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La Commissione tributaria deve quantificare la pretesa erariale ritenuta corretta.

Con comunicato del 07/11/2014 la rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate rendo noto che:

L’ufficio finanziario aveva rettificato il valore indicato dalla società nell’atto di acquisto di un terreno allegando la stima dell’Ute, nella cui motivazione era indicata l’ubicazione del terreno in una zona di interesse turistico balneare a carattere stagionale, l’estensione, il confine con il mare, l’ottima veduta panoramica e la classificazione della zona nel piano territoriale paesistico n. 1 della Gallura.

La Commissione tributaria regionale aveva dichiarato l’illegittimità della rettifica “in mancanza di prova di concreti trasferimenti dello stesso immobile o di immobili di analoghe caratteristiche, da indicare nell’avviso di rettifica, avvenute entro il triennio che precede il momento del trasferimento”, in tal modo ritenendo non rispettato il criterio impositivo dettato dall’articolo 51, comma 3, della legge di Registro approvata con il Dpr131/1986.

Come noto, la disposizione ivi contenuta prevede che, per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari, l’ufficio del Registro, ai fini dell’eventuale rettifica, controlla il valore di cui al comma 1 avendo riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto o a quella in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni, ovvero al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data e nella stessa località per gli investimenti immobiliari, nonché a ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai Comuni.

La pronuncia della Cassazione n. 14418/2014, in primo luogo, afferma che in tema di Invim e di imposta di registro, poiché dinanzi al giudice tributario l’Amministrazione finanziaria è sullo stesso piano del contribuente, la relazione di stima di un immobile, redatta dall’Ufficio tecnico erariale, prodotta dall’Amministrazione finanziaria costituisce una semplice perizia di parte.

Da ciò, il condivisibile effetto che a tale perizia di fonte pubblica può essere attribuito il valore di atto pubblico soltanto per quel che concerne la sua provenienza, ma non anche per quel che riguarda il suo contenuto, come ben rilevato dai precedenti giurisprudenziali del Supremo collegio espressi nella sentenza di legittimità 23 luglio 2007, n. 16263.

Peraltro, è da rilevarsi come nella decisione 13 settembre 2006, n. 19593, la Corte regolatrice del diritto affermava che le Commissioni tributarie possono discostarsi dai pareri tecnici espressi dall’Ute, purché tale dissenso sia fondato su argomentazioni logiche e opponga alle considerazioni tecniche dell’ufficio altre della stessa indole, dirette a invalidare o contestare gli elementi di fatto posti dall’Ute a base del proprio parere.

La pronuncia della Cassazione in commento si segnala in quanto ritiene che nel processo tributario esiste un maggiore spazio per le prove cosiddette atipiche, comprensive anche della perizia (di parte), la quale può costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento della propria decisione a condizione che spieghi le ragioni per le quali la ritenga corretta e convincente.

In base a tale constatazione, i Supremi giudici hanno ritenuto che l’ufficio finanziario, “pur avendo utilizzato una motivazione astratta, avendo allegato la stima Ute” ha, comunque, posto i contribuenti in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, potendo contestarla efficacemente sia con riferimento all’an che al quantum.

Tale conclusione è giustificata dall’asserzione che “qualora il giudice tributario ravvisi la parziale infondatezza della pretesa fiscale dell’amministrazione, non deve, né può, limitarsi ad annullare l’avviso di accertamento, ma deve quantificare la pretesa tributaria ritenuta corretta, entro i limiti posti dal petitum delle parti”.


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