La pietra miliare, a ben vedere, è rappresentata dalla circolare 9/2006 della Ragioneria Generale, che aveva indicato un primo elenco di tutte le tipologie di spesa da includere nel calcolo. Tra queste appariva questa dicitura: «Gli assegni per il nucleo familiare, buoni pasto e spese per equo indennizzo». Nessuno, quindi, aveva mai messo in discussione che gli assegni fossero da conteggiare nei vincoli di finanza pubblica.
La Corte dei conti della Lombardia, però, riprende in mano la questione e fa un’analisi dettagliata dell’emolumento, muovendo i passi dalla natura assistenziale della prestazione. Per i magistrati lombardi sono tre i motivi per i quali vanno esclusi dal tetto delle spese di personale le somme degli assegni al nucleo familiare. Non sono correlate all’attività lavorativa, ma alla situazione reddituale del dipendente e della sua famiglia. Non c’è discrezionalità amministrativa nel governo di questa spesa, non essendo riconducibile ad alcuna volontà dell’ente. Da ultimo, queste somme sono indeterminate e imprevedibili, sfuggendo all’adozione da parte dell’ente di interventi programmatori e gestionali.
La vicenda, comunque, non sembra così cristallina, in quanto la tesi dell’inclusione nel tetto, oltre che dalla Ragioneria Generale, era stata sposata dalla Corte dei conti Sezione Autonomie, quando con la deliberazione 13/2015 aveva consegnato agli enti locali una tabella con tutte le voci per applicare la norma. E gli assegni familiari non venivano indicati tra le voci escluse dalla spesa.
Che fare a questo punto? Gli enti devono ricalcolare il proprio limite 2011/2013 e da questo momento in poi sottrarre gli assegni familiari dal calcolo? Potrebbe essere una strada, anche se a questo punto viene da chiedersi se esisterà mai un parametro certo e chiaro di riferimento.
Rassegna stampa in collaborazione con Mimesi s.r.l.
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