MAGGIOLI EDITORE - Bilancio e contabilità


Debiti dell’ente e patto di stabilità

La Corte dei conti, sez. di controllo per la Regione Sardegna, nella deliberazione n. 118/2011 in risposta ad una richiesta di parere pervenuto, ha affrontato le problematiche nascenti dal pagamento dei debiti di una pubblica amministrazione tenuta al rispetto del patto di stabilità, fornendo opportuni indirizzi comportamentali per i funzionari e per gli organi politici. La questione ha avuto ad oggetto gli interessi per ritardata corresponsione dei corrispettivi concernenti la realizzazione di opere pubbliche a fronte dei vincoli conseguenti al rispetto del patto di stabilità.

Nello specifico, la Corte ha affrontato la questione se la liquidazione degli interessi per ritardato pagamento possa avvenire direttamente, nel rispetto della normativa vigente per i lavori pubblici, oppure debba avvenire obbligatoriamente con riconoscimento di debito fuori bilancio e ciò anche qualora risulti una sufficiente disponibilità finanziaria nel quadro economico finalizzato alla realizzazione dei lavori. Inoltre, in questa ultima evenienza, considerato che il debito fuori bilancio non può rientrare nella lettera e) dell’art. 194 del d.lgs. 267/2000 in quanto dal pagamento degli interessi non deriva utilità ed arricchimento per l’ente, il riconoscimento debba rientrare necessariamente nella lettera a) del medesimo articolo, cioè possa avvenire solo a seguito di sentenza esecutiva o atti equiparati. Si rammenta, infatti, che l’art. 194 del t.u.e.l. dispone il riconoscimento di legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da:

1) sentenze esecutive; 2) copertura di disavanzi di consorzi, di aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi, purché sia stato rispettato l’obbligo di pareggio del bilancio di cui all’articolo 114 del t.u.e.l. ed il disavanzo derivi da fatti di gestione;

3) ricapitalizzazione, nei limiti e nelle forme previste dal codice civile o da norme speciali, di società di capitali costituite per l’esercizio di servizi pubblici locali;

4) procedure espropriative o di occupazione d’urgenza per opere di pubblica utilità;

5) acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 191, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza.

La sezione, ha evidenziato che il debito fuori bilancio è ogni debito che non risulti preventivamente previsto nel bilancio dell’ente e, quindi, impegnato, su quel bilancio, nelle forme di legge, in coincidenza con l’assunzione di un’obbligazione giuridicamente perfezionata. Conseguentemente, secondo la Corte l’obbligazione di pagamento d’interessi per il ritardato pagamento non può non configurare un’ipotesi di debito fuori bilancio.

Nel caso specifico non era possibile il riconoscimento del debito per interessi all’interno delle spese di cui alla lettera e) dell’art. 194, poiché per tali spese non era ipotizzabile un’utilità per l’ente. Pertanto, in mancanza del requisito dell’utilità (art. 194, comma 1, lettera e del t.u.e.l.) l’ente non potrebbe riconoscere spontaneamente il debito per interessi.

Tuttavia la Corte ha fatto notare che non è neppure pensabile che un ente, in presenza di un’obbligazione di interessi di mora per ritardato pagamento debba farsi trascinare in giudizio, al fine di poter fare rientrare il debito nella fattispecie di cui alla lettera a) del citato comma 1 dell’art. 194 t.u.e.l. e subire le ulteriori conseguenze negative della condanna alle spese del giudizio, nonché, a seguito della riforma del codice di procedura civile, le conseguenze di una condanna alle spese aggravata per avere resistito nel giudizio con mala fede o colpa grave (si veda, a questo proposito, l’art. 246-bis del Codice dei contratti aggiornato al d.l. 13.5.2011, n. 70 c.d. “decreto sviluppo”, convertito in l. n. 106 del 12 luglio 2011).

La Corte dei conti ha descritto, pertanto, un modus operandi che ha ritenuto più corretto per risolvere la questione in esame. Infatti, ha affermato che, qualora l’obbligazione degli interessi scaturisca dal mancato pagamento di un credito certo, liquido ed esigibile del creditore, l’ente debitore debba prendere nella dovuta considerazione la richiesta del creditore e non farsi trascinare in un rovinoso giudizio. Resta in ogni caso fermo che l’ente debba comunque verificare la fondatezza e correttezza delle richieste della parte privata e potrà valutare l’opportunità di tentare di giungere a un accordo transattivo in cui dovranno, ovviamente, essere ben chiare le reciproche concessioni.

Conseguentemente l’amministrazione non può procrastinare il pagamento né deve subire il giudizio per l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione assunta. Il pagamento deve essere quanto mai veloce, poiché un pagamento tempestivo riduce l’importo da pagare, limitando gli interessi moratori che maturano di giorno in giorno. In ogni caso, secondo la Corte, resta comunque impregiudicato il problema della responsabilità, per cui è comunque obbligatoria la comunicazione alla competente Procura contabile, nonché un passaggio in Consiglio per l’assunzione delle opportune variazioni di bilancio, ferma restando l’esigenza del pareggio del bilancio medesimo.

Altra questione concerne il caso in cui durante l’esecuzione dell’appalto si verifichino le condizioni che impongano il blocco dei pagamenti per il rispetto del patto di stabilità. In questo caso ci si domanda se sia o meno necessario provvedere alla sospensione dell’appalto per evitare il danno erariale connesso all’inevitabile maturare di interessi per ritardato pagamento. Secondo la Corte, in questa evenienza, la questione va risolta caso per caso. Infatti un ente soggetto al patto di stabilità deve valutare ex ante le sue possibilità di assumere obbligazioni a fronte dei limiti cogenti imposti dal patto stesso.

Qualora nel corso dell’esercizio, con la prosecuzione dell’appalto, si dovesse verificare la condizione della violazione del patto a causa dell’incremento del carico finanziario dell’ente, questo ultimo dovrà valutare sia il costo del ritardato pagamento sia il costo di eventuali penali, domande risarcitorie e quant’altro. Anche in questo caso, la Corte ha tenuto a precisare che rimangono impregiudicate le eventuali responsabilità amministrative. In ogni caso, secondo la Corte, prima ancora del problema della responsabilità amministrativa, ogni ente, in presenza di fatti gestionali che sfociano nella patologia, ha l’onere di attivarsi attraverso un’indagine amministrativa interna, al fine non solo di rilevare eventuali responsabilità, le quali non necessariamente potranno sfociare in responsabilità amministrative o contabili, ovvero civili o penali, ma anche e soprattutto di valutare quali comportamenti assumere per eliminare le patologie individuate.

La Corte ha evidenziato, infine, che, indipendentemente dalla responsabilità del funzionario che gestisce la gara è l’ente che, in sede di approvazione del bilancio, deve predisporre e modulare o riformulare il programma delle opere pubbliche e degli appalti in relazione alle possibilità di spesa che il patto di stabilità permette. Né l’ente è autorizzato a selezionare modalità operative che si risolvono, comunque, in una elusione del patto di stabilità interno. di Salvio Biancardi

Fonte: La Gazzetta degli Enti locali


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