Il rimborso delle spese legali superiori ai limiti stabiliti dal giudice contabile. La posizione dell’Avvocatura

L’Avvocatura di Stato in un proprio parere ha analizza la giurisprudenza civile e amministrativa in materia di rimborso delle spese legali ad un dipendente pubblico assolto in un giudizio contabile che reclama un valore sostenuto superiore a quello disposto in sentenza.

4 Febbraio 2020
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L’Avvocatura di Stato in un proprio parere (Parere del 14/06/2018-320751) pubblicato sulla rivista di giurisprudenza, analizza la giurisprudenza civile e amministrativa in materia di rimborso delle spese legali ad un dipendente pubblico assolto in un giudizio contabile che reclama un valore sostenuto superiore a quello disposto in sentenza.

La domanda

Un ente pubblico ha sottoposto la questione inerente al rimborso della totalità delle spese processuali, superiori a quelle liquidate dal giudice contabile in sentenza, in caso di giudizio di responsabilità del dirigentedipendente per danno erariale e successiva assoluzione dello stesso. Specificamente codesta amministrazione richiede se sia tenuta a riconoscere le spese legali effettivamente saldate dai soggetti interessati e comunque secondo le tariffe medie di cui al d.M. 55/2014, malgrado le precisazioni della Corte dei Conti“.

Il parere dell’Avvocatura di Stato

L’art. 91 c.p.c. dispone come sia il giudice a condannare la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte, attribuendogli inoltre un ampio potere di valutazione in merito alla necessarietà e non superfluità dell’onorario presentato. Alla luce di ciò, in via preliminare occorre verificare se l’avvocato difensore, sia vincolato a richiedere come pagamento solo la cifra stabilità dal giudice nella sentenza di merito. Sul punto è intervenuta più volte la Suprema Corte affermando come: “la liquidazione delle spese nel rapporto interno tra avvocato e cliente non vincola il giudice nell’ambito della liquidazione delle spese tra quest’ultimo e la sua controparte nel giudizio. infatti, la misura degli onorari dovuti dal cliente al proprio avvocato prescinde dalle statuizioni del giudice contenute nella sentenza che condanna la controparte alle spese ed agli onorari di causa e deve essere determinata in base a criteri diversi da quelli che regolano la liquidazione delle spese fra le parti”; da ultimo con sentenza del 7 settembre 2016, n. 17739, la quale riprende a sua volta consolidata giurisprudenza, riconducibile tra le altre a Cassazione civile, 15 gennaio 1999, n. 1264. Tale statuizione è basata sul rapporto contrattuale che lega l’avvocato con il suo cliente.

Alla luce della possibilità, per il difensore, di richiedere un pagamento superiore a quanto liquidato dal giudice, bisogna ora procedere ad osservare quali siano gli obblighi di, eventuale, rimborso da parte delle amministrazioni di cui il cliente sia dipendente/dirigente.

La materia è disciplinata dall’art. 18, del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito in legge 23 maggio 1997, n. 135. La giurisprudenza della Cassazione, sul punto, rileva come: “la rimborsabilità delle spese legali per i dipendenti statali non può essere assoggettata alla determinazione pattizia tra il dipendente pubblico assistito e il suo difensore di fiducia, o anche alla sola verifica del Consiglio dell’ordine, giacché necessita del parere di congruità rilasciato dall’avvocatura dello Stato secondo i canoni della discrezionalità tecnica” (Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n. 13861, del 6 luglio 2015).

Riguardo specificamente ai giudizi di fronte ai giudici contabili per danno erariale, invece, la normativa che viene in rilievo è quella di cui all’art. 3, comma 2-bis, del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito con legge 20 dicembre 1996, n. 639, in forza del quale “in caso di definitivo proscioglimento ai sensi di quanto previsto dal comma 1, dell’art. 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come modificato dal comma 1 del presente articolo, le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della corte dei conti sono rimborsate dall’amministrazione di appartenenza”. Quest’ultima, inoltre, è stata interpretata successivamente dall’art. 10-bis, comma 10, del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito con legge 2 dicembre 2005, n. 248, a sua volta integrato dall’art. 17, comma 30 – quinquies – del d.l. 1 luglio 2009 n. 78, convertito con legge 3 agosto 2009, n. 102, il quale escludendo la compensazione, attribuisce al giudice contabile la liquidazione degli onorari e delle spese processuali. Tale disciplina risulta infine confermata dall’art. 31 del d.lgs 26 agosto 2016, n. 174 “codice della giustizia contabile”.

