Debiti Pa, il danno oltre la beffa

Fonte: Italia Oggi

Se si ha la disgrazia di essere creditori della pubblica amministrazione italiana – che sia un ente locale o un ente centrale dello Stato – l’unica speranza di essere pagati risiede nella capacità di fare pressione sugli uffici debitori per ottenere ciò che invece dovrebbe arrivare automaticamente, ma non arriva quasi mai: la ricognizione e la certificazione del proprio credito. Ottenendola, se non altro, si potrà ricorrere a una società di factoring specializzata per farsi scontare la fattura. È la beffa che sta aggiungendosi al danno di uno Stato che ormai paga più lentamente della Grecia e di Cipro: che esista una legge e che sia del tutto disattesa per velocizzare i rimborsi. Beffa nella beffa: dal primo gennaio 2013 sarebbe obbligatorio per gli enti pubblici pagare a 30 giorni, e nessuno o quasi lo fa.

«È stato anche principalmente grazie allo spirito d’iniziativa dei nostri clienti che abbiamo potuto fattorizzare centinaia di migliaia di fatture verso lo Stato», conferma Andrea Trupia, direttore commerciale factoring di Banca Sistema, intervenendo negli studi de «La stanza dei bottoni», il talk-show di Class Cnbc sull’attualità gestionale delle imprese, alla puntata sul problema del pagamento dei debiti commerciali della pubblica amministrazione, «Chiunque può immaginare con quale patema d’animo guardiamo ciò che sta accadendo. Ma se la fattura è un credito certificato, di regola non sorgono problemi».

Insomma, un lavoro in più per le imprese, un onere burocratico aggiuntivo: «Sì, ormai per farsi pagare occorre quasi sempre sviluppare un’attività amministrativa aggiuntiva», osserva Raffaele Stefanelli, Finance Director Boston Scientific spa ed esponente del comitato direttivo dell’Andaf (Associazione nazionale direttori amministrativi e finanziari). «Ma la nostra azienda, come tante altre del settore, si sobbarca di buon grado questo lavoro in più, perchè, con buona pace del decreto Passera, è l’unico modo per farsi pagare. Quel che molti non sanno però è che alcuni enti, per allungare le scadenze dei loro pagamenti senza peggiorare la loro classifica, rilasciano gli ordini d’acquisto parecchio tempo dopo aver ricevuto la merce, e quindi sia la fatturazione che i relativi pagamenti si conteggiano da una data d’inizio di molto successiva al vero».

D’altronde, al 5 luglio scorso – data-limite, secondo la legge, entro la quale gli enti pubblici avrebbero dovuto accertare e pubblicare on-line l’elenco dei loro debiti verso i privati – soltanto una metà di essi c’era riuscita. Gli altri ancora rovistano negli archivi. E molti, purtroppo, non riusciranno a fare ordine: soprattutto nel Sud ci sono Comuni, Asl, Province e Regioni che si affidano ancora ad una specie di aberrante «tradizione orale» sulle partite commerciali in essere con i fornitori privati.

Non a caso, la media dei tempi di pagamento dello Stato italiano segna il record negativo nell’Unione europa: «Nel 2012 siamo stati anche peggio della Grecia con una media di 180 giorni», ricorda Alberto Saravalle, avvocato dello Studio Bonelli Erede Pappalardo, di cui è stato anche presidente, oltre che numero due alle ultime elezioni nella lista «Fare per fermare il declino». «La Grecia era stata l’anno prima il fanalino di coda nell’Europa a 27, con 174 giorni di attesa media per i pagamenti pubblici, ma l’Italia è riuscita a far peggio. La Spagna paga in media a 160 giorni, Cipro a 80, il Paese più virtuoso è la Finlandia che paga a 24. Abbiamo perso molte posizioni, tre anni fa eravamo a 128 giorni medi».

Quel che sotto la cenere inizia a covare è però l’accumulo dei nuovi ritardi: perchè dal primo gennaio, con l’obbligatorio recepimento della direttiva europea in materia, anche l’Italia ha dovuto accettare di pagare a 30 giorni, ma non ci sta riuscendo: non ci sono ancora statistiche ufficiali, ma la sensazione è che non sia cambiato assolutamente nulla nel malcostume della pubblica amministrazione e soprattutto, all’interno del suo ambito, degli enti pubblici meno virtuosi.

L’ambito territoriale più corretto è invece quello lombardo, dove la Regione è accettabilmente puntuale, spiega Giuseppe Vivace, segretario generale della Confederazione nazionale dell’artigianato: «Sì, soprattutto nel settore sanitario le cose vanno meglio, la Regione Lombardia paga al massimo in 60 giorni, un termine direi ragionevole. Ma non basta una Regione sola… L’impressione è che il governo abbiano costruito soluzioni artificiose, per la mancanza della volontà politica di estendere l’ambito delle compensazioni: crediti commerciali contro debiti fiscali o previdenziali, e già molte aziende respirerebbero!».

«Invece ha prevalso la ricerca di annunci a effetto», rincara Saravalle, «quella che abbiamo visto negli ultimi anni: si va in tv, si fanno promesse, poi non succede nulla ma l’effetto annuncio è stato raggiunto. Dobbiamo augurarci che le norme vengano cambiate, e che si attui quella che considero la migliore proposta alternativa, che lo Stato emetta tanti titoli pubblici quanti sono quelli che servirebbero per pagare i suoi debiti. Aumenterebbe il totale del debito pubblico rilevante per l’Unione europea, d’accordo, ma sarebbe una sacrosanta operazione-trasparenza. O, per lo meno, dovrebbe essere adottata la soluzione suggerita dalla Fondazione Centro Studi Astrid in base alla quale lo Stato dovrebbe solo garantire il pagamento dei suoi debiti attraverso la mediazione della Cassa depositi e prestiti, il che permetterebbe alle banche di fattorizzarli finanziandosi poi presso la Bce».

All’atto pratico, dunque, non resta che il factoring, come soluzione pratica per chi ha ottenuto la certificazione del suo credito e purchè alla fine il cliente pubblico entro sei mesi paghi: altrimenti la maggior parte delle società di factoring e delle banche non accetta di fattorizzare i crediti dei privati se non in misura minima, e in questi casi neanche il prosoluto aiuta: «Anche per le regole della Banca d’Italia», conclude Trupia, «le banche che fanno anticipo fatture o factoring dopo un certo periodo di tempo che è scaduto il credito devono in qualche modo chiedere il rimborso anche se il debitore ultimo è un ente pubblico». La sintesi? Beffarda, e drammatica: il problema dei debiti della P.A. è ancora irrisolto, tutto da gestire. Qualche palliativo può essere utilmente adottato, ma la soluzione radicale è ancora lontana dall’essere stata trovata.

 

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