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Conciliazione giudiziale: modificabile l’accordo sulla rendita catastale.

Con comunicato del 07/07/2014 la rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate (Fisco Oggi) rende noto che:

La definitività dell’individuazione del presupposto impositivo, della determinazione della relativa base imponibile o del conseguente tasso d’imposta contenuta nell’atto di conciliazione giudiziale è posta in dubbio dalla pronuncia del Supremo collegio in commento (sentenze 26 marzo 2014, nn. 7057 e 7058), in presenza di una modificazione unilaterale dell’ufficio finanziario a favore del contribuente intervenuta successivamente al perfezionamento di tale modalità di determinazione dell’obbligo fiscale, con affermazioni così drastiche da non permettere (per nostra esclusiva colpa, evidentemente) di rilevare quale sia stato l’iter motivazionale.

 Infatti, nelle sentenze del Supremo collegio sull’argomento, l’immodificabilità dell’assetto scaturente dall’atto conciliativo è sempre stata ritenuta essere elemento caratterizzante, come emerge dalle decisioni 22 aprile 2005, n. 8455 e 12 aprile 2005, nn.7505 e 7506, per le quali la conciliazione giudiziale implica la definizione di poteri dispositivi delle parti sulla lite tributaria nelle proprie pronunce. In questo senso si veda anche la successiva pronuncia della Corte regolatrice del diritto 13 ottobre 2006, n. 21325, per la quale la conciliazione giudiziale determina un assetto negoziale paritariamente formato e avente natura novativa rispetto alle pretese originarie di ciascuna delle parti, al quale assetto si applicano le norme sui contratti, con l’effetto che gli errori di calcolo sono successivamente emendabili se rilevabili prima facie e con una semplice operazione di calcolo (che, in quel caso, è stata esclusa per l’erronea individuazione delle aliquote fiscali effettuata nell’atto conciliativo sull’imponibile concordato tra le parti).

 L’immodificabilità del rapporto fiscalmente rilevante è statuita dall’articolo 48 del Dlgs n. 546/1992, di revisione organica della disciplina del contenzioso tributario, ma relativamente a quella controversia, in quanto il secondo periodo del quinto comma prevede che, per la conciliazione intervenuta fuori udienza, il presidente della Commissione, se ravvisa la sussistenza dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità, dichiara con decreto l’estinzione del giudizio e che – per le conciliazioni realizzate direttamente in udienza – “la proposta di conciliazione ed il decreto tengono luogo del processo verbale di cui al comma 3”.

A tal fine, è opportuno rammentare come la Corte di legittimità, nella sentenza 24 maggio 2013, n. 12947, abbia affermato che, se il provvedimento sub iudice è identico ad altro nei cui confronti il giudice aveva accertato definitivamente la cessazione della materia del contendere, essendo venuta meno la pretesa fiscale a seguito di conciliazione giudiziale, tale pretesa fiscale non può più risorgere dopo che si è irrevocabilmente accertato la sua definitività.

Tale conclusione è stata ritenuta fondata dalla cennata pronuncia di Cassazione seppure la Commissione tributaria regionale successivamente abbia inteso limitare la conciliazione giudiziale ad alcune contestazioni scaturenti dall’avviso di accertamento impugnato: quel che conta è che il decreto di estinzione, riportato nel suo letterale tenore, abbia dichiarato integralmente la cessata materia del contendere con riferimento allo stesso avviso di accertamento.

 La limitazione temporale dell’assetto scaturente dall’atto di conciliazione giudiziale rinviene la sua giustificazione nel particolare giudizio sulla rendita catastale ammessa dall’articolo 2 della legge sul contenzioso giudiziale del 1992, il quale, al secondo comma, dispone che appartengono altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale.

Come parimenti noto, la rendita catastale risulta essere un parametro per la determinazione della base imponibile di molti tributi, sia diretti, sia indiretti, con l’effetto che ben può risultare non più rispondente alle qualità dell’immobile, come ammesso dalla decisione in rassegna, “qualora sopravvenga un mutamento delle condizioni o dei parametri posti alla base di quell’accordo che giustifichi il riesame della situazione”.

In buona sostanza, se l’individuazione di un presupposto impositivo, la determinazione della relativa base imponibile oppure del conseguente tasso d’imposta oggetto dell’accordo conciliativo riguardi l’accertamento dell’obbligo tributario precedente, nessun dubbio sulla vincolatività della conciliazione giudiziale, ma se tale accertamento della rendita catastale rilevi anche per la determinazione futura del gravame tributario, dalla data di istanza del contribuente l’atto conciliativo non dispone per il futuro (soprattutto quando, come nel caso di specie, la riduzione dal 3 al 2% del tasso di fruttuosità degli immobili a destinazione speciale è stata ammessa dallo stesso ufficio finanziario).


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