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La gestione economica e giuridica delle avvocature interne - Compensi e fondo integrativo, Irap e trattamento economico complessivo
Inizialmente la Ragioneria Generale dello Stato e l’ARAN hanno ritenuto che non fosse possibile finanziare il pagamento di incentivi professionali - con riferimento a sentenze favorevoli con compensazione di spese - con risorse di bilancio attraverso le ordinarie azioni contabili.

Compensi e fondo integrativo

Inizialmente la Ragioneria Generale dello Stato e l’ARAN hanno ritenuto che non fosse possibile finanziare il pagamento di incentivi professionali – con riferimento a sentenze favorevoli con compensazione di spese – con risorse di bilancio attraverso le ordinarie azioni contabili. Tali risorse infatti, non rispettando il requisito della auto alimentazione, sono assoggettate ai vincoli dettati dall’articolo 1, comma 557 della legge 266/2006 sia in termini di soggezione ai limiti imposti dal legislatore. A supporto di tale decisione la RGS ha indicato le conclusioni a cui è pervenuta la deliberazione n. 56/contr/2011 della Corte dei Conti – Sezioni Riunite, la quale ha escluso dalle risorse non soggette ai vincoli, soltanto i compensi derivanti da condanna della controparte al pagamento delle spese di giudizio precisando che: “… Si tratta di una norma volta a rafforzare il limite posto alla crescita della spesa di personale che prescinde da ogni considerazione relativa alla provenienza delle risorse, applicabile, pertanto, anche nel caso in cui l’ente disponga di risorse aggiuntive derivanti da incrementi di entrata. Tuttavia, hanno precisato che sono da escludere dal tetto relativo alla contrattazione decentrata i compensi per l’avvocatura derivanti da condanna della controparte alle spese in giudizio …”. le attuali disposizioni legislative prevedono ora che le risorse, a fronte delle cause con spese compensate (ovvero le transazioni successive alle sentenze favorevoli), trovano il loro limite in un importo che non può essere superiore a quello iscritto nel fondo delle risorse decentrate nell’anno 2013. Mentre per quanto riguarda le risorse provenienti dalle sentenze favorevoli con spese a carico della controparte, il limite dovrà essere fissato dal regolamento dell’ente secondo la propria autonomia. In ogni caso la somma dei compensi ricevuti da ogni avvocato interno (sia in caso di spese compensate che nel caso di spese poste a carico della controparte) non potrà essere superiore al valore del trattamento economico complessivo.

La magistratura contabile (tra le tante Corte dei conti del Piemonte, deliberazione 02/02/2018 n.20) i compensi professionali dei legali interni non possano trovare applicazione i limiti previsti dalla normativa di contabilità pubblica per la retribuzione accessoria del personale dipendente, ivi incluse le disposizioni di cui all’art.1, comma 236, della legge 208/2015 e s.m.i. sulla dinamica di crescita del fondo integrativo. Tale conclusione è dovuta al fatto che, nel caso delle avvocature pubbliche, si è in presenza dello svolgimento di attività professionale non in via occasionale ma quale espressione specifica della prestazione lavorativa, lasciando ritenere che ci si trovi in presenza non di un incentivo, costituente una voce del trattamento accessorio, come tale finalizzato ad incrementare la produttività del personale dell’amministrazione, bensì che sia più corretto inquadrare i compensi professionali come quota parte, a titolo di onorari, della retribuzione ordinariamente spettante al legale interno, conseguita in funzione dell’attività professionale svolta nell’interesse dell’ente sulla base del contratto di lavoro. In modo non diverso anche la Sezione della Campania (deliberazione n.235/2017) secondo cui depongono per l’esclusione, dai limiti del salario accessorio (art.9, comma 2-bis, d.l.78/2010; art.1, comma 236, della legge n.208/2015), anche i compensi professionali riferiti alle cause vittoriose con compensazioni delle spese per le seguenti rilevanti ragioni:
a) La giurisprudenza contabile formatasi sulla problematica ha precisato come “appare fuorviante e non corretto considerare i compensi ai legali interni quale trattamento accessorio incentivante, rappresentando viceversa gli stessi retribuzione per l’attività professionale espletata in favore dell’Ente pubblico, precisando altresì che è del tutto irrilevante la derivazione dei compensi dalla condanna di controparte alle spese del giudizio, piuttosto che dalla loro compensazione tra le parti” ( cfr. Corte dei conti, Sez. reg. contr. Friuli Venezia Giulia 12/2015; Sezione regionale di controllo della Liguria n. 86/2013);
b) Il d.l.90/2014 ha innovato la disciplina dei compensi professionali liquidati agli avvocati pubblici e, in particolare, in merito alle spese compensate per sentenze favorevoli ha indicato un nuovo vincolo costituito dal non superamento del corrispondente importo stanziato nell’anno 2013.

