La vicenda
Alcuni lavoratori azionavano un giudizio civile per essere stati assunti con contratto di appalto di servizio invece di un contratto di lavoro dipendente, stante il divieto di somministrazione ed appalto di manodopera. Il giudice riconosceva ai citati lavoratori un risarcimento, a fronte del reclutamento sostanziale presso l’ente (intervenuto indebitamente tramite un appalto di servizi), al quale seguiva, in applicazione dell’art.36, comma 5, D.Lgs. n.165/2001, la condanna al pagamento delle differenze retributive tra quanto percepito dall’appaltatore (datore di lavoro formale) e quanto dovuto se inquadrate direttamente presso l’amministrazione comunale (datore di lavoro sostanziale). A fronte del pagamento avvenuto, l’ente locale azionava la responsabilità di due dirigenti. Per l’ente locale, infatti, si era in presenza di una responsabilità dirigenziale, direttamente correlata alla stipulazione, da parte dei dirigenti, dei contratti d’appalto per conto dell’amministrazione territoriale e alla conseguente gestione del rapporto negoziale con l’appaltatore nell’ambito del plesso amministrativo da essi diretto.
A fronte delle richieste risarcitorie avanzate dall’ente, che si limitavano a prevedere che, in caso di mancato pagamento entro trenta giorni, sarebbe stata avviata la procedura per la loro riscossione coattiva senza prevedere indicazioni in ordine alla formazione di un titolo esecutivo, né dei rimedi giurisdizionali esperibili, i dirigenti hanno impugnato il provvedimento dell’ente locale, dinanzi alla Corte dei conti, in quanto a loro dire l’art. 36, comma 5, D.Lgs 165/2001 presupporrebbe, in tali ipotesi, un accertamento del requisito soggettivo del dolo o della colpa grave dell’operato del Dirigente che l’ordinamento riserverebbe in via di giurisdizione esclusiva alla Corte dei Conti. Infatti, secondo i ricorrenti il radicamento della giurisdizione contabile sia in relazione all’opposizione proposta avverso le ingiunzioni di pagamento, sia in relazione alla domanda di accertamento negativo di responsabilità, deriverebbe dall’essere le vicende fattuali oggetto del ricorso pacificamente riconducibili ai c.d. danni erariali indiretti. D’altra parte, a dire dei ricorrenti, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, hanno avuto modo di precisare che, la sostituzione dell’art.3, R.D. n. 639/1910 da parte degli artt. 32 e 34 del D.Lgs. n. 150/2011, non è idonea, di per sé sola, ad attribuire alla giurisdizione del giudice ordinario in tutte le controversie introdotte con l’opposizione ad ingiunzione fiscale, rimanendo questa devoluta al giudice munito di giurisdizione in relazione alla natura del credito oggetto dell’ingiunzione. Se ciò è vero, come sostengono i ricorrenti, allora l’ente avrebbe esercitato un potere che l’ordinamento avrebbe riservato al Pubblico Ministero presso la Corte dei conti. Le ingiunzioni impugnate si sarebbero, quindi, indebitamente sovrapposte all’esercizio dell’azione erariale, con conseguente inammissibilità e invalidità delle stesse.
Infine, la competenza della Corte dei conti sarebbe accertata dal fatto che l’ente avrebbe dato corso alla trasmissione alla Procura Regionale della Corte dei conti delle deliberazioni di riconoscimento del debito fuori bilancio necessario per il pagamento delle somme in favore dei tra lavoratori, precedendo in modo contraddittorio ad azionare direttamente un’azione di recupero. Inoltre, l’azione dell’ente comunale, per il tramite del Segretario comunale, avrebbe disatteso la volontà del Consiglio Comunale, il quale, nel riconoscere il debito fuori bilancio per consentire il pagamento delle somme oggetto di condanna in sede giurisdizionale ordinaria, non avrebbe conferito alcuna delega in questo senso e si sarebbe in realtà limitato a conferire al Segretario Comunale l’incarico di attivare le procedure di segnalazione del pregiudizio erariale alla Procura Regionale della Corte dei conti. A ciò è stato aggiunto che, tutti i contratti stipulati dagli odierni ricorrenti per assicurare il servizio, così come le successive proroghe, erano stati stipulati in forma pubblico-amministrativa, con la necessaria partecipazione del Segretario Comunale, il quale non avrebbe formulato alcun rilievo in ordine alla loro legittimità. Infine, i ricorrenti hanno contestato la mancata applicazione del principio della “compensatio lucri cum damno” ossia che le somme corrisposte ai lavoratori, a seguito della definizione dei giudizi civili, sarebbero comunque risultate dovute, secondo quanto accertato in sede giurisdizionale, per l’attività lavorativa concretamente resa in favore dell’amministrazione comunale. Circostanza questa che dovrebbe indurre a ritenere assente o, quantomeno, di minore entità, il pregiudizio sostanziale occorso.
Il plesso giurisdizionale competente
Per il pubblico ministero contabile, l’ente locale avrebbe attivato una richiesta di pagamento di somme dovute dai ricorrenti a titolo di responsabilità dirigenziale e non già a titolo di responsabilità erariale, facendo puntuale applicazione di quanto previsto dall’art.36, comma 5, D.Lgs. n.165/2001, con la conseguenza che trattandosi di materia rientrante nell’ambito del rapporto di pubblico impiego tra amministrazione e dipendente, la competenza giurisdizionale apparterrebbe al Giudice Ordinario in funzione di Giudice del Lavoro pubblico, come sancito espressamente dall’art.63, D.lgs. n.165/2001 con riferimento alla responsabilità dirigenziale. In linea generale deve essere osservato che in tutte le ipotesi in cui insorgano pregiudizi finanziari dell’amministrazione imputabili alla responsabilità dei soggetti ad essa legati da un rapporto di servizio, la giurisdizione del Giudice Contabile risulta riconosciuta ed ammessa dalla Suprema Corte in coerenza con il principio del c.d. “doppio binario” tra l’azione del Procuratore Regionale della Corte dei conti e quella eventualmente esercitabile direttamente dall’amministrazione danneggiata. Tuttavia, nelle ipotesi in cui il Procuratore Regionale agisca per l’accertamento di una fattispecie di responsabilità, la vicenda sarà conosciuta dalla Corte dei conti, con preclusione di un’azione diretta dell’amministrazione danneggiata (Cass. Civ., SS.UU. n.17124/2019). Nel caso di specie, l’ente locale nell’adottare i provvedimenti impugnati, da qualificare obiettivamente quali ordinanze – ingiunzioni ex art.2 R.D. n.639/1910, ha effettivamente adottato uno strumento per far valere direttamente, nell’ambito del rapporto di lavoro con i dirigenti responsabili, l’asserito credito derivante dai pagamenti erogati ai lavoratori in ragione della soccombenza nei giudizi civili risarcitori. A differenza di quanto eccepito da parte dei ricorrenti, tale opzione risultava praticabile in quanto coerente con i suesposti principi generali in tema di riparto di giurisdizione nella materia della responsabilità erariale.
In conclusione, la proposizione dell’impugnazione avverso i provvedimenti ingiuntivi adottati dall’amministrazione comunale nei confronti dei dirigenti debba essere promossa davanti al Giudice Ordinario.
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