Riversamento dei compensi per incarichi non autorizzati

Approfondimento di V. Giannotti

La Procura contabile aveva rinviato a giudizio un dipendente pubblico per la percezione di compensi da terzi in mancanza della previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza. Il Collegio contabile, a seguito del recente intervento della Corte di Cassazione, muta il proprio precedente orientamento, precisando come la competenza in materia sia in via esclusiva del giudice ordinario. Infatti, la natura sanzionatoria dell’obbligo di riversamento, previsto dall’art.53 comma 7 TUPI, sarebbe imposta dalla considerazione che, altrimenti opinando, non sarebbe manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale se fosse consentito “che si delineassero prestazioni lavorative senza corrispettivo, consentendo anche l’arricchimento senza causa dell’amministrazione di appartenenza senza alcun riferimento all’incidenza della condotta sul patrimonio della PA”.  In altri termini, secondo i giudici di Palazzo Cavour, la sanzione prevista dalla legge sarebbe funzionale a rafforzare la fedeltà del dipendente pubblico, con la conseguenza che l’obbligo del dipendente di riversare i compensi indebitamente percepiti prescinderebbe quindi dai presupposti della responsabilità amministrativa e sarebbe perciò estraneo ai confini istituzionali della giurisdizione contabile, collegata, per l’appunto, all’esistenza di un danno. Sono queste le conclusioni cui è pervenuta la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Sardegna, sentenza 21/02/2017 n.19.

Il fatto

Un ente locale assumeva un dipendente a tempo determinato, ma successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro veniva accertato che lo stesso dipendente risultasse, nel periodo lavorativo, socio accomandante di una società in accomandita semplice, con titolarità di partita IVA e svolgimento di prestazioni di servizi per terzi. A seguito della verifica da parte della Guardia di Finanza veniva appurato come il citato dipendente avesse percepito compensi di rilevante ammontare nel periodo in cui lo stesso risultava dipendente del citato ente locale, in assenza di autorizzazione dell’amministrazione di appartenza allo svolgimento di incarichi esterni. A fronte di tale violazione di legge, la Procura rinviava a giudizio il dipendente per danno erariale corrispondente all’ammontare dei compensi percepiti in assenza di autorizzazione. in violazione dell’art.53, comma 7, del d.lgs.165/2001. La grave condotta del dipendente è rintracciabile sia nella palese violazione delle norme in tema di incompatibilità tra pubblico impiego ed incarichi retribuiti esterni, sia a fronte delle ripetute autocertificazioni rilasciate dallo stesso di non avere altri rapporti di impiego pubblico o privato e di non trovarsi in nessuna delle situazioni di incompatibilità previste dall’art. 53 D.Lgs. n. 165/2001.

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