TRIBUTI – Il “fatto del terzo” può determinare l’inapplicabilità delle sanzioni per omesso versamento

Con comunicato del 07/10/2014 la rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate rende noto che:

Il contribuente non è punibile (e lo stesso vale per il sostituto e il responsabile d’imposta) quando dimostra che il pagamento del tributo non è stato eseguito “per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi” (articolo 6, comma 3, del Dlgs 472/1997).

Si tratta, tecnicamente, di una “esimente” o causa di non punibilità, cioè di una norma che esclude l’applicazione delle sanzioni al verificarsi di determinate circostanze. L’imposta, invece, è sempre dovuta.

 In primo luogo, quindi, è esclusa la punibilità per “fatto del terzo” limitatamente nel caso di violazione per omesso o insufficiente versamento. In secondo luogo, il contribuente non è punibile soltanto se dimostra che responsabile di tale violazione è esclusivamente il terzo.

Tale esimente, infatti, è espressione del principio generale della personalità della responsabilità per le sanzioni amministrative tributarie, secondo cui, per tutti i soggetti diversi dagli enti collettivi, “la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione” (articolo 2, comma 2, del Dlgs 472/1997), ossia alla persona fisica che ha materialmente attuato il comportamento trasgressivo.

Ciò, coerentemente con il modello penalistico alla base della riforma del sistema sanzionatorio tributario introdotta con il Dlgs 472/1997, secondo l’impostazione già adottata in materia di sanzioni amministrative (legge 689/1981).

 La norma, inoltre, non presuppone la condanna del terzo, ma è sufficiente la denuncia del fatto illecito a lui esclusivamente addebitabile, pure quando “il terzo” sia un soggetto diverso da un professionista qualificato iscritto in appositi albi, come precisato con circolare n. 180/1998.

Sotto questo profilo, tuttavia, gioca un suo ruolo il principio di colpevolezza, secondo cui, ai fini della responsabilità, occorre che l’azione od omissione, oltre che cosciente e volontaria, sia anche colpevole, cioè che si possa rimproverare all’agente di avere tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quanto meno negligente.

 Il contribuente, infatti, è comunque responsabile per le sanzioni quando conferisce il mandato, per l’esecuzione del pagamento, a un soggetto non affidabile secondo criteri di ordinaria diligenza.

In altri termini, è rilevante la cosiddetta culpa in eligendo del contribuente, che è comunque punibile se “colpevole” nella scelta del soggetto incaricato di effettuare il versamento.

Si giunge alla stessa conclusione quando vi sia stata culpa in vigilando, ossia quando il contribuente abbia trascurato di controllare l’effettivo assolvimento dell’obbligo tributario.

 

Quest’ultimo concetto è stato chiaramente espresso dalla Corte suprema, secondo cui “gli obblighi di presentazione della dichiarazione dei redditi non possono considerarsi assolti con l’affidamento del relativo incarico al professionista, in quanto è richiesto che il contribuente dimostri di avere posto in essere un’attività di controllo e di vigilanza sulla loro effettiva esecuzione, ai fini di escludere la responsabilità per assenza di colpa per le sanzioni eventualmente irrogate… Il contribuente, al fine di escludere qualsiasi profilo di negligenza, è chiamato a dimostrare di avere svolto atti diretti al controllo dell’effettivo operato del consulente, mediante una prova nel concreto superabile soltanto a fronte di un comportamento fraudolento del professionista che abbia mascherato l’inadempimento” (Cassazione, ordinanza 12473/2010).

 Ciò posto, oltre alla descritta esimente del “fatto del terzo”, un’altra forma di tutela del contribuente vittima incolpevole del comportamento altrui, è il procedimento delineato dall’articolo 1 della legge 423/1995. Si tratta, in particolare, del procedimento che disciplina la sospensione della riscossione delle sanzioni per omesso versamento, su istanza del contribuente, fino al giudizio di condanna definitiva del terzo, e l’eventuale commutazione e sgravio delle somme sospese.

Secondo la circolare n. 180/1998 e la consolidata giurisprudenza, infatti, l’articolo 6, comma 3, del Dlgs 472/1997, non ha abrogato l’articolo 1 della legge 423/1995, in base al quale, precisamente al comma 2, “la sospensione è disposta dal responsabile della direzione regionale delle entrate territorialmente competente, che provvede su istanza del contribuente o del sostituto d’imposta, da presentare unitamente alla copia della denuncia del fatto illecito all’autorità giudiziaria o ad un ufficiale di polizia giudiziaria, dopo il pagamento dell’imposta ancora dovuta, e sempre che il contribuente dimostri di aver provvisto il professionista delle somme necessarie al versamento omesso, ritardato o insufficiente”.

 In base alla lettera della norma, pertanto, tale procedura riguarda esclusivamente le sanzioni pecuniarie e non anche l’imposta dovuta, il cui versamento, anzi, costituisce uno dei presupposti per ottenere il beneficio della sospensione delle sanzioni.

Dopo che la sentenza di condanna è divenuta definitiva, l’ufficio che ha irrogato le sanzioni commuta l’atto di irrogazione a carico del professionista e ne dispone lo sgravio in favore del contribuente.

Nel caso in cui intervenga una sentenza declaratoria di amnistia o di intervenuta prescrizione del reato o di non doversi procedere per motivi di natura processuale, il contribuente potrà continuare ad avvalersi della sospensione del pagamento delle sanzioni “a condizione che promuova azione civile entro tre mesi dalla sentenza, fornendone prova all’Ufficio tributario competente”.

In tale ipotesi, lo sgravio del pagamento delle sanzioni a favore del contribuente è disposto “qualora il professionista sia condannato nel giudizio civile con sentenza irrevocabile”. Invece, nel caso in cui l’azione penale nei confronti del professionista si concluda con una sentenza assolutoria, l’ufficio delle Entrate revocherà il provvedimento di sospensione e procederà alla riscossione delle sanzioni a carico del contribuente con una maggiorazione pari al 50% delle stesse.

Per tutta la durata del giudizio penale a carico del professionista, i termini di prescrizione e di decadenza previsti per la irrogazione delle sanzioni sono sospesi (articolo 1, commi 3, 4 e 5, legge 423/1995).

 Nel caso di violazione per omesso versamento addebitabile esclusivamente al fatto illecito del terzo, inoltre, il contribuente può in alcune ipotesi ottenere la sospensione del tributo.

L’articolo 1, comma 6-bis, della legge 423/1995, infatti, prevede la possibilità, per il contribuente che versi in “comprovate difficoltà di ordine economico”, di ottenere la sospensione del tributo (e dei relativi interessi), per i due anni successivi alla scadenza del pagamento.

In questa situazione, occorre che il contribuente abbia presentato la relativa istanza e denuncia del professionista, e che dimostri di aver provvisto quest’ultimo delle somme necessarie a effettuare il versamento.

La sospensione del tributo, tuttavia, è disposta solo dopo che il contribuente ha rilasciato apposita garanzia nelle forme previste per i rimborsi Iva (articolo 38-bis del Dpr 633/1972), per la durata corrispondente al periodo dell’agevolazione concessa.

Sono, poi, dovuti gli interessi al tasso del 4,5% annuo (articolo 21, primo comma, del Dpr 602/1973).

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