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È sufficiente il 770 per provare l’omesso versamento delle ritenute.

Con comunicato del 26/05/2014 la rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate (Fisco Oggi) rende noto che:

Non è necessario verificare se i dipendenti hanno ricevuto l’attestazione relativa agli emolumenti da parte del sostituto d’imposta, poiché la presentazione, da parte di quest’ultimo, della dichiarazione annuale dei dati fiscali, contributivi e assicurativi relativi alle retribuzioni (modello 770), con allegate le attestazioni nominative, è indice “inequivocabile” delle ritenute operate e del loro omesso versamento.

È questa la decisione espressa dalla Corte di cassazione con la sentenza 19454 del 12 maggio 2014.

Il fatto

La vicenda trae origine dalla condanna di un contribuente, per il reato di omesso versamento delle ritenute, da parte della Corte di appello di Brescia che, confermando parzialmente il giudizio di primo grado, ha riconosciuto la sua colpevolezza infliggendogli la pena detentiva di cinque mesi e ventiquattro giorni.

 I giudici di merito hanno riscontrato che è stato presentato modello 770, con allegate le attestazioni nominative. Ciò palesava chiaramente che erano state effettuate le ritenute alla fonte sui redditi dei dipendenti, con rilascio agli stessi della relativa documentazione (Cud).

 Il contribuente, nell’appello, ha eccepito la nullità del decreto di citazione a giudizio, poiché l’atto era stato notificato nello studio dell’avvocato difensore, nonostante egli avesse espressamente dichiarato di non voler eleggere il domicilio in tale sede, per evitare che eventuali notifiche non avvenissero in mano propria. Però, venuto a conoscenza della citazione e avendo rilasciato procura speciale al proprio avvocato per la richiesta del rito abbreviato, secondo la Corte d’appello, aveva di fatto sanato l’atto.

 A seguito della decisione di merito a lui sfavorevole, l’imprenditore ha presentato ricorso per cassazione, denunciando l’inosservanza delle norme processuali e la mancanza della motivazione della sentenza di secondo grado.

Nel ricorso di legittimità, ha addotto come la Corte di appello non abbia preso in considerazione la seconda pagina dell’atto di nomina del proprio difensore, nella quale, espressamente, l’imprenditore aveva dichiarato di non voler accettare le notifiche presso lo stesso, ai sensi dell’articolo 157, comma 8-bis, del codice di procedura penale, mentre, proprio alla luce di tale articolo, la notifica era avvenuta nelle mani del legale, precludendogli la possibilità di rifiutare la consegna dell’atto.

Inoltre, il ricorrente ha richiesto l’intervento dei giudici di legittimità relativamente al mancato chiarimento, da parte dei giudici di merito, del fatto che la decisione era stata presa nonostante non vi fosse alcuna prova sulla consegna dei documenti attestanti le certificazioni delle somme trattenute che avrebbero dovuto essere versate allo Stato. Tant’è che lo stesso Pubblico ministero, nel corso delle indagini, aveva fatto espressa richiesta all’Agenzia delle Entrate e questa aveva comunicato l’impossibilità di verificare se, effettivamente, le certificazioni delle ritenute fossero state rilasciate, inducendo la Corte d’appello a effettuare, in sede decisionale, una presunzione in mancanza della prova.

 La decisione del Collegio

La Corte di cassazione ha riconosciuto che il giudice di merito di primo grado, in effetti, non ha tenuto conto che la notifica dell’atto era avvenuta nelle mani del difensore, come previsto dall’articolo 159 cpp, e che la procura speciale era stata rilasciata nel momento stesso dell’atto di nomina del difensore di fiducia (prima della notifica dell’atto di citazione); nel contempo, però, avendo il contribuente eccepito la tardività della notifica dell’atto di citazione, il tribunale aveva disposto la rinnovazione della citazione e, all’udienza, il difensore del contribuente si era presentato munito di procura speciale, adendo l’applicazione del rito abbreviato condizionato all’acquisizione della documentazione. Richiesta rigettata dal tribunale, con successiva domanda – da parte della difesa – di prosecuzione del processo secondo il “rito abbreviato secco”.

Secondo gli atti del tribunale, prima della richiesta del rito abbreviato, non era stata eccepita la nullità del decreto di citazione nei termini prospettati, né con l’atto d’appello né, successivamente, in sede di ricorso.

 Alla luce della giurisprudenza della Corte di cassazione, il giudizio abbreviato costituisce un procedimento a prova contratta alla base del quale è identificabile un patteggiamento negoziale sul rito: le parti accettano che la regiudicanda sia definita in udienza preliminare alla stregua degli atti di indagine già acquisiti e rinunciano a chiedere ulteriori mezzi di prova, accettando, dunque, che gli elementi raccolti durante le indagini preliminari assurgano a prova.

Continuano i giudici di piazza Cavour, che la scelta del rito speciale (abbreviato) opera un effetto sanante delle nullità, ai sensi dell’articolo 183 cpp e, secondo la giurisprudenza della Corte, “la notifica della citazione effettuata presso la residenza dell’imputato, nonostante egli abbia eletto domicilio, determina una nullità a regime intermedio, non assoluta, essendo la notifica comunque idonea a determinare l’effettiva conoscenza dell’atto notificato”.

Calando quanto detto al caso concreto, il difensore non ha mai eccepito che la notifica della citazione in giudizio fosse avvenuta in mano propria e non del contribuente, e, inoltre, dopo aver ottenuto la rinnovazione della citazione per tardività, in forza della procura speciale rilasciatagli dall’imputato, ha richiesto l’applicazione del rito abbreviato.

 Per quanto concerne il reato di omesso versamento delle ritenute fiscali da parte dell’imprenditore, la Cassazione rileva che, nella normativa sanzionatoria dell’articolo 10-bis del Dlgs 74/2000, il legislatore, nel reintrodurre la sanzione penale sull’omesso versamento, ha ritenuto opportuno precisare che la disciplina si applica soltanto alle ritenute operate alla fonte dal datore di lavoro, come sostituto di imposta, sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti, facendo espresso riferimento alle certificazioni a questi rilasciate. Pertanto, la prova andrebbe ricercata proprio nelle certificazioni stesse, senza ricorrere a elementi o atti equipollenti.

L’onere della prova in merito alle certificazioni attestanti le ritenute operate dal sostituto d’imposta, essendo esse stesse elemento costitutivo del reato, spetta alla pubblica accusa, che può far ricorso a prove documentali o a prove indiziarie.

 Pertanto, il Collegio, facendo propria la decisione della Corte d’appello, ha ribadito che la prova del rilascio della certificazione dovuta per le ritenute alla fonte, effettuate dal datore di lavoro, può essere ricavata da un dato inequivocabile proveniente dallo stesso imprenditore che ha presentato la dichiarazione del modello 770.

Dunque, non è necessaria la verifica della consegna dei modelli Cud da parte del datore di lavoro, l’ammontare delle detrazioni fiscali – che sono state operate a monte dall’imprenditore – si evincono dal modello 770 presentato con allegate le attestazioni nominative, il che è da ritenersi indice inequivocabile delle ritenute da questi operate.

In definitiva – chiarisce la Corte – con la presentazione del modello 770 è lo stesso datore di lavoro a dichiarare il quantum dell’imposta che avrebbe dovuto versare all’Erario.


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