Le disposizioni legislative prevedono l’obbligo da parte di tutti i dirigenti pubblici di fornire informazioni sul totale dei compensi, comunque ricevuti, a carico delle finanze pubbliche. Il responsabile delle risorse umane che ha proceduto al pagamento e i dirigenti resisi responsabili della mancata comunicazione dei dati sono stati condannati al danno erariale per la parte dei maggiori compensi ricevuti in violazione di legge. Sono queste le conclusioni cui è pervenuta la Corte dei conti, Sezione regionale del Lazio, con la sentenza 13 febbraio 2019 n.65.
Le segnalazioni dell’ANAC
A seguito di verifica da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione risultava che l’ente non aveva proceduto alla pubblicazione dei dati dei dirigenti per i redditi complessivamente ricevuti a carico delle finanze pubbliche. Nessuna direttiva veniva emessa dal responsabile del trattamento stipendiale della dirigenza ed i medesimi dirigenti non avevano, nonostante l’obbligo legislativo, proceduto a dichiarare le retribuzioni a carico delle pubbliche finanze e di produrre all’amministrazione di appartenenza una dichiarazione ricognitiva di tutti gli incarichi in atto, con indicazione dei relativi importi e una dichiarazione annuale entro il 30 novembre di ciascun anno, al fine di verificare una eventuale violazione della normativa sui limiti massimi del trattamento economico da lavoro (dipendente o autonomo) a carico delle finanze pubbliche, al fine di verificare che gli importi ricevuti non fossero superiori allo stipendio del primo Presidente della Corte di Cassazione (240.000 euro). A seguito di tale riscontro l’Autorità inviava specifica denuncia dell’inadempimento alla Procura contabile.
L’ipotesi del danno erariale
A seguito della segnalazione ricevuta, la Procura aveva modo di constatare che alcuni dirigenti avevano ricevuto emolumenti a carico delle finanza pubbliche, superiori ai limiti imposti dal legislatore, tanto da determinare un possibile danno erariale per tutti gli importi eccedenti che venivano cumulativamente accertati in circa 50.000 euro. A rispondere di tale danno, per mancata vigilanza, è stato chiamato il responsabile “Servizio amministrazione e gestione dirigenti”, nonché i dirigenti che avevano superato i limiti di reddito previsti dalle disposizioni legislativa. Secondo la Procura il danno era da attribuire al responsabile del servizio amministrazione e gestione dei dirigenti, cui è stata imputata la negligenza per non aver fornito direttive ai dirigenti al fine di acquisire le dichiarazioni ricognitive di tutti gli incarichi in atto, venendo meno al dovere di controllo e vigilanza. La restante quota del danno erariale veniva attribuita ai dirigenti responsabili di aver ricevuto compensi esterni a carico delle finanza pubbliche, ulteriori a quelli del proprio reddito di lavoro dipendente, complessivamente eccedente il limite previsto del primo Presidente della Corte di Cassazione.
Alcuni dirigenti procedevano a versare le loro quote di pertinenza mediante rito abbreviato, il responsabile del servizio amministrazione e gestione dei dirigenti ha, invece, contestato la ricostruzione del danno erariale posto a suo carico, in quanto le direttive avrebbero dovuto essere impartite dal suo dirigente superiore, evidenziando che la corretta applicazione della normativa in materia di tetti stipendiali, ha visto una mutevole interpretazione da parte del MEF.
La conferma del Collegio contabile
Avuto riguardo alla problematica del danno erariale il Collegio condivide la prospettazione attorea che configura in capo al responsabile del servizio amministrazione e gestione dirigenti specifica responsabilità erariale. Infatti, questi nella veste di colui che abbia disposto il pagamento, aveva l’obbligo di richiedere e/o di dare direttive al personale del suo ufficio affinché il personale dipendente con qualifica dirigenziale effettuasse la dichiarazione ricognitiva di tutti gli incarichi in atto. Questo obbligo doveva, infatti, considerarsi strettamente inerente alla funzione di responsabile del Servizio Amministrazione e Gestione Dirigenti, in quanto nell’atto organizzativo dell’ente il Servizio Amministrazione e Gestione Dirigenti è responsabile, nel rispetto delle linee guida fornite dalla Direzione, dell’amministrazione e della gestione del personale dirigenziale, nonché degli adempimenti di tipo retributivo, fiscale, contributivo, previdenziale e assistenziale connessi al rapporto di lavoro. L’eccezione sollevato dal convenuto circa la mancanza di direttive ricevute, non lo esonera dalla specifica responsabilità censurata dalla Procura, non avendo prodotto alcuna documentazione nella quale fosse stato possibile evincere una imposizione di non adempiere ad un preciso obbligo di legge emanata dalla Direzione. In considerazione, pertanto, della sua specifica ed esclusiva responsabilità, il convenuto ha dimostrato un comportamento negligente e imprudente in ordine al citato adempimento di ridetto obbligo di legge. In merito ai dubbi sull’applicazione della normativa ai contratti in corso, il richiamato cambio di orientamento del MEF non coglie nel segno. Infatti, l’ente con specifica nota inoltrata al MEF ha avuto modo di precisare come l’ente si sarebbe adeguato alla linea interpretativa del predetto Ministero che si era espresso nel senso che “il limite al trattamento economico annuo di € 240,000,00 lordi, decorrente dal primo maggio 2014, si applica anche a tutti i contratti stipulati prima della data suddetta”, assicurando, nel contempo, che l’ente avrebbe proceduto ad effettuare un piano di recupero delle eventuali somme in eccesso corrisposte ai dirigenti. D’altra parte, le indicazioni del MEF discendono dalla circostanza che, a differenza di altri interventi legislativi, quello del d.l.n.66/2014 non contiene norma di salvaguardia di favore per i contratti in essere alla data di entrata in vigore della relativa disposizione. La stessa Consulta (sentenza n.124/2017) ha autorevolmente osservato, tra l’altro, che “La disciplina oggi scrutinata persegue finalità di contenimento e complessiva razionalizzazione della spesa, in una prospettiva di garanzia degli altri interessi generali coinvolti, in presenza di risorse limitate”. In tale cornice la responsabilità del convenuto è indubbia, in quanto dalla chiara lettura degli atti non risulta che lo stesso, prima di procedere al pagamento delle retribuzioni dei dirigenti, non sono non si è accertato della verifica del limite imposto dal legislatore, ma con condotta omissiva ha fatto in modo che la normative venisse disapplicata, astenendosi dall’invitare i dirigenti in servizio a comunicare all’ente gli incarichi in essere al 1° maggio 2014 nonché l’ammontare degli emolumenti ad essi erogati nell’anno 2014 a carico della finanza pubblica. Peraltro, siffatto obbligo incombeva anche su di lui, quale dirigente percettore di emolumenti ricevuti ed eccedenti il citato tetto retributivo.
Per le indicate ragioni il Collegio contabile conferma la condanna erariale, fermo restando il suo potere di riduzione rispetto alla pretesa avanzata dalla Procura,
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