Anche la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, è intervenuta sulla questione affermando come “la sentenza di proscioglimento nel merito costituisce il presupposto di un credito attribuito dalla legge e che il giudice contabile è chiamato a quantificare” (SS.UU., 24 marzo 2010, n. 6996), riconoscendo in tal modo la specialità di tale disciplina e della capacità tecnica del giudice contabile di statuire sul punto.

Più nello specifico, la sezione lavoro della Cassazione, con recente pronunzia è intervenuta, con la sentenza 19 agosto 2013, n. 19195 affermando come “dopo l’entrata in vigore dell’art. 10 bis, comma 10, del d.l. 30 settembre 2005 n. 203, conv. in legge 2 dicembre 2005, n. 248, in caso di proscioglimento nel merito del convenuto in giudizio per responsabilità amministrativo-contabile innanzi alla Corte dei conti, spetta esclusivamente a detto giudice, con la sentenza che definisce il giudizio, liquidare – ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 c.p.c. ed a carico dell’amministrazione di appartenenza – l’ammontare delle spese di difesa del prosciolto, senza successiva possibilità per quest’ultimo di chiedere in separata sede, all’amministrazione medesima, la liquidazione delle spese, neppure in via integrativa della liquidazione operata dal giudice contabile”. Deve aggiungersi come la corte affermi ulteriormente come “proprio la scelta del legislatore di rimettere al giudice contabile il governo delle spese è espressamente finalizzata ad un maggior controllo della spesa pubblica, per evitare tanto i possibili abusi per rimborsi eccessivi concessi dalle amministrazioni di appartenenza, quanto il proliferare di contenziosi in sede civile ove quest’ultima neghi il rimborso chiesto dal suo dipendente prosciolto nel merito del giudizio contabile”, una diversa interpretazione altro non farebbe che provocare proprio le conseguenze non volute dal legislatore.

Da ultima è intervenuta anche la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale Toscana, con sentenza del 16 ottobre 2013 n. 310. La decisione chiarisce esplicitamente come “incontestabilmente compete al solo giudice contabile disporre in tema di liquidazione delle spese in favore del dipendente assolto nel merito innanzi alla Corte dei Conti. la norma di cui al citato art. 10, comma 10 bis, e la giurisprudenza sul tema non lasciano spazio ad altra interpretazione”. Tale sentenza, afferma altresì che l’eventuale pagamento in eccesso rispetto all’ammontare liquidato dal giudice, comporterebbe la responsabilità erariale per i soggetti che procedano all’autorizzazione di detto pagamento; infatti “il giudice contabile ha tutti gli strumenti per valutare la congruità della parcella richiesta dall’avvocato in quanto, ai sensi dell’art. 75 c.p.c., il difensore, al momento del passaggio in decisione della causa, deve presentare la nota delle spese, e può quindi stabilire con ragione l’importo delle spese che saranno a carico dell’amministrazione, eventualmente anche disponendo il rimborso integrale delle stesse, qualora ne ricorrano i presupposti”. Tale interpretazione è stata confermata in sede di appello con la sentenza n. 565, pubblicata il 16 novembre 2015.

Dello stesso orientamento anche la decisione dell’1 dicembre 2017 n. 516 della Prima Sezione Centrale di Appello della Corte dei conti, dove il giudice ha ritenuto come una liquidazione non congrua delle spese di giudizio, possa essere sindacata ed ampliata solo dall’unico giudice munito di giurisdizione, quale quello contabile.

