MAGGIOLI EDITORE - Bilancio e contabilità


Partecipazioni paritarie con altri enti locali - Parere della Corte dei Conti

Deliberazione 990 /2012/PAR
Parere in ordine alla interpretazione dell’art. 14, comma 32, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, in particolare “se i comuni, con popolazione compresa tra i 30.000 e i 50.000 abitanti, ai sensi della predetta normativa, “possono detenere la partecipazione di una sola società”, possano escludere da tale vincolo le partecipazioni paritarie o se debbano porre in liquidazione tutte le partecipazioni societarie, tranne una, incluse quelle paritarie”.

 

LA CORTE DEI CONTI SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER IL VENETO

nell’adunanza del 27 novembre 2012 composta da
Dott.ssa Enrica DEL VICARIO Presidente
Dott. Tiziano TESSARO Referendario
Dott. Francesco MAFFEI Referendario relatore
Dott.ssa Francesca DIMITA  Referendario

VISTO l’art. 100, secondo comma, della Costituzione;
VISTO il Testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni; VISTA la Legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti; VISTO il Regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti con il quale è stata istituita in ogni Regione ad autonomia ordinaria la Sezione regionale di controllo, deliberato dalle Sezioni Riunite in data 16 giugno 2000, modificato da ultimo con deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 229 del 19 giugno 2008;
VISTA la Legge 5 giugno 2003, n. 131 recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla Legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3”, ed in particolare, l’art. 7, comma 8°;
VISTI gli indirizzi e criteri generali per l’esercizio dell’attività consultiva approvati dalla Sezione delle Autonomie nell’adunanza del 27 aprile 2004, come modificati e integrati dalla delibera n.9/SEZAUT/2009/INPR del 3 luglio 2009 e, da ultimo dalla deliberazione delle Sezioni Riunite in sede di controllo n. 54 del 17 novembre 2010;
VISTA la richiesta di parere del Sindaco di Belluno del 3 ottobre 2012, acquisita al prot. CdC n. 7577 del 9 ottobre 2012; VISTA l’ordinanza n. 72 del 2012 con la quale il Presidente di questa Sezione di controllo ha convocato la Sezione per l’odierna seduta;
UDITO il magistrato relatore, Dott. Francesco Maffei;
FATTO Il Sindaco del Comune di Belluno, con popolazione di circa 36.000 abitanti, con la nota indicata in epigrafe ha posto un quesito in ordine all’interpretazione dell’art. 14, comma 32, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

Nella richiesta il Sindaco premette che il Comune di Belluno detiene partecipazioni in diverse società, tra le quali le Società BIM Gestione Servizi Pubblici s.p.a. e BIM Belluno infrastrutture s.p.a, entrambe partecipate, in quote paritarie, da 67 comuni (tutti con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti) della provincia di Belluno, appartenenti al bacino imbrifero montano del Piave. Posto che l’art. 14, comma 32, dopo aver previsto una serie di disposizioni limitative in ordine alla partecipazione societaria da parte dei comuni con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti, al quarto periodo dispone che “ la disposizione di cui al presente comma non si applica alle società, con partecipazione paritaria ovvero con partecipazione proporzionale al numero degli abitanti, costituite da più comuni la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti” e che, di seguito, al quinto periodo, prevede che “i comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere la partecipazione di una sola società”, il Sindaco del Comune di Belluno chiede se i comuni, con popolazione compresa tra i 30.000 e i 50.000 abitanti, che, ai sensi della predetta normativa, “possono detenere la partecipazione di una sola società”, possano escludere da tale vincolo le partecipazioni paritarie o se debbano porre in liquidazione tutte le partecipazioni societarie, tranne una, incluse quelle paritarie.

