Il caso
Il Consiglio comunale dichiarava il dissesto, alla fine dell’anno 2011 con successivo insediamento della Commissione straordinaria di liquidazione, con conseguente approvazione del bilancio stabilmente riequilibrato. A fronte delle difficoltà di gestione, in costanza della procedura di dissesto, l’ente nel 2016 deliberava di aderire alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ai sensi dell’art.243-bis del Tuel.
I rilievi della Corte territoriale
La Sezione territoriale ha posto, in via preliminare, dubbi sulla possibile contemporanea esistenza, per un medesimo Ente, di procedure di dissesto e di riequilibrio allo stesso tempo, in tale ambito, invece, risulterebbe percorribile la procedura di riequilibrio soltanto per far fronte alla massa passiva rimasta insoddisfatta senza coinvolgere la gestione ordinaria. Tali indicazioni risultavano, secondo l’ente contraddette dal Ministero il quale precisava come il ricorso alla procedura di riequilibrio quale “misura straordinaria per sanare uno squilibrio finanziario, ben prima della stima del potenziale impatto sul bilancio derivante dalla ricaduta delle passività non finanziabili con la massa attiva”. In disparte da questioni di legittimità della procedura, la Corte evidenziava una serie di gravi irregolarità di gestione ed in particolare:
a) mancata ricostituzione dei fondi vincolati;
b) fondo rischi insufficiente;
c) gestione dei tributi fortemente manchevole in considerazine di un basso tasso di riscossione delle entrate;
d) insufficiente stanziamento al Fondo crediti di dubbia esigibilità;
e) continua utilizzazione di anticipazioni di tesoreria non restituite nell’anno.
Le indicazioni delle Sezioni Riunite
Le Sezioni Riunite sono state chiamate a decidere il ricorso dell’ente avverso la deliberazione della Corte regionale circa la mancanza dei presupposti per sostenere il piano di riequilibrio.
Rilevano le SS.RR. in via preliminare come nel caso di specie non rileva la compatibilità tra la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale e la procedura di dissesto o le eventuali interferenze generabili tra le due procedure posto che la procedura di dissesto, nel rispetto del combinato disposto degli articoli 252, comma 4 e 254, comma 3, del Tuel, è riferibile ad atti e fatti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre 2011, anno precedente all’approvazione dell’ipotesi di bilancio riequilibrato approvato in data 7 dicembre 2012, mentre l’oggetto del giudizio attiene all’esame della congruità ed attendibilità del piano di riequilibrio finanziario approvato dall’Ente con deliberazione consiliare ed inerente lo stato finanziario della gestione ordinaria.
Precisata la compatibilità delle due procedure, il Collegio riscontra come il risultato di parte disponibile sia peggiorato dal 2015 al 2016. Avuto riguardo, infatti, al riferimento al solo risultato disponibile esso è definito dall’art. 187, comma 1, del Tuel ai sensi del quale, nel caso in cui il risultato di amministrazione non sia sufficiente a comprendere le quote vincolate, destinate e accantonate, l’ente versa in disavanzo di amministrazione e questo deve essere iscritto tra le spese del bilancio di previsione come disavanzo da ripianare. Tale situazione, di per sé, denota la difficoltà o propria incapacità da parte dell’ente del necessario recupero delle quote annuali di disavanzo, cui confluiscono anche le comprendenti il disavanzo da piano di riequilibrio e la quota annuale di maggiore disavanzo calcolata dall’Ente all’esito delle operazioni di riaccertamento straordinario per l’avvio del nuovo sistema di armonizzazione contabile.
Altro rilevate elemento di criticità è rappresentato da una sottostima fondo crediti di dubbia esigibilità il quale correttamente calcolato avrebbe portato ad una consistente rilevazione di un maggior disavanzo, rispetto a quello calcolato dall’ente. Inoltre, la sottostima del fondo crediti di dubbia esigibilità all’atto delle
operazioni di passaggio al nuovo sistema contabile e la successiva e reiterata errata determinazione di esso in sede di consuntivo appaiono particolarmente gravi poiché, come chiarito dalla Consulta, il fondo crediti assolve alla funzione di precludere l’impiego di risorse di incerta acquisizione trattandosi di un fondo rettificativo, in diminuzione di una posta di entrata, finalizzato a correggere il valore nominale dei crediti dell’ente in relazione alla parte di essi che si prevede di non incassare in corso di esercizio (Corte Costituzionale, sentenza n. 279/2016).