Tale tesi è stata confermata anche dal Tribunale Firenze, sez. lav. del 21 gennaio 2016, n. 48, ove si afferma come: “È il giudizio contabile l’unica sede nella quale è dato di discutere della congruità delle spese da riconoscere al prosciolto”.

Il parere di congruità dell’Avvocatura, comunque contemplato dalle richiamate disposizioni, appare nella fattispecie, ridimensionato al ruolo di riscontro formale, sul piano amministrativo, della conformità della richiesta di rimborso rispetto alla misura liquidata in sentenza, nonché, eventualmente, per valutare la congruità degli oneri accessori non espressamente indicati nella sentenza (rimborso forfettario, Iva, cpa), ovvero la rimborsabilità di spese strettamente connesse alla difesa nel giudizio, ma sostenute successivamente. Tale orientamento è stato seguito anche dallo scrivente, nel parere del 14 gennaio 2016 n. 16036 (CS 39972/2015 Avv. De Bonis), condiviso dal Comitato Consultivo nella seduta dell’11 gennaio 2016, superando in via definitiva la precedente circolare n. 6 del 2012.

Di diverso avviso, invece, è sembrato esprimersi il giudice amministrativo.

Il Tar del Lazio, Roma, è intervenuto sul punto con la sentenza n. 13753 del 9 dicembre 2015, affermando come “l’autonomia del rapporto tra amministrazione e proprio dipendente, avente ad oggetto il diritto al rimborso delle spese legali rispetto al giudizio contabile […] comporta […] che il rimborso dovuto dalla amministrazione al proprio dipendente possa prescindere dalla liquidazione effettuata in sentenza dal giudice contabile”, a tale argomentazione principale, il giudice amministrativo, ne aggiunge una ulteriore in merito al divieto di compensazione. Infatti, secondo il Tar, qualora il giudice erariale procedesse, erroneamente, alla compensazione delle spese “non potrebbe certo negarsi il diritto del ricorrente ad ottenere un congruo rimborso spese, sulla base del parere di congruità espresso dall’avvocatura”; egualmente si ritiene possibile ciò nel caso in cui “il giudice contabile, anziché disporre la compensazione, abbia liquidato le spese legali, ma in misura simbolica o comunque inferiore a quanto effettivamente dovuto dall’assistito al proprio difensore”. Inoltre, nel giudizio citato, il Tar fa riferimento alla circolare dell’Avvocatura Generale dello Stato n. 6 del 2012, la quale però, come già osservato, risulta superata dal citato successivo parere del 14 gennaio 2016.

Di recente sulla questione, è intervenuto anche il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, sez. III, 28 luglio 2017, n. 3779, affermando la competenza del giudice contabile a statuire sulle spese processuali liquidabili e rimborsabili, ma ritenendo altresì come il parere di congruità operato dall’Avvocatura di Stato possa disattendere, ove ritenuto necessario, quanto stabilito in sentenza.

Anche in tale sede il giudice amministrativo afferma l’autonomia del rapporto tra dipendente ed amministrazione in ambito di liquidazione delle spese, rispetto al giudizio erariale. A tal proposito, ritiene che tale principio di diritto sia espresso dalle Sezioni Unite, nella sentenza 14 marzo 2011, n. 5918. Il giudice ritiene, inoltre, che il dettato normativo qualifichi il parere di congruità dell’Avvocatura di Stato come uno strumento volto a “tenere indenne a tutti gli effetti il pubblico dipendente dalle spese legali sopportate in relazione a giudizi conclusisi con sentenza di esclusione di responsabilità”, aggiungendo inoltre come “diversamente opinando, si ammetterebbe, infatti, che il diritto al rimborso delle spese sopportate che, come già detto, trova la sua origine nell’autonomo rapporto di natura sostanziale intercorrente tra amministrazione e dipendente, possa essere irrimediabilmente e, eventualmente, anche ingiustificatamente condizionato e compromesso dalle statuizioni del giudice contabile”.

