Compensi per gli avvocati pubblici degli enti locali: alcune annotazioni

La materia di cui oggi ci occupiamo è tornata d’attualità a séguito della deliberazione della Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo 4.10.2011, n. 51/CONTR/11. La quale ha opinato una buona volta per tutte che i compensi dovuti agli avvocati degli enti locali non concorrono a determinare il tetto del fondo di produttività ai fini del suo contenimento entro il tetto determinato ai sensi dell’art. 9, comma 2-bis del d.l. 31.5.2010, n. 78, convertito nella legge 30.7.2010, n. 122: “a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non può superare il corrispondente importo dell’anno 2010 ed è, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio”.
La cosa è sempre parsa scontata. Cosí come pure ovvio dovrebbe essere che attesa la ratio dell’istituto e la peculiarità dell’emolumento, il relativo compenso dovrebbe essere intascato a tutto tondo da chi lo ha generato: gli avvocati dell’ente locale. La contrattazione collettiva nazionale di comparto adombra però strade alternative. Che a noi paiono l’apoteosi dell’assurdo. Anche perché confondono le conseguenze dell’esito di un processo con il conseguimento di una buona performance rilevante per il d.lgs. 27.10.2009, n. 150.

Il raccordo fra compensi ratione materiae e la produttività generale dell’ente

Lo diciamo súbito: chi svolge un lavoro per il quale è prevista la corresponsione di una specifica voce retributiva deve poterne essere il destinatario. Assoluto. Senza doverlo dividere con chicchesia. Perché se cosí non fosse, allora la retribuzione scivolerebbe fra i rivoli della sciatteria qualunquistica. In aperta violazione del principio di corrispettività fra lavoro svolto e retribuzione solennemente sancito dall’art. 36, comma 1 Cost.: “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro […]”.
Proprio il contrario di ciò che accade per gli avvocati pubblici degli enti locali. Per i quali la contrattazione collettiva nazionale di comparto prevede la possibilità di innescare logiche spartitorie che nel mondo della libera professione non sono neppure pensabili.
È proprio su ciò che vogliamo appuntare tutto il nostro disappunto. Senza la benché minima possibilità di remissione. Perché dinanzi all’assurdo occorre reagire in modo proporzionato. E dunque con azioni ispirare alla giustizia retributiva.
Ed ora le norme.
In primo luogo, l’art. 27 del C.c.n.l. 14.9.2000  per il personale del comparto: “gli enti provvisti di Avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all’ente, secondo i principi di cui al regio decreto legge 27.11.1933 n. 1578 e disciplinano, altresì, in sede di contrattazione decentrata integrativa la correlazione tra tali compensi professionali e la retribuzione di risultato di cui all’art. 10 del C.c.n.l. del 31.3.1999. Sono fatti salvi gli effetti degli atti con i quali gli stessi enti abbiano applicato la disciplina vigente per l’Avvocatura dello Stato anche prima della stipulazione del presente C.c.n.l.”.
In secondo luogo, l’art. 37 del c.c.n.l. 23.12.1999 per l’area della dirigenza: “gli enti provvisti di Avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole all’ente, secondo i principi di cui al regio decreto legge 27.11.1933 n. 1578 valutando l’eventuale esclusione, totale o parziale, dei dirigenti interessati, dalla erogazione della retribuzione di risultato. Sono fatti salvi gli effetti degli atti con i quali gli stessi enti abbiano applicato la disciplina vigente per l’Avvocatura dello Stato anche prima della stipulazione del presente C.c.n.l.”.
Quanto meno per il personale del comparto degli enti locali, dunque, v’è una relazione eventuale fra i compensi da destinare agli avvocati pubblici dei comuni e delle province e la produttività generale dell’ente. Relazione da risolvere in sede di contrattazione collettiva decentrata integrativa. Sul punto la disciplina contrattuale è tanto chiara quanti poco credibile.
Per convincersene è sufficiente leggere con attenzione la deliberazione della Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, 4.10.2011, n. 51/CONTR/11. E infatti, per il giudice della nomofilachia contabile, le risorse che alimentano il fondo di produttività per il pagamento di prestazioni professionali tipiche operano solo “in senso figurativo dato che esse non sono […] destinate a finanziare gli incentivi spettanti alla generalità del personale dell’amministrazione pubblica”  in relazione a prestazioni ben definite. Le quali “potrebbero essere acquisite attraverso il ricorso esterno all’amministrazione pubblica con possibili costi aggiuntivi per il bilancio dei singoli enti”. Sono queste, in sintesi, le ragioni che hanno indotto il giudice contabile a ritenere che le risorse che affluiscono al fondo di produttività per il finanziamento dei compensi de quibus non rilevano ai fini della dell’art. 9, comma 2-bis del d.l. 31.5.2010, n. 78, convertito nella legge 30.7.2010, n. 122. Di qui due conseguenze.
La prima: i compensi per gli avvocati pubblici degli enti locali spettano a ed a loro soltanto. Talché è inammissibile che essi possano essere in parte distratti per la loro distribuzione a dipendenti che avvocati dell’ente non sono. In questo senso, si può vedere quanto sviluppato dall’Aran nel parere RAL – 1166 Orientamenti applicativi.
La seconda: agli Avvocati degli enti pubblici ed a loro soltanto dovrebbero spettare tutti i proventi che dalla loro attività professionale derivano, senza che ciò metta o possa mettere in discussione il loro diritto alla percezione della retribuzione di risultato o del salario di produttività, anche perché le due voci retributive sono variabili dipendenti di due evenienze non raffrontabili: per la prima, le conseguenze di soccombenze della parte avversa in un processo; per la seconda, la valutazione della performance in relazione agli obiettivi enucleati negli strumenti di programmazione gestionale.

Conclusione

Chi ha reso una prestazione deve essere pagato per quel che ha fatto. Tutto il resto sono parole in libertà. Anche se il loro luogo di cognizione e la contrattazione collettiva. La quale è fonte di regolazione fallibile e non certo epifania di apofantiche verità.
Di qui la necessità di modificare radicalmente il testo degli artt. 37 del C.c.n.l. 23.12.1999 e 27 del C.c.n.l. 14.9.2000. Ovvero, in subordine, rifiutare alla radice la possibilità di commistione da attuare in sede di contrattazione collettiva decentrata integrativa fra compensi per attività professionali tipiche degli avvocati pubblici degli enti locali e compensi per la produttività. Qui raddrizzare le gambe allo storpio si impone imperiosamente.

Riccardo Nobile

Fonte: La Gazzetta degli Enti locali

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