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Retribuzione dei revisori delle società partecipate va determinato nei limiti dell’equo compenso

Dovendo il comune procedere alla nomina dei revisori della società partecipata, non avendo a disposizione un valore di riferimento cui adeguare il compenso, ha chiesto ai giudici contabili se fosse possibile definire il medesimo nel concetto di equo compenso, così come stabilito D.L. n. 148/2017.

Dovendo il comune procedere alla nomina dei revisori della società partecipata, non avendo a disposizione un valore di riferimento cui adeguare il compenso, ha chiesto ai giudici contabili se fosse possibile definire il medesimo nel concetto di equo compenso, così come stabilito D.L. n. 148/2017. La Corte dei conti della Lombardia (deliberazione n.125/2021) pur dichiarando il quesito inammissibile, precisa come la giurisprudenza amministrativa abbia a tal fine fornito le indicazioni necessarie per la scelta da parte dell’ente locale.

Le disposizioni normative

L’Art. 4, comma 4, secondo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, impone, in sede di determinazione dei compensi dell’organo di amministrazione delle società partecipate, la fissazione di un tetto di spesa parametrato alla spesa storica. I giudici contabili, in mancanza di un valore di riferimento dell’anno 2013, hanno osservato da un lato, che “il nuovo testo unico, mediante l’emanando decreto ministeriale, tende ad uniformare la disciplina dei limiti remunerativi posti agli organi di amministrazione e controllo di tutte le società pubbliche”. Dall’altro, il giudice contabile ha testualmente precisato in sede consultiva che “per gli amministratori delle società partecipate dagli enti locali (come da altre pubbliche amministrazioni) rimane in vita, in attesa dell’emanazione del decreto ministeriale previsto dall’art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 175 del 2016, il limite finanziario costituito dal costo sostenuto per compensi all’organo di amministrazione nel 2013” (tra le tante Corte dei conti della Liguria, delibera n. 90/2016 e n. 29/2020). In altri termini, in assenza di emolumenti erogati nel 2013, si va a considerare, a ritroso, l’onere sostenuto nell’ultimo esercizio nel quale risulti presente un esborso a tale titolo con l’indefettibile vincolo della “stretta necessarietà”.

Le indicazioni del Collegio contabile

In ragione della sopra precisata normativa, che impone, in sede di determinazione dei compensi dell’organo di amministrazione delle società partecipate, la fissazione di un tetto di spesa parametrato alla spesa storica, il Comune in sostanza vuole sapere se, per la determinazione del compenso dell’organo di controllo, possa avvalersi del principio del c.d. equo compenso applicato dalla pronuncia del TAR Marche (sentenza n. 524/2018), in linea con la giurisprudenza amministrativa formatasi in materia. In particolare, per l’attività di revisione contabile, la sentenza indicata dal Comune fa riferimento al principio dell’equo compenso di cui al D.L. n. 148/2017 secondo cui “Il compenso si intende equo se è proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione”.

State i citati indirizzi giurisprudenziali, la Corte dei conti non può non rilevare che tale conflitto impedisca di fatto la possibilità di formulazione del parere richiesto dal Sindaco. In altri termini, la soluzione al quesito è già stata affrontata dal giudice amministrativo sotto il profilo dell’eventuale violazione del principio della concorrenza e rientrante nella cognizione del giudice ordinario, in caso di vessatorietà delle clausole contrattuali, laddove il compenso stabilito per i componenti degli organi di controllo comporti in loro sfavore un “significativo squilibrio contrattuale” nell’ambito dei rapporti professionali con la controparte committente.


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