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Diritto d’imbarco passeggeri sempre imponibile ai fini Iva

Con comunicato del 28/03/2014 della rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate (Fisco Oggi) si rende noto che:

Il diritto di imbarco per passeggeri riscosso dalla compagnia aerea – previsto e disciplinato dagli articoli 1 e 5 della legge 324/1976 – è assoggettabile a Iva al momento della rivalsa del vettore nei confronti del passeggero.

Questo il principio giuridico statuito dalla Cassazione nella sentenza n. 5362 del 7 marzo 2014, che ha accolto le ragioni dell’Amministrazione finanziaria.

 I fatti di causa

Nel calcolo del versamento dell’Iva relativa al mese di novembre 2003, una compagnia aerea aveva ricompreso anche i diritti d’imbarco dalla stessa riscossi nei confronti dei propri passeggeri, al fine di rivalersi delle somme già versate all’ente di gestione aeroportuale, ai sensi degli articoli 1 e 5 della legge 324/1976 (i quali, rispettivamente, dispongono che “il movimento degli aeromobili privati e delle persone negli aeroporti nazionali aperti al traffico aereo civile è assoggettato al pagamento dei seguenti diritti:…b) diritto di imbarco per passeggeri” e che “il diritto è dovuto direttamente dal vettore che se ne rivale nei confronti del passeggero”).

Tuttavia, la contribuente – ritenendo che i diritti in questione non fossero corrispettivi imponibili – ha chiesto il rimborso del tributo cautelativamente versato e, formatosi il silenzio-rifiuto, ha proposto ricorso dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale.

 I giudici tributari di primo grado hanno accolto il ricorso – con sentenza confermata in appello – nella considerazione che il diritto di imbarco, non costituendo un corrispettivo di un servizio reso agli utenti, ma integrando una tassa, non è imponibile ai fini Iva.

Al riguardo, i giudici tributari hanno escluso la configurabilità del rapporto costo-servizio tra l’addebito e la riscossione dei diritti d’imbarco e il servizio di trasporto eseguito dalla compagnia aerea, in quanto le attività d’imbarco svolte dall’ente di gestione degli aeroporti non sono di diretto interesse della compagnia aerea, la quale può svolgere il servizio di trasporto indipendentemente dall’attività di riscossione dei diritti d’imbarco.

 Avverso tale decisione, l’Agenzia delle Entrate propone ricorso in Cassazione, per violazione del richiamato articolo 5 della legge 324/1976 e degli articoli 13 e 15 del Dpr 633/1972, sostenendo che i diritti d’imbarco in oggetto sono assoggettabili a Iva nel momento della rivalsa del vettore nei confronti del passeggero.

Ciò in quanto, da un lato, quando il vettore trasla il costo della tassa sul passeggero, ingloba la tassa nel corrispettivo del trasporto e, dall’altro, la natura di tassa non esclude l’imponibilità ai fini Iva, essendo noti numerosi casi di confluenza di oneri tributari nella base imponibile dell’Iva.

 La decisione della Cassazione

Per la Corte suprema, il ricorso è fondato. Infatti, i diritti d’imbarco in questione devono essere necessariamente corrisposti dal vettore, il quale ne trasla il costo sul passeggero, pertanto – sulla scorta di quanto precisato dalle sezioni unite della Corte (cfr ordinanza 3044/2013) – “…i presupposti delle obbligazioni gravanti a questo titolo sul vettore aereo risultano interamente regolati dalla legge…”.

La medesima ordinanza, prosegue la Corte, nel chiarire la distinzione fra il pagamento di tasse e diritti aeroportuali in questione e il pagamento di corrispettivi per l’uso delle infrastrutture e dei beni dell’aerostazione, ha sancito l’inapplicabilità, al caso di specie, dell’articolo 9, comma 1, n. 6, del Dpr 633/1972 – che esclude l’imponibilità dei “servizi prestati nei porti, autoporti, aeroporti e negli scali ferroviari di confine che riflettono direttamente il funzionamento e la manutenzione degli impianti ovvero il movimento di beni o mezzi di trasporto…” – al novero dei quali, dunque, sono estranei i diritti d’imbarco in oggetto.

 Inoltre, continua la Cassazione, “la circostanza che il vettore sia tenuto al pagamento dei diritti non appena si verifichi il presupposto di legge, ossia il movimento degli aeromobili privati e delle persone negli aeroporti nazionali aperti al traffico aereo civile, comporta che non è utilmente configurabile un rapporto di mandato, per di più con rappresentanza, fra passeggero (mandante) e vettore (mandatario) avente ad oggetto il pagamento dei diritti; e ciò in quanto, si ribadisce, la fonte dell’obbligo di pagamento si rinviene nella legge e non già in un qualsivoglia contratto”.

Ne consegue, anche, “l’inapplicabilità dell’ipotesi di esclusione dalla base imponibile dell’Iva contemplata dal decreto n. 633 del 1972, articolo 15, comma 1, n. 3, relativa alle ‘somme dovute a titolo di rimborso delle anticipazioni fatte in nome e per conto della controparte, purché regolarmente documentate’”.

 Nel caso di specie, invece, trova diretta applicazione il disposto di cui all’articolo 13 del Dpr Iva, nella parte in cui ragguaglia la base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi “…all’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al committente, aumentato delle integrazioni direttamente connesse con i corrispettivi dovuti da altri soggetti”.

In altri termini, la circostanza che l’obbligo di pagamento dei diritti è posto a carico del vettore – in ogni ipotesi di movimento degli aeromobili privati e delle persone negli aeroporti nazionali aperti al traffico aereo civile – ne evidenzia in maniera incontrovertibile il nesso diretto con la prestazione del servizio di trasporto.

In sostanza, secondo il parere della Corte suprema, “…il pagamento dei diritti va ad integrare un elemento di costo direttamente connesso alla prestazione del servizio, indipendentemente dalle diverse modalità…prescelte per la sua traslazione sul passeggero, di guisa che esso comunque contribuisce a formare la base imponibile dell’imposta, anche qualora s’intendano configurare i diritti che ne sono oggetto come tributo”.

 In conclusione, i diritti d’imbarco sono in ogni caso elementi della base imponibile dell’Iva, essendo errata l’asserzione secondo cui lo svolgimento del servizio di trasporto da parte della società contribuente può prescindere dall’attività di riscossione dei diritti d’imbarco, atteso che il vettore è tenuto al pagamento dei diritti d’imbarco proprio allorquando si verifica il presupposto di legge del movimento degli aeromobili privati e delle persone negli aeroporti nazionali aperti al traffico aereo civile.


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