In ragione della convergenza verso l’esclusione dei limiti, la RGS nel conto annuale 2020 aveva avuto modo di precisare come anche gli incentivi per le avvocature interne riferite alle spese compensate rientrerebbero tra i compensi esclusi. A seguito di tale cambiamento, gli enti che avessero seguito dal 2016 l’inclusione dei compensi per spese compensate, sono stati posti nella condizione di dover riclassificare le precedenti tabelle 15, nonché i fondi decentrati approvati e certificati, in ragione della rilevanza anche per il calcolo del fondo 2018 per i Comuni e le Regioni, cui si applicano le disposizioni del d.l. 34/2019 e del Decreto 17 marzo 2020, al fine di avere un valore pro capite corretto, ossia il rapporto tra fondo e personale a tempo indeterminato presente al 31/12/2018.

Il problema dell’IRAP

Mentre non vi è alcun dubbio che, gli incentivi tecnici e quelli corrisposti alle avvocature interne debbano essere distribuiti ai dipendenti al netto degli oneri assistenziali e previdenziali a carico dell’ente, la giurisprudenza amministrativa (tra le tante Consiglio di Stato, sentenza n.4970/2017) e parte di quella contabile hanno invece ritenuto che l’IRAP dovesse restare a solo carico dell’ente. Di contrario avviso, su tale posta fiscale, è la Cassazione (sentenza n.21398/2019) secondo la quale non è ammissibile che una parte del costo resti a carico dell’ente locale, con la conseguenza che le amministrazioni dovranno quantificare le somme che gravano sull’ente a titolo di IRAP, rendendole indisponibili, e successivamente procedere alla ripartizione dell’incentivo, corrispondendo lo stesso ai dipendenti interessati al netto degli oneri assicurativi e previdenziali. Questa è la corretta interpretazione della normativa, a suo tempo già indicata dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti (deliberazione n.33/2010) secondo la quale, le disposizioni sulla provvista e la copertura degli oneri di personale (tra cui l’IRAP) si riflettono in sostanza sulle disponibilità dei fondi per la progettazione e per l’avvocatura interna, ripartibili nei confronti dei dipendenti aventi titolo, da calcolare al netto delle risorse necessarie alla copertura dell’onere IRAP gravante sull’amministrazione. In altri termini, la percentuale di incentivazione prevista dai regolamenti interni, deve prevedere l’iniziale scorporo dell’IRAP per essere successivamente distribuita ai dipendenti al netto degli oneri previdenziali e assistenziali, eventuali disposizioni che prevedono spese ulteriori per gli enti locali, con IRAP a carico dei medesimi, sono da considerarsi nulle per violazioni di norme imperative. Così è corretto il regolamento che distribuisce i compensi agli avvocati per il solo 80/85% delle somme introitate dalla parte soccombente, restando a disposizione dell’entrata dell’ente il rimanente 20/15% da destinare alla copertura degli oneri fiscali (IRAP) e di spese diverse per la provvista di risorse per gli stessi uffici dell’avvocatura. Errato è, invece, prevedere nel regolamento il 100% dei compensi da riversare agli avvocati e poi procedere su questi compensi allo scorporo dell’IRAP, in quanto in questo modo si trasferisce su l’avvocato un onere non di sua competenza.

Il trattamento economico complessivo

I compensi professionali relativi all’avvocatura interna degli enti locali per le spese compensate, prevede sia un tetto di natura oggettiva, rispetto al complesso delle risorse destinabili dall’ente alla corresponsione dei compensi con risorse che non possono superare il corrispondente importo già stanziato per l’anno 2013, sia di natura soggettiva, riferito cioè al trattamento retributivo individuale del singolo dipendente, in quanto i compensi potranno essere corrisposti “in modo da attribuire a ciascun avvocato una somma non superiore al suo trattamento economico complessivo”. In merito alle spese del “riscosso” o “liquidato”, ossia nell’ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati dipendenti delle amministrazioni nella misura e con le modalità stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva e, comunque, nel limite del trattamento economico complessivo maturato di anno in anno. Per entrambi i compensi, secondo la Corte dei conti della Puglia (deliberazione n.66/2023) devono essere rispettati i principi contabili.

