che all’epoca dei fatti cumulava gli incarichi – e correlativa responsabilità – di Sindaco (art. 50
T.U.E.L.) e di Responsabile pro tempore del competente Servizio dei Lavori per la sostanziale inerzia dimostrata per complessivi sedici mesi trascorsi tra la data della notifica della sentenza di condanna e il momento nel quale ha cessato definitivamente le sue funzioni per scadenza del mandato. Atteggiamento pervicace nonostante, sempre nel periodo, fossero intervenute ulteriori notifiche, di cui il convenuto era stato destinatario sempre nella qualità di sindaco, della citazione per pignoramento presso il Tesoriere chiaramente rivolte all’esecuzione forzata del comando giudiziale non ottemperato. Da un punto di vista soggettivo, il convenuto ha agito con colpa grave, in quanto non rispettoso della cura degli interessi patrimoniali dell’Ente, che avrebbero potuto realizzarsi attraverso una sollecita esecuzione della statuizione del giudice civile, ormai coperta dall’irretrattabilità del giudicato, in modo da scongiurare o di non incrementare il pericolo di pregiudizio economico sofferto per via dell’intrapresa azione esecutiva conclusasi con la descritta soccombenza, piuttosto scontata, dell’Ente. A ciò va aggiunta l’ulteriore grave colpa della sua simultanea qualità di responsabile dei lavori pubblici, in cui rientrava la specifica competenza di provvedere alla gestione dell’istruttoria ed all’adozione di provvedimenti amministrativi conclusivi in materia, cumulando competenze e responsabilità sia di ordine politico, di sovrintendenza del buon funzionamento dei servizi e degli uffici dell’intera Amministrazione (art. 50 T.U.E.L.), che funzioni di direzione e di gestione di essi (art. 107 T.U.E.L.).
Inoltre, non può essere presa in considerazione, come causa di esclusione della colpa, il suo stato di precaria salute, in quanto aveva pur sempre, in tale periodo, il potere-dovere giuridico di curare diligentemente gli interessi comunali ricorrendo all’esercizio del potere di delega specifica in favore del Vice Sindaco, di un Assessore o di un funzionario comunale, cosa che nella fattispecie non si è avverata.
Né merita miglior sorte il rinvio delle responsabilità alle successive amministrazioni che si sono succedute, in quanto la nuova amministrazione non solo si è trovata a subire le conseguenze finanziarie di un’ulteriore condanna nella fase esecutiva di un giudizio avviato prima del suo insediamento, ma non risulta essere stata nemmeno, in qualche modo, formalmente informata o coinvolta dal convenuto nell’ottemperanza al giudicato nel momento del passaggio delle consegne di fine mandato amministrativo o successivamente ad esse. D’altra parte, insiste il collegio contabile, occorre ricordare l’ormai costante orientamento della giurisprudenza nel ritenere che gli amministratori ed i dipendenti pubblici rispondono anche dei danni che si verificano successivamente alla cessazione del mandato purché eziologicamente risalenti a comportamenti illeciti tenuti nel corso dell’espletamento del mandato, non potendosi certo ritenere per questo reciso il nesso di causalità tra condotta ed evento dannoso a causa del semplice decorso del tempo.

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