Bisogna premettere, sul punto, che la citata tesi delle Sezioni Unite, di cui alla citata sentenza 14 marzo 2011, n. 5918, risulta inerente a fatti accaduti in anni precedenti al 2007. In base al principio del tempus regit actum la Suprema Corte, con tale pronuncia, è volta all’applicazione della disciplina previgente sia al codice della giustizia contabile, entrato in vigore con il d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, sia del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito con legge 3 agosto 2009, n. 102, principale innovatore in materia. Conseguentemente, tale pronuncia risulta superata dalle recenti riforme legislative, oltrechè non dirimente per il caso di specie.

Quanto sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa, comunque, è riconducibile a due principi: da un lato, l’autonomia del rapporto di liquidazione dal giudizio erariale, e dall’altra il timore che, in sede processuale, il soggetto possa vedersi leso nei suoi diritti per ragioni di stampo processuale, o di erronea applicazione della legge (come nel prospettato caso, di erronea compensazione delle spese).

Riguardo al primo elemento, quale la diversità ontologica ed autonomia dei rapporti, sul punto si era già pronunciata la Corte di Cassazione, sez. lavoro, con la sentenza (sopra citata) 19 agosto 2013, n. 19195. Tale pronuncia prese una netta posizione rispetto alla precedente SS.UU. del 12 novembre 2003, n. 17014, la quale si pone a fondamento della sentenza citata dal Consiglio di Stato (SS.UU. 14 marzo 2011, n. 5918). nello specifico la sez. lavoro ha affermato come, le novelle legislative intercorse “indubbiamente milita[no] per una ridefinizione del sistema ad esclusivo appannaggio della sede giudiziale e per la competenza funzionale (anche ai fini di contenimento della spesa) del solo giudice contabile (che emette la sentenza di proscioglimento nel merito) in ordine alla liquidazione delle spese, con esclusione di ogni possibilità di loro quantificazione a piè di lista”, ponendo a supporto di tale ricostruzione anche la sentenza della Cassazione SS.UU., n. 8455, 2 aprile 2008 dove, in quel caso, non era stata emessa pronuncia sulle spese del giudizio contabile da parte della Corte dei conti.

La sezione lavoro inoltre, corrobora la propria tesi con due ulteriori elementi.

Da un lato si ritiene che il divieto di compensazione abbia rafforzato “la scelta legislativa per l’unicità della sede giudiziale, quasi a voler chiudere ogni possibilità di liquidazione extragiudiziale quale rimedio alla compensazione delle spese disposta dal giudice contabile”, dall’altro la diversa interpretazione, come quella operata dal Consiglio di Stato, “finirebbe con il dare luogo ad un sistema stabilmente produttivo di conflitti tra giudicati (uno contabile e uno civile) sul regime delle spese, potendosi in sede civile porre nel nulla, in tutto o in parte, la compensazione (o la differente liquidazione) delle spese già espressamente disposta dalla Corte dei conti in contraddittorio delle medesime parti”. La stessa Corte aggiunge, inoltre, come per negare il conflitto di giudicati non sia sufficiente invocare la diversità ontologica tra i rimborsi,

stante proprio la sussistenza dello stesso oggetto (rimborso delle spese processuali) e delle stesse parti (dipendente e amministrazione di appartenenza).

Per le stesse ragioni non può ritenersi neppure sopravvivente il rimborso extragiudiziale a fronte di un’eventuale incongrua liquidazione delle spese ad opera del giudice contabile, infatti, come correttamente affermato dalla Corte di Cassazione, sez. lavoro, “in virtù di antica e costante giurisprudenza di questa S.C. il giudice competente per il merito della causa è funzionalmente competente a decidere sull’an e sul quantum delle relative spese e dell’eventuale risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. (Cass. 23.3.2004 n. 5734; Cass. 12.3.2002 n. 3573; Cass. 4.4.2001 n. 4947; Cass. 5.3.84 n. 1525; Cass. S.u 6.2.84 n. 874), di guisa che è inammissibile una domanda risarcitoria conseguente all’altrui azione o resistenza temeraria avanzata in separato giudizio (cfr. Cass. 20.3.2006 n. 6116)”.