In merito alla contabilizzazione delle cause vittoriose per l’ente, sia in presenza di spese compensate sia in caso di spese da recuperare alla parte soccombente, il principio contabile da rispettare è il paragrafo 5.2, lettera a) (spese di personale), ultimo alinea, contenuto nell’allegato 4/2 al D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118, prevede “per quanto riguarda la spesa nei confronti dei dipendenti addetti all’Avvocatura, considerato che la normativa prevede la liquidazione dell’incentivo solo in caso di esito del giudizio favorevole all’ente, si è in presenza di una obbligazione passiva condizionata al verificarsi di un evento, con riferimento al quale non è possibile impegnare alcuna spesa. In tale situazione l’ente deve limitarsi ad accantonare le risorse necessarie per il pagamento degli incentivi ai legali dipendenti, stanziando nell’esercizio le relative spese che, in assenza di impegno, incrementano il risultato di amministrazione, che dovrà essere vincolato alla copertura delle eventuali spese legali”. I compensi debbono transitare per i dirigenti dell’avvocatura nel fondo per il finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato della dirigenza (art. 57, comma 2, lett. b), CCNL 17/12/2020) sia nel fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività, per il personale non dirigente (ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. c), del CCNL Funzioni locali del 21 maggio 2018, attualmente art. 79, comma 2 lett. a CCNL Funzioni locali 2019-2021).

Il Collegio contabile, in coerenza con la magistratura contabile (Tra le tante: Sezione Liguria deliberazione n. 76/2021) ha indicato la corretta procedura, ossia: a) in fase previsionale, l’ente è tenuto a stanziare le necessarie risorse nell’esercizio in cui verosimilmente l’obbligazione si prevede possa giuridicamente perfezionarsi; b) qualora, l’obbligazione dovesse divenire esigibile in un esercizio successivo a quello in cui sia stato appostato lo stanziamento, quest’ultimo confluirà nel risultato di amministrazione vincolato; c) le relative risorse dovranno confluire nel fondo dell’esercizio in cui l’obbligazione diviene esigibile; d) qualora l’amministrazione abbia costituito il fondo in un esercizio includendovi le risorse necessarie alla liquidazione dei compensi professionali dei propri legali, ma le obbligazioni si dovessero rendere esigibili in esercizi successivi, sarà necessario che esse siano traslate nella parte vincolata del risultato di amministrazione e poi, nell’esercizio in cui sono esigibili spostate nel fondo ed erogate al professionista.
Tale indicazione trova conferma anche nella Sentenza n. 45 del 31 gennaio 2019 del Tar Molise, dove è stato precisato che la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 236/2017 (confermata dalla sentenza n. 128/2022), abbia stigmatizzato il criterio di applicazione, del vigente e del previgente regime, della “competenza”, e non invece quello della “cassa” ossia che il credito per gli onorari spettanti si forma sulla base del titolo giuridico prescindere dal successivo incasso negli anni successivi.
Per i magistrati pugliesi, pertanto, si richiede all’ente una puntuale attività ricognitiva e valutativa del contenzioso in essere, dei tempi e del possibile esito, accantonando gli importi ritenuti congrui per soddisfare tale necessità di spesa con l’avviso che, in caso di mancato impegno delle somme, queste “incrementano il risultato di amministrazione, che dovrà essere vincolato alla copertura delle eventuali spese legali”, nel rispetto, dei limiti dell’art. 9 del d.l. 90/2014, indipendentemente di quanto incidentalmente erogato per cassa nel medesimo esercizio (ma riferito a stanziamenti e impegni di anni precedenti).

In definitiva, secondo il Collegio contabile, per la liquidazione delle somme spettanti agli avvocati, a titolo di compenso ai sensi del comma 3 (“riscosso”) e 6 (spese compensate) dell’art. 9 del D. L. 90/2014, l’ente sarà tenuto a rispettare il principio contabile.