DIRITTO

La richiesta del Comune di Belluno è stata espressamente formulata ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 203,n. 131. In via preliminare, va affermata la sussistenza dei requisiti di ammissibilità, soggettivi ed oggettivi, per la formulazione dei pareri, secondo i criteri fissati dalla Sezione delle Autonomie della Corte dei conti, con atto di indirizzo del 27 aprile 2004 e con deliberazione n. 5/AUT/2006 del 10 marzo 2006. Alla luce dei sopra richiamati criteri, la richiesta di parere in esame deve ritenersi soggettivamente ammissibile, con riguardo sia all’ente interessato a ricever il parere, cioè il Comune, sia all’organo che formalmente lo ha richiesto, il Sindaco, organo politico di vertice e rappresentante legale dell’Ente. In ordine poi alla sussistenza dei requisiti oggettivi, occorre preliminarmente accertare se la richiesta di parere sia riconducibile alla materia della contabilità pubblica, nonché se sussistano o meno i requisiti di generalità ed astrattezza, unitamente alla considerazione che il quesito non può implicare valutazioni inerenti i comportamenti amministrativi da porre in essere, ancor più se connessi ad atti già adottati o comportamenti espletati. Con riferimento al caso in questione, la Sezione ritiene sia riconducibile al concetto unitario di contabilità pubblica, delineato dalla richiamata delibera n. 54/2010 della Sezioni Riunite in sede di controllo della Corte dei conti, che comprende non solo il “ sistema di principi e norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale della Stato e degli Enti pubblici” ma anche “ i quesiti che risultino connessi alle modalità di utilizzo delle risorse pubbliche, nel quadro di specifici obiettivi di contenimento della spesa, sanciti dai principi di coordinamento della finanza pubblica (…) contenuti nelle leggi finanziarie, in grado di ripercuotersi sulla sana gestione finanziaria dell’ente e sui pertinenti equilibri di bilancio”. Il quesito, infatti, concerne l’applicazione e l’interpretazione di una norma inerente alla contabilità pubblica in ragione degli evidenti riflessi che il fenomeno delle società partecipate riveste per la finanza pubblica e per la formazione e gestione dei bilanci degli enti locali. In ordine alla sussistenza degli altri requisiti di ammissibilità oggettiva, la Sezione ritiene che la richiesta di parere in esame non risulta interferire con altre funzioni intestate alla Corte dei conti o ad altre magistrature; presenta il carattere di astrattezza nel limiti in cui, dall’esame della fattispecie concreta, potranno essere indicati principi interpretativi di carattere generale, utilizzabili anche da parte di altri enti, qualora insorgesse la medesima questione interpretativa. Alla luce delle considerazioni che precedono, il parere è ammissibile anche dal punto di vista oggettivo. Quanto al merito, la Sezione fa presente che la disciplina relativa alle società partecipate è stata oggetto, negli ultimi anni, di ripetuti interventi legislativi che hanno radicalmente mutato l’originario quadro normativo di riferimento. Difatti, da una iniziale logica di favore, si è passati ad una rigida disciplina di evidente restrizione verso l’utilizzazione dello strumento societario. Si è, infatti, riscontrata l’esigenza, da una parte, di dare effettività ai principi comunitari, evitando che lo strumento societario possa costituire un veicolo per eludere le regole poste a tutela del mercato e della concorrenza; dall’altra, di contrastare fenomeni elusivi, relativi al rispetto del patto di stabilità interno e dei vincoli in materia di assunzione di personale e di indebitamento, previsti dal legislatore in sede di contenimento della spesa pubblica. In questa prospettiva, si collocano le previsioni di cui all’art. 3, commi 27 e ss., della legge 24 dicembre 2007, n. 244, che, agendo sotto il profilo della capacità di agire di tutte le amministrazioni, ha previsto la legittimità soltanto di quelle società che producono beni e servizi strettamente necessari al perseguimento delle finalità istituzionali, fatta salva la costituzione e l’assunzione di partecipazioni in società che producono beni e servizi di interesse generale e/o che forniscono servizi di committenza. Restrizioni più rigorose alla capacità negoziale degli enti locali sono state, invece, introdotte dall’art. 14, comma 32, del citato d.l. 78/2010 (il cui testo è stato oggetto di numerose modifiche successive) che impone, alle partecipazioni societarie detenute dai comuni, un ridimensionamento ope legis ancora più drastico, soprattutto con riferimento ai