Alla luce di tale ricostruzione, possono ritenersi superate le SS.UU. del 12 novembre 2003, n. 17014 e, conseguentemente, le SS. UU., del 14 marzo 2011, n. 5918.

Riguardo, invece, al secondo ordine di motivi prospettato dalla giurisprudenza amministrativa, quale il rischio di condizionamenti processuali del diritto alla liquidazione, questo non tiene in considerazione il fatto che il giudizio erariale, ed il giudice a questo deputato, ben è a conoscenza di ogni elemento concernente il giudizio ed ha la piena capacità e possibilità di comprendere le esigenze ed i diritti delle parti in causa.

Qualora il dipendente non condivida l’ammontare delle somme liquidate dal giudice contabile e, per l’effetto, allo stesso rimborsabili dall’Amministrazione, ha l’onere di impugnare la decisione sotto tale profilo in quanto la statuizione costituisce un autonomo capo della decisione idoneo al giudicato sostanziale. In mancanza di tale impugnazione, la liquidazione del giudice contabile rappresenta ex lege la misura del diritto al rimborso delle spese legali da parte dell’Amministrazione.

Tale ricostruzione non è, ovviamente, in alcun modo contestata dal giudice amministrativo. L’ulteriore elemento del divieto normativo di compensazione, lascia ulteriormente qualificare l’elevata garanzia che il legislatore ha predisposto per il dipendente assolto.

Stante l’evidente disomogeneità della giurisprudenza sul punto, si deve ritenere maggiormente condivisibile la tesi della non riformabilità, ad opera del parere di congruità dell’Avvocatura, della liquidazione operata dal giudice contabile.

La prospettata ricostruzione del giudice amministrativo, oltre alla non piena sostenibilità della tesi dell’autonomia dei rapporti, stante l’uguaglianza sia dell’oggetto, che dei soggetti della controversia e stante la non con divisibilità dei dubbi di natura “garantista” rispetto al giudicato della Corte dei conti, porterebbe all’assurda soluzione secondo cui il parere dell’Avvocatura di Stato, potrebbe porre nel nulla una decisione operata dal giudice competente, quale quello contabile.

La ricostruzione sopra operata lascia emergere la profonda disomogeneicità giurisprudenziale sul punto, tale da rendere complessa una definitiva qualificazione della questione in oggetto. Per tali motivi, questa Avvocatura nel contesto di prossime e future controversie sul punto, valuterà se proporre regolamento preventivo di giurisdizione, ex art. 41 c.p.c., al fine di una definitiva chiarificazione della eventuale giurisdizione del giudice amministrativo, come da esso affermato con la pronuncia del Consiglio di Stato, sez. III, 28 luglio 2017, n. 3779.

Alla luce del quadro su descritto, però, risulta difficile allo stato poter riconoscere che (…) sia tenuta al pagamento delle spese legali effettivamente sostenute dai soggetti interessati, ed altresì, qualora questo venisse egualmente effettuato, il responsabile ne potrebbe rispondere in via di danno erariale. (…).

Annotazioni conclusive

Va evidenziato come, a supporto delle decisioni indicate dall’Avvocatura di Stato, recentemente la Corte dei conti del Lazio (sentenza n.461/2019) ha condannato per danno erariale il sindaco e l’avvocato comunale per aver disposto la liquidazione della parcella degli avvocati, difensori di alcuni amministratori assolti nel giudizio contabile, superiore all’importo previsto nella sentenza. Sul punto il Collegio contabile ha precisato che l’interpretazione autentica fornita dal legislatore (articolo 10-bis, comma 10, del Dl 203/2005) è netta nel precisare che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito e con la sentenza che definisce il giudizio, liquida l’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all’amministrazione di appartenenza. Il nuovo codice contabile (Dlgs 174/2016), ha confermato la negazione di un rimborso diverso da quello stabilito dal giudice contabile. Infatti, le nuove disposizioni sul rimborso delle spese legali sono state mantenute immutate con la sola eccezione del parere dell’Avvocatura, a conferma dell’intento di evitare possibili dubbi interpretativi.

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