Corte Ue: enti pubblici con Iva se la concorrenza è effettiva

Fonte: Il Sole 24 Ore

L’imponibilità ai fini Iva degli enti pubblici continua a dare a livello unionale non pochi problemi interpretativi, problemi che dovevano fare oggetto di una revisione da parte delle autorità di Bruxelles, ma ad oggi il tema è ancora aperto.

A tal punto che la Corte di Giustizia è stata nuovamente chiamata a pronunciarsi sul tema.

La Corte con la sentenza di ieri (causa C-344/15) ha chiarito che un ente di diritto pubblico, il quale eserciti un’attività consistente nell’offrire accesso ad una strada dietro pagamento di un pedaggio, non deve essere considerato in concorrenza con gli operatori privati che riscuotono pedaggi su altre strade a pedaggio sulla base di un contratto con l’ente di diritto pubblico interessato in forza di disposizioni legislative nazionali.

Tali conclusioni possono leggersi come un nuovo tassello interpretativo, che va ad aggiungersi ai precedenti, riguardo la non semplice esegesi dell’articolo 13, paragrafo 1 della direttiva 2006/112/Ce .

La norma in questione, in deroga al principio generale di tassazione ai fini Iva di tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, prevede che qualora le stesse siano esercitate da enti di diritto pubblico nelle vesti di pubblica autorità non sono soggette all’imposta in parola (comma 1). Aggiunge poi che, tuttavia, gli enti che esercitino attività di questo genere devono essere considerati soggetti passivi per dette attività qualora il loro non assoggettamento provocherebbe distorsioni della concorrenza di una certa importanza (comma 2). Il testo normativo per la sua formulazione ha provocato nella sua applicazione delle criticità già oggetto di esame da parte della corte. Particolarmente significativa è stata la sentenza C-288/07 , con la quale la Corte, in termini innovativi, ha specificato che la norma si riferisce non solo alla concorrenza effettiva ma anche a quella potenziale, in quanto, essendo il non assoggettamento all’Iva degli enti di diritto pubblico una deroga, la stessa non può interpretarsi che in termini restrittivi. Con la precisazione che non può assimilarsi ad una concorrenza potenziale, la possibilità meramente teorica per un operatore privato di entrare sul mercato rilevante, laddove non sia corroborata da alcun elemento di fatto, indizi obiettivi o analisi di mercato.

Perché lo sia, tale possibilità deve essere effettiva e non meramente ipotetica.
Quest’interpretazione è stata poi ampliata dalla sentenza C-102/08 , la quale ha affermato che, nel valutare il rischio di distorsioni derivanti dall’esenzione delle prestazioni degli enti pubblici, occorre far riferimento non solo alla concorrenza rappresentata dagli altri competitor privati (sia attuali che potenziali), ma anche ai danni che da tale esenzione potrebbero derivare agli enti stessi. Ritornando al caso attuale, la Corte trae da tali principi la conclusione che la sola presenza sul mercato di operatori privati, senza considerare gli elementi di fatto e gli indizi concreti, non dimostra l’esistenza di una concorrenza effettiva o potenziale, né di una distorsione di concorrenza di una certa importanza. Pertanto, laddove manchi una concorrenza reale tra l’ente di diritto pubblico e gli operatori privati, il primo continua a non considerarsi soggetto passivo d’imposta. Da sottolineare che tale sentenza si pone in netto contrasto con quanto asserito nelle sue conclusioni dall’Avvocato generale che vedeva proprio nella presenza di soggetti privati che riscuotevano pedaggi la possibilità concreta e non solo teorica di accedere all’attività dell’ente pubblico che, per questo dovesse essere considerato soggetto passivo d’imposta.

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