Il caso riguarda una prestazione resa a vantaggio di un ente locale, dove la Corte di Appello avendo individuato la mancanza dell’impegno contabile, ha attribuito la responsabilità al funzionario o amministratore che detta spesa aveva consentito. La Corte di Cassazione (ordinanza n.20563/2019) ha evidenziato che se fosse stato vero che l’azione non era stata impostata sulla base dell’allegazione di un incarico assentito da un qualche amministratore o funzionario, la sua azione avrebbe avuto in tesi una qualche prospettiva di fondatezza solo se la p.a. non avesse eccepito che l’eventuale arricchimento fosse stato “imposto”.
La vicenda
Un custode era stato assunto dal Comune per svolgere l’attività in favore della squadra di calcio che era gestita per conto del Comune da una associazione sportiva. Il Tribunale e successivamente la Corte di Appello hanno negato la responsabilità del Comune ritenendo inammissibile l’azione di ingiustificato arricchimento proposta nei confronti del Comune per mancanza del requisito di sussidiarietà ex art. 2042 cod. civ., potendo l’attore esperire l’azione diretta nei confronti del funzionario dell’Ente locale che aveva conferito l’incarico ovvero consentito l’attività, essendosi l’attività dell’appellante compiuta nella vigenza dell’art. 23 del D.L. n. 66/1989. I giudici di appello hanno, infatti, evidenziato che si era in presenza di una prestazione svolta in mancanza qualsivoglia deliberazione dell’Ente locale dell’impegno di spesa, ovvero anche del successivo riconoscimento dell’impegno.
Il custode ricorre in Cassazione evidenziando come in ogni caso vi fosse stato un ingiustificato arricchimento da parte dell’ente locale che aveva avuto modo di beneficiare della sua prestazione.
Le indicazioni dei giudici di legittimità
Secondo i giudici di Piazza Cavour il ricorrente nel sostenere che non vi fosse stata alcune ingerenza di amministratori o funzionari individuabili, risulta per le sue stesse allegazioni delle memorie depositate in contraddizione. Infatti, in parte della deposizione è stato da lui sostenuto che l’incarico di custode gli era stato conferito in virtù di accodo tra il proprio padre e il Presidente pro tempore dell’Associazione summenzionata, il quale dichiarava di agire di concerto con gli amministratori del Comune. D’altra parte, secondo la Cassazione dove sostiene che non era stato dedotto che qualche amministratore avesse assentito allo svolgimento della propria attività, non si avvede che in tal modo egli stesso prospetta la palese e manifesta mancanza di decisività della censura. Infatti, se anche fosse stato vero che l’azione non era stata impostata sulla base dell’allegazione di un incarico assentito da un qualche amministratore, la sua azione avrebbe avuto in tesi una qualche prospettiva di fondatezza solo se la p.a. non avesse eccepito che l’eventuale arricchimento fosse stato “imposto”. Al riguardo si osserva che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza del 26 maggio 2015, n. 10798, hanno affermato che «Il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, esso potendo, invece, eccepire e provare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole, e che si trattò, quindi, di “arricchimento imposto“».
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