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Fondazione Commercialisti - Considerazioni sulla non applicabilità della riduzione del 10% del compenso

Con comunicato del 13/02/2015 la Fondazione Nazionale Commercialisti rende noto che:

Il comma 3 dell’art. 6 del DL 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, dalla Legge 3 luglio 2010, n. 122, rubricato “Riduzione dei costi degli apparati amministrativi”, dispone che “Fermo restando quanto previsto dall’art. 1, comma 58 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, a decorrere dal 1° gennaio 2011 le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorità indipendenti, ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del  30  aprile 2010. Sino al 31 dicembre 2015, gli emolumenti di cui al presente comma non possono superare gli importi risultanti alla data del  30  aprile 2010, come ridotti ai sensi del presente comma. Le disposizioni del presente comma si applicano ai commissari straordinari del Governo di cui all’articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400 nonché agli altri commissari straordinari, comunque denominati. La riduzione non si applica al trattamento retributivo di servizio”.

Com’è noto, la norma, con riferimento agli organi di revisione degli enti locali, ha generato diversi orientamenti interpretativi. Sul tema si ritiene, pertanto, opportuno richiamare, da ultimo, la pronuncia della Corte dei Conti, Sezione delle autonomie, n. 4 del 10 febbraio 2014.

In particolare la Corte, chiamata a pronunciarsi sull’applicazione dell’art. 5, comma 7 del citato decreto ai componenti dei Consigli di amministrazione dei Consorzi di enti locali che siano partecipati anche da Regioni, dopo aver premesso, in via di metodo, la necessità di attuare “un approccio sistematico diretto ad individuare l’ambito unitario di riferimento della disciplina normativa in argomento”, giunge alla conclusione che “nella materia di che trattasi la disciplina normativa si distingue in due specifici ambiti applicativi di riferimento: uno relativo al complesso organizzativo in cui sono strutturati gli enti territoriali, l’altro riferito al simmetrico complesso organizzativo della Pubblica amministrazione, esclusi gli enti territoriali”.

“Tale uniformità di disciplina”, prosegue la Corte, “rappresenta una costante dello specifico settore che emerge da un’attenta analisi delle disposizioni normative che si sono succedute nella materia. Da questa rassegna delle norme si evincono i due obiettivi perseguiti dal legislatore: da un lato, sfoltire gli apparati amministrativi di tutti quegli organismi non caratterizzati dalla necessarietà strutturale-istituzionale, dall’altro ridurre il peso economico degli organi di governo necessari, affidando tale compito all’autonomia dei medesimi organi, salvo intervenire sugli aspetti già disciplinati dalla legge generale”.

Non viene meno a questa logica, ritiene la Corte, nemmeno il decreto in esame, che intervenendo ad innovare la medesima materia, mantiene sempre la evidenziata distinzione di ambiti applicativi. Nella sua disamina, la Corte, peraltro, non omette di effettuare un breve riferimento anche alle pronunce delle precedenti Sezioni regionali, evidenziando come le stesse avessero tuttavia utilizzato chiavi interpretative limitate al solo contesto normativo in esame.

Conclude, la Corte, per quanto qui d’interesse, che “le disposizioni dettate dall’art. 6, commi da 1 a 3 non si riferiscono agli enti territoriali, come si evince non solo dal contesto oggettivo, ma anche dall’espresso riferimento, nel comma 1, agli organi collegiali di cui all’art. 68, comma 1, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, (e cioè gli organismi operanti presso la Pubblica amministrazioni che sono stati reputati utili) e nel comma 3, all’art. 1, comma 58 della legge finanziaria per il 2006 che, come sopra ricordato, ne esclude espressamente l’applicazione agli enti territoriali (art. 1, comma 64). In sostanza gli apparati amministrativi ai quali fa riferimento l’art. 6 non includono quelli degli enti territoriali; il generico riferimento alle ‘pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196’ va letto sempre tenendo conto che tale disposizione integra quella contenuta nel già ricordato comma 58 dell’art. 1 della legge finanziaria per il 2006 che, pur richiamando in quella stessa disposizione, le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2 del decreto legislativo 165/2001, non era applicabile agli enti territoriali come disponeva il successivo comma 64”.

In conformità al giudizio della Corte si ritiene, dunque, che la riduzione dei compensi disciplinata dalla disposizione in oggetto, art. 6, comma 3 del DL n. 78/2010, non si applichi agli enti territoriali e, conseguentemente, ai compensi degli organi di revisione degli enti locali.


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