Proprio in merito all’esatta determinazione del risultato/disavanzo di amministrazione si basa la stessa procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, in quanto effettuata in violazione dell’art. 243 bis, comma 6, lett. b), del Tuel ai sensi del quale il piano di riequilibrio deve contenere la puntuale ricognizione, con relativa quantificazione, del disavanzo di amministrazione risultante dall’ultimo rendiconto approvato.
Secondo il consolidato orientamento di queste Sezioni riunite, infatti, “una situazione di disavanzo reale incerta e/o inesatta è da ritenersi di per sé preclusiva all’approvazione del piano” (Sezioni riunite in sede giurisdizionale, in speciale composizione, sentenze n. 38/2015/EL, n. 43/2017/EL, n. 8/2018/EL).
L’ente ha, inoltre, violato le disposizioni contenute nel paragrafo 3.3. del principio contabile allegato 4/2 al D. Lgs. n. 118/2011 poiché il fondo crediti a consuntivo è stato quantificato dall’Ente con i medesimi criteri di calcolo previsti in sede di preventivo (c.d. metodo ridotto), mentre, secondo il su richiamato principio contabile, deve essere accantonato nell’avanzo di amministrazione l’intero importo del fondo crediti, salva la possibilità di ricorso alla modalità semplificata di calcolo che spettava sempre all’Ente specificare e provare.
In misura non dissimile la Corte conferma ulteriori irregolarità contabili e violazioni di legge nell’esame della situazione di cassa dell’Ente, sia in quanto sono state violate le disposizioni di cui agli articoli 162, comma 6, e 193 del Tuel che impongono agli enti locali di garantire un fondo di cassa finale non negativo e gli equilibri durante l’intera gestione, facendo emergere chiaramente il mancato raggiungimento di tali obiettivi imposti ex lege anche nel primo anno di attuazione del piano di riequilibrio. Di non miglior sorte sono da considerare gli insufficiente accantonamenti al fondo rischi da contenzioso dove l’ente ha stanziato un importo pari ad 1 milione di euro a fronte di un accantonamento giudicato congruo di circa 8 milioni di euro.
In sintesi, la sottostima del fondo rischi per contenzioso operata dall’Ente in sede di piano di riequilibrio ed anche negli esercizi successivi di attuazione del piano, al pari della già rilevata sottostima del fondo crediti di dubbia esigibilità anch’esso quota accantonata del risultato di amministrazione, contribuisce ad avvalorare un giudizio di insostenibilità del piano che sin dall’atto della predisposizione non conteneva una puntuale ricognizione e quantificazione di tutti i fattori di squilibrio e dell’effettivo disavanzo di amministrazione.
L’aggravamento della situazione finanziaria in un ente in dissesto
Dopo aver confermato la non congruità delle misure previste dal piano di riequilibrio presentato, evidenzia la Corte come la situazione di disavanzo dell’Ente generatasi successivamente all’approvazione del bilancio stabilmente riequilibrato e che ha condotto alla scelta del ricorso alla procedura di riequilibrio denota una situazione di particolare gravità economico-finanziaria nonché la violazione degli articoli 245, comma 3, 250, comma 1, e 265, comma 2, del Tuel che impongono durante la procedura di dissesto, di assicurare condizioni stabili di equilibrio della gestione finanziaria ordinaria rimuovendo le cause strutturali che hanno determinato il dissesto, di applicare principi di buona amministrazione al fine di non aggravare la posizione debitoria, di mantenere la coerenza con il bilancio riequilibrato e di eseguire le prescrizioni contenute nel decreto ministeriale di approvazione del predetto bilancio riequilibrato. Tale situazione impone alla Corte di controllo di procedere alla segnalazione dei fatti all’Autorità giudiziaria, per l’accertamento delle ipotesi di reato e l’invio degli atti alla Procura della Corte dei conti per l’accertamento delle responsabilità sui fatti di gestione che hanno determinato nuovi squilibri.
Le conseguenze
Confermando, pertanto, il giudizio espresso dalla Corte territoriale sulla non approvazione del piano respingendo il ricorso presentato dall’ente, la vigente normativa, applicabile al caso di specie, obbliga il Ministro dell’Interno con proprio decreto, su proposta della Commissione per stabilità finanziaria degli enti locali, a stabilire le misure necessarie per il risanamento, anche in deroga alle norme vigenti, comunque senza oneri a carico dello Stato, valutando il ricorso alle forme associative e di collaborazione tra enti locali di cui agli articoli da 30 a 34 del Tuel.
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