Il pagamento della tassa di iscrizione all’Albo Speciale

A differenza degli altri dipendenti la tassa di iscrizione all’Albo degli avvocati è un onere a carico dell’ente locale. Sonco la Cassazione (sentenza n. 32589/2022) la differenza, degli avvocati rispetto agli altri dipendenti, risiede nel diverso regime cui sono sottoposti gli avvocati della p.a., avendo la legge escluso agli stessi la possibilità di esercitare la libera professionale anche in caso di part-time non superiore al 50%, rispetto agli altri dipendenti pubblici. A tale diversità corrisponde l’interesse esclusivo del datore di lavoro verso gli avvocati pubblici che permette solo a loro il rimborso della tassa d’iscrizione all’albo. Infatti, il principio per il quale il giudice di legittimità ha consentito il rimborso della tassa d’iscrizione degli avvocati pubblici discende dal loro obbligo di esclusiva, finalizzato unicamente a consentire la difesa in giudizio dell’ente, altrimenti non assicurabile. In questo caso, si è formato un orientamento di legittimità univoco caratterizzato, da un lato, dal divieto d’iscrizione all’albo professionale degli avvocati che svolgono attività lavorativa dipendente e dalla contestuale previsione della sola possibilità d’inserimento nell’elenco speciale allegato all’albo, dall’altro dall’inapplicabilità all’avvocatura della legge n. 662/1996 (per opera della legge n.339/2013) che consente in ogni caso, a prescindere dalle limitazioni stabilite per le singole categorie professionali, l’iscrizione agli albi dei dipendenti pubblici con rapporto di lavoro parziale, purché la prestazione lavorativa non ecceda il 50% del tempo pieno. Pertanto, l’esercizio della professione di avvocato in favore di terzi, da parte del dipendente pubblico, rientra fra le attività che in nessun caso sono consentite, con la conseguenza che l’iscrizione all’elenco speciale non può che soddisfare unicamente l’interesse del datore, mentre non altrettanto può dirsi per le altre professioni intellettuali che, per poter esercitare possono richiedere di essere posizionati in part time non superiore al 50%, anche se quest’ultima ipotesi possa essere considerata solo potenziale.

Si ricorda come l’ARAN, nel parere del 05/02/2002, pur precisando che il parere rilasciato rientrasse nel principio di collaborazione in quanto non rappresentava un caso di interpretazione contrattuale ha avuto modo di precisare che: “per gli avvocati degli uffici legali degli enti, per i quali l’art. 3, comma 4 del RDL 1578 del 1933 prevede ancora l’iscrizione all’albo speciale per quanto concerne le cause e gli affari propri dell’Ente presso il quale prestano la loro opera. In caso, se l’iscrizione all’albo è presupposto essenziale per lo svolgimento dell’attività professionale nell’esclusivo interesse dell’ente, si potrebbe ritenere che l’ente possa (o debba) farsene carico. Riteniamo, però, che questa conclusione logicamente sostenibile, dovrebbe essere supportata da qualche specifica disposizione, perché sembra possibile argomentare anche il contrario: l’unico soggetto che può chiedere l’iscrizione all’albo, infatti è sempre e comunque il professionista che può operare come avvocato dell’ente solo se iscritto ed ha, quindi, un proprio interesse all’iscrizione”. Anche la giurisprudenza contabile e, in particolare, la Corte dei Conti Sezione Autonomie ha avuto modo di precisare che: “Alla luce degli orientamenti giurisprudenziali emersi (Corte di Cassazione, sent. n. 3928 del 20/2/2007, Sez. reg. contr. Sardegna, parere n. 1/2007 e Sez. reg. contr. Piemonte, parere n.2/2007), si è dell’avviso che, essendo l’iscrizione all’albo un requisito imprescindibile per alcune figure professionali, in mancanza del quale non è consentito l’esercizio dell’attività, essa costituisce uno dei presupposti richiesti per l’assunzione e deve perdurare per tutta la durata del lavoro alle dipendenze del comune. Si ritiene, pertanto, che “debba essere cura del soggetto, assunto per ricoprire all’interno dell’ente un ruolo che richiede la citata iscrizione, farsi carico degli adempimenti necessari per assicurare nel tempo la sussistenza del requisito che ha costituito la condicio sine qua non della sua assunzione, tra i quali rientra quello della tassa annuale”. Va altresì richiamata l’esistenza, nell’ordinamento, di un principio generale che vieta di porre a carico degli enti pubblici oneri non previsti che possano contribuire ad aggravare la situazione finanziaria degli enti stessi. Fra tali oneri sembra poter rientrare anche la tassa di iscrizione ad un albo professionale”.

Consulta anche: La gestione economica e giuridica delle avvocature interne – Il regolamento e le relazioni sindacali


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