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Danno erariale per la consulenza sulla rinegoziazione dei mutui dormienti

L’apporto di una società esterna per la ricostruzione dei mutui non utilizzati presso la Cassa Depositi e Prestiti ha condotto alla condanna erariale l’intera giunta comunale per l’affidamento del servizio all’esterno.

L’apporto di una società esterna per la ricostruzione dei mutui non utilizzati presso la Cassa Depositi e Prestiti ha condotto alla condanna erariale l’intera giunta comunale per l’affidamento del servizio all’esterno, senza verificare ex ante il risparmio che si sarebbe ottenuto utilizzando il personale interno, per compiti ordinari delle attività dei servizi finanziari. I componenti dell’organo esecutivo sono ricorsi in Appello ma la condanna è stata confermata con la sentenza 83/2020 della Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di Appello della Corte dei conti.

I fatti

La Giunta Comunale è stata chiamata dalla Procura per rispondere del danno erariale per l’inutile consulenza affidata ad una società esterna, effetto dell’indebito conferimento, a mezzo di atto giuntale, ad una società specializzata del settore, di un incarico per la fornitura di servizi volti all’attivazione di risorse non impositive rimaste inutilizzate. La Giunta Comunale, infatti, sul presupposto dell’esigenza di svolgere un’attività di ricerca ed attivazione di risorse non utilizzate ed eventuali ulteriori nuove fonti di finanziamento, dando mandato ai competenti uffici di procedere a individuare un operatore sul mercato in grado di effettuare tali prestazioni. Il dirigente del servizio, aveva provveduto all’affidamento diretto dell’incarico alla predetta ditta proponente, ex art. 57, d.lgs. n. 163/2006, affermando che la stessa era l’unica a fornire i servizi in parola. La Società, quindi, a seguito della sottoscrizione del contratto, rilevava gli importi residui dei mutui non utilizzati dall’ente e giacenti presso la Cassa Depositi e Prestiti e produceva uno “studio”, consistente in una raccolta normativa e di facsimili di documentazione (in cartaceo e su supporto informatico), funzionale a presentare richieste di mutui presso il medesimo istituto. La Corte dei conti con la sentenza di primo grado, rilevava come l’attività oggetto dell’affidamento presentasse caratteri di ordinarietà e modesta complessità, tali da rientrare senz’altro nei compiti istituzionali dell’ente, risultando indimostrata la carenza di idonee professionalità interne – posto che, nel periodo considerato, erano preposte al servizio finanziario nove unità di personale – ed essendo parimenti emerso che, a parte la pratica di mutuo immediatamente seguita alla prestazione della società incaricata, si era poi provveduto con personale interno ad inoltrare ulteriori due richieste, peraltro senza nemmeno avvalersi della modulistica prodotta dalla società nel suo “studio”. Il danno veniva addebitato alla Giunta Comunale, scorporando quello del responsabile del servizio nel frattempo deceduto.

Avverso la sentenza di condanna, sono ricorsi in appello i componenti della Giunta comunale, secondo cui si sarebbe stato in presenza di una appalto di servizi e non di affidamento di un incarico professionale esterno. Le attività, sempre a detta degli appellanti, non sarebbero state di natura ordinaria, in considerazione dei plurimi adempimenti richiesti quali il reperimento e la ricostruzione dei fascicoli, la verifica dello stato di realizzazione degli interventi, l’individuazione di soluzioni amministrative per il proficuo utilizzo delle risorse rinvenute), nonché comportato l’utilizzo di uno specifico software, fornito dalla ditta appaltatrice. L’organico degli uffici finanziari era sottodimensionato mancando anche il dirigente finanziario il cui incarico era stato attribuito ad interim ad altro dirigente non versato nella materia in quanto proveniente dal servizio tecnico.

La decisione della Corte di Appello

Per il Collegio contabile nessuna valenza può essere attribuita alla diversa configurazione giuridica della tipologia di affidamento, ossia se appalto di servizio o servizio di consulenza. Quello che rileva è la mancata valutazione della conformità della scelta discrezionale alla triade parametrica di cui all’art. 1, legge n. 241/90.

In via preliminare i giudici contabili di appello hanno rilevato come l’Organo esecutivo avrebbe potuto decidere di impegnare somme ulteriori, rispetto alle retribuzioni del personale interno – per remunerare un soggetto esterno cui affidare un segmento procedimentale della propria (straordinaria) attività istituzionale – unicamente laddove si fosse effettivamente riscontrata quella carenza di professionalità interne idonee allo scopo, pure paventata, ma solo genericamente, nell’atto giuntale di indizione della procedura selettiva. Infatti, vi deve essere obbligatoriamente una correlazione tra la spesa per l’outsourcing e quella per il personale dipendente secondo quanto previsto dall’art. 6 bis, d.lgs. n. 165/2001. In altri termini, la scelta discrezionale diviene legittima solo quando l’esternalizzazione del servizio facci da contraltare ad un risparmio in termini di spesa del personale. In altri termini, tale strumento può servire a “compensare” carenze effettive di organico interno (posto che un aumento di organico comporterebbe una maggiore spesa in proposito), ma non può liberamente utilizzarsi solo per potenziare surrettiziamente la suddetta dotazione organica.

Nel caso di specie, è stato accertato che nell’area amministrativa economico-finanziaria del comune risultavano preposti un numero adeguato di dipendenti, di cui uno anche di cat. D, quindi, laureato, e ben 5 di categoria C istruttori amministrativo contabili, oltre ad altri tre dipendenti di categoria inferiore (certamente non idonei ad espletare le funzioni proprie demandate all’esterno, ma pur sempre in grado di supportare l’attività degli altri). Pur mancando effettivamente un valido funzionario responsabile dell’area (posto che il responsabile tecnico, assegnato ad interim, non aveva le competenze necessarie, in ragione del suo titolo di studio), ciò non poteva evidentemente rappresentare, in ragione della nutrita schiera di dipendenti preposti al settore, un ostacolo all’effettuazione all’interno dell’attività indebitamente esternalizzata, se è vero, come è vero, che, di lì a poco, il settore avrebbe autonomamente portato avanti la stessa, prescindendo completamente dal contributo fornito dalla ditta appaltatrice.

In questo caso, secondo il Collegio contabile di appello, l’esborso effettuato per remunerare la prestazione svolta dalla società in favore del comune non può che essere considerata del tutto priva di utilità per l’ente ed effettuata superando i limiti esterni della discrezionalità amministrativa – pienamente sindacabili dal giudice contabile, in quanto positivizzati in precise norme di legge – comportando un ulteriore e non dovuto esborso integrante un danno erariale a carico del predetto ente locale.

La condanna di primo grado, pertanto, è stata pienamente confermata in appello.


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