comuni piccoli o di medie dimensioni. Questo non solo in un’ottica antielusiva e di salvaguardia della concorrenza, ma anche per limitare la capacità amministrativa dei comuni più piccoli, in modo da evitare “ eccessivi indebitamenti da parte di enti le cui piccole dimensioni non consentono un ritorno economico in grado di compensare le eventuali perdite subite ” (Corte cost. sentenza n. 148/2012). In tal modo, la dimensione demografica dell’ente (popolazione inferiore a 30.000 abitanti, o compresa tra i 30.000 e i 50.000 abitanti) diventa il riferimento, stabilito dal legislatore, sul quale parametrare la sostenibilità delle varie partecipazioni societarie. Per quanto concerne, in particolare, la disciplina prevista dal comma 32 dell’art. 14, la cui interpretazione costituisce l’oggetto del quesito, la Sezione ritiene opportuno richiamare quanto disposto dalla norma in argomento, in materia di partecipazione societarie per i comuni con popolazione fino a 50 mila abitanti, facendo riferimento alle singole parti del citato comma. Il primo periodo è di carattere perentorio. Infatti, si dispone che i comuni, con popolazione inferiore a 30.000 abitanti, non possano costituire società. Il secondo periodo, riferito sempre ai comuni con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti, prevede un obbligo di liquidazione o di dismissione delle società già costituite alla data di entrata in vigore del decreto legge, stabilendo anche il termine del 31 dicembre 2012. Il terzo periodo, anch’esso riferito ai comuni con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti, introduce un’eccezione al sopra indicato obbligo di dismissione, prevedendo che le disposizioni, di cui al secondo periodo, non si applicano ai comuni con popolazione fino a 30.000 abitanti, nel caso in cui le società già costituite: a) abbiano, al 31 dicembre 2012, il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi; b) non abbiano subìto, nei precedenti esercizi, riduzioni di capitale conseguenti a perdite di bilancio; c) non abbiano subìto, nei precedenti esercizi, perdite di bilancio in conseguenza delle quali il comune sia stato gravato dell’obbligo di procedere al ripiano delle perdite. Pertanto, appare di tutta evidenza che (in base a quanto disposto dal terzo periodo della norma de quo, alla presenza dei sopra richiamati presupposti) ai comuni sotto i 30.000 abitanti non si applicano le disposizioni del secondo periodo (obbligo di liquidazione e dismissione delle partecipazione già detenute), fermo restando comunque il divieto di costituzione di nuove società, di cui al primo periodo. Ne discende che, nelle ipotesi indicate, i comuni possono continuare a detenere la partecipazione in società già costituite, senza che risulti alcuna limitazione numerica riferita alla partecipazione societaria, ma a tutte quelle possedute all’entrata in vigore della norma, purché ricorrano i presupposti sopra specificati. Proseguendo nell’analisi della norma, il quarto periodo prevede, invece, che “la disposizione di cui al presente comma” non si applica alle società, con partecipazione paritaria ovvero proporzionale al numero degli abitanti, costituite da più comuni, la cui popolazione complessiva superi le 30.000 unità. In questo caso, la norma letteralmente dispone la non applicazione di tutte le disposizioni contenute nel “presente comma” e, quindi, nell’intero comma 32 dell’articolo 14, riferito sia alla parte che prescrive il divieto di costituzione di nuove società (primo periodo), sia a quella che prevede i termini di dismissione (secondo periodo), sia, conseguentemente, alla parte in cui vengono individuate le eccezioni all’applicazione dei precedenti precetti (terzo periodo). Pertanto, il tenore letterale del quarto periodo della disposizione porta ad affermare che, in caso di partecipazione in misura paritaria (o proporzionale al numero degli abitanti) da parte di più comuni, le società possano essere mantenute o, addirittura, costituite ex novo, purché gli enti soci raggiungano una popolazione complessiva superiore ai 30.000 abitanti. Tale precetto appare, del resto, conforme alla ratio della norma che ha voluto evitare la creazione ed il mantenimento di società prive di adeguate economie di scala nella gestione dei servizi affidati, costituenti, conseguentemente, un costo maggiore del beneficio che il comune socio riceve. Rimane da evidenziare che, anche in questo caso, la disposizione non limita la costituzione/mantenimento ad una sola società pluripartecipata. Il quinto periodo della norma, con riferimento ad un’altra categoria di comuni di