Danno all’immagine ancorato ad una percentuale dell’appalto illecito

17 Gennaio 2024
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La condanna penale irrevocabile del dirigente, per rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, conduce al danno all’immagine da calcolare in una percentuale dell’appalto illecito e non al doppio del profitto ricavato dal terzo. È stata questa la corretta determinazione del danno all’immagine sanzionata dalla sentenza n. 28/2023 d parte della Corte dei conti di Bolzano al dirigente infedele.

La vicenda

La procura erariale ha convenuto in giudizio il dirigente apicale del Servizio, sia per danno all’immagine causato all’ente locale sia per danno da disservizio, la direttrice del Servizio. L’azione erariale era stata sollecitata dalla Procura della Repubblica per i reati di concorso in rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio (art. 326, comma 3, c.p.) e turbativa del procedimento di scelta del contribuente (art. 353-bis c.p.) e dalla successiva condanna della convenuta in via definitiva a seguito della sentenza della Cassazione. Il danno all’immagine è scaturito da una vasta eco mediatica, negli anni nei quali si è protratta la vicenda giudiziaria con la conseguente lesione del prestigio e della credibilità dell’Amministrazione pubblica. La quantificazione del danno è stata calcolata dalla Procura in via equitativa, tenendo conto del disvalore giuridico-sociale connesso alla gravità degli illeciti commessi, dell’intenzionalità della condotta, della qualifica rivestita dall’autore del danno, della diffusione della vicenda, ritenendo congruo ragionevole determinare il danno in misura non inferiore all’1 per cento del valore posto a base d’asta nella procedura oggetto di turbativa (1 per cento di euro 24 milioni) pari a 240.000 euro. In merito alla posta di danno da disservizio, esso discendeva dallo sviamento (se non distorsione) di energie lavorative, finalizzate alla rivelazione di notizie che dovevano restare segrete di cui era a conoscenza e all’alterazione del normale meccanismo di competizione alla base della gara; tale danno veniva quantificato in via equitativa in misura pari alla retribuzione erogata al funzionario nel periodo in cui si sono consumati gli illeciti accertati in sede penale. In merito all’elemento soggettivo, la Procura evidenziava il dolo nel procurare a sé e al compagno un indebito profitto patrimoniale.

La convenuta ha contestato sia il danno all’immagine operato dalla Procura sia il danno da disservizio. Avuto riguardo al danno all’immagine la sua quantificazione è avvenuta in modo arbitrario, avendo preso a riferimento la Procura la cifra posta a base di gara, senza considerare che la gara non è mai stata affidata e, comunque, che non si è tenuto in alcun conto delle sue dimissioni dal servizio che hanno garantito all’Amministrazione, anche mediaticamente, il ristoro all’eventuale danno all’immagine. Anche il danno da disservizio sarebbe privo dei presupposti della pretesa risarcitoria, essendosi la Procura limitata a richiedere un risarcimento quale diretta conseguenza degli illeciti già puniti in sede penale.

La decisione del Collegio contabile

Per i giudici contabili non vi sono dubbi sulla gravità delle condotte poste in essere dalla convenuta, che ha messo a disposizione di persona estranea all’Amministrazione notizie d’ufficio coperte da segreto (la bozza del bando di gara), e ha ritrasmesso una nuova versione del bando rivista sulla base delle indicazioni fornite da un imprenditore privato al quale era sentimentalmente legata. Inoltre, dall’esame degli atti del processo penale, la cui condanna è divenuta irrevocabile, è emerso in modo chiaro che le condotte poste in essere siano alla stessa ascrivibili a titolo di dolo. D’altra parte, l’elemento costitutivo del danno all’immagine è oggettivamente collegato alla gravità delle condotte illecite poste in essere e il conseguente clamor fori, che hanno cagionato nell’opinione pubblica ampio discredito e una grave perdita di prestigio e credibilità, con conseguente lesione della sfera dei diritti della personalità dell’ente locale. Pertanto, per il Collegio contabile è priva di pregio la tesi difensiva incentrata sull’assenza o, comunque, sulla mancata dimostrazione, nella fattispecie all’esame, del danno all’immagine, o sull’assenza di alcun arricchimento per l’incolpata. In merito alla determinazione del danno, data l’impossibilità di utilizzare il criterio del doppio del profitto ricevuto ed in assenza di una plausibile quantificazione alternativa offerta da parte della difesa, il criterio proposto dalla Procura (una percentuale del valore della gara oggetto di turbativa) può ritenersi logico ed accettabile, anche se la quantificazione operata dalla Procura appare eccessiva, con conseguente dimezzamento del danno da essa quantificato, ritenendo congruo un importo pari a 120 mila euro. Il danno da disservizio, invece, deve considerarsi prescritto.

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