maggiori dimensioni, prevede invece che “i comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere la partecipazione di una sola società”. Il problema interpretativo sollevato dal comune istante concerne proprio l’applicazione della sopra indicata eccezione, prevista dal quarto periodo del comma, anche ai comuni con popolazione compresa fra 30 e 50 mila abitanti, oggetto di esplicita attenzione da parte del legislatore, soltanto, in questo quinto periodo dove si dispone la detenzione di una sola partecipazione societaria. A questo proposito, la Sezione ritiene di aderire all’orientamento interpretativo, richiamato anche nella richiesta di parere (Sezione Lombardia deliberazione n. 417/2012/PAR), che estende l’applicazione dell’eccezione, di cui al quarto periodo del comma 32, dell’art. 14, anche ai comuni con popolazione compresa fra i 30 e i 50 mila abitanti, consentendo così la possibilità a quest’ultimi di derogare alla prescrizione che impone la partecipazione di un sola società, in caso di società con partecipazioni paritaria o proporzionale al numero degli abitanti. Tale conclusione è condivisa dal Collegio sia per ragioni di ordine letterale sia per ragioni di carattere sistematico che si vanno di seguito ad esporre. Si è già evidenziato che il quarto periodo del comma 32, riferisce l’eccezione, relativa alla costituzione o al mantenimento della società pluripartecipate, a tutto il “comma” dell’art. 14. Tale disposizione contiene, infatti, la disciplina delle partecipazioni societarie per tutti i comuni con popolazione fino a 50.000 abitanti stabilendo, per i comuni con popolazione inferiore ai 30.000, un divieto di costituzione e di mantenimento delle società partecipate (tranne le ipotesi delle società c.d. “virtuose” nel senso precisato dalle lettere a), b) e c) della norma) e l’obbligo di un’unica partecipazione societaria per i comuni con popolazione compresa tra i 30.000 e i 50.000 abitanti; il tutto, salvo l’eccezione di cui al quarto periodo per le società con partecipazione paritaria o proporzionale al numero di abitanti, costituite da più comuni la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti. Tale interpretazione, ad avviso del Collegio, risulta tra l’altro conforme alla ratio della norma che, come precisato dalla citata sentenza della Corte costituzionale, vuole tutelare la capacità di indebitamento degli enti di piccole dimensioni, che non sarebbero in grado di fare fronte e di compensare le eventuali perdite subite dall’organismo societario, con conseguente ripercussione negativa sui propri equilibri di bilancio. La soglia dei 30.000 abitanti diventa, pertanto, la soglia demografica che consente una partecipazione societaria, sia in forma singola da parte di un solo ente, sia in forma associata da parte di più comuni. D’altra parte, un’interpretazione che non prevede per i comuni con popolazione compresa tra i 30 e i 50 abitanti, alcuna eccezione all’obbligo di detenere un’unica partecipazione societaria, anche in caso di costituzione o mantenimento assieme ad altri comuni (con partecipazione paritaria o proporzionale al numero di abitanti), porrebbe questi ultimi in una posizione deteriore rispetto a quelli di fascia demografica inferiore (a cui, in linea di principio, non sarebbe addirittura consentito costituire alcuna società). Pertanto, in base alle considerazioni sopra esposte, il Collegio ritiene che, per un comune, con popolazione compresa tra i 30 e i 50 mila abitanti, possano considerarsi escluse dall’obbligo di detenere la partecipazione di una sola società, le partecipazioni paritarie con altri enti locali. La Sezione ricorda, inoltre, che, per la predetta tipologia di enti, resta, comunque, fermo il rispetto degli obblighi di cui all’art. 3, comma 27 della L 244/2007 in ordine alle finalità ed agli scopi che l’ente deve perseguire attraverso il modello societario (posta la clausola di salvezza contenuta nello stesso comma 32, dell’art. 14 del d.l. 78/2010) e l’obbligo di liquidazione delle ulteriori società già costituite e che non siano partecipate in misura paritaria o proporzionale anche dal altri comuni, in base ad una scelta che è rimessa all’esclusiva discrezionalità e responsabilità dell’ente in questione.

 PQM

La Sezione regionale di controllo per il Veneto rende il parere nei termini sopra indicati.

Copia della presente deliberazione sarà trasmessa, a cura del Direttore della Segreteria, al Sindaco del Comune di Belluno.

Così deliberato in Venezia, nella Camera di Consiglio del 27 novembre 2012.

 


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