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Illegittimità costituzionale del decreto crescita sulla rimodulazione del disavanzo originario dei piani di riequilibrio

I piani di riequilibrio finanziario non hanno pace. Il legislatore è intervenuto in diverse occasioni e, di rimando, le Corte dei conti hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale delle nuove norme introdotte.

I piani di riequilibrio finanziario non hanno pace. Infatti, in considerazione delle criticità di molti comuni che hanno scelto la via del risanamento attraverso la procedura meno invasiva dei piani di riequilibrio, il legislatore è intervenuto in diverse occasioni e, di rimando, le Corte dei conti hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale delle nuove norme introdotte. Ad aprire la questione è stata la Corte dei conti della Campania che ha avuto ragione della illegittimità costituzionale della legge finanziaria 2016 che aveva permesso agli enti locali di poter rimodulare i propri piani di riequilibrio spalmando il disavanzo, dovuto all’eliminazione di residui attivi prima del passaggio alla contabilità armonizzata, nel periodo più lungo di trent’anni offerto dalla normativa armonizzata (vedi sentenza n.18/2019). In modo non diverso la Corte dei conti della Calabria ha rimesso la questione di legittimità costituzionale sulle norme introdotte dal d.l. 34/2019 (decreto crescita) che hanno cercato di mettere una pezza alla precedenze sentenza n.18/2019 della Consulta, la quale ha dichiarato incostituzionale la ripartizione in 30, piuttosto che in 10, del disavanzo dovuto alla cancellazione straordinaria dei residui prima del passaggio ai nuovi principi della contabilità armonizzata. Secondo i giudici contabili calabresi, infatti, il Comune di Reggio Calabria avrebbe dovuto ripartire il proprio disavanzo e recuperare quello pregresso, erroneamente ripartito in trent’anni, nel periodo rimanente del piano finanziario pluriennale originario della durata di dieci anni, cumulando i due importi in quote identiche per gli anni restanti. Il d.l. 34/2019 ha, invece, di nuovo aperto ad una soluzione diversa da quella prevista dal Collegio contabile, permettendo ai comuni una nuova rimodulazione dei piano finanziario su un periodo più lungo (fino a 20 anni) non più quindi sui rimanenti quattro anni rispetto del piano decennale originario, ma su quattordici anni in ragione del nuovo periodo massimo previsto dalla nuova normativa. In considerazione di dubbi di legittimità costituzionale i giudici contabili calabresi hanno sospeso il piano rimodulato del Comune di Reggio Calabria e rimesso la questione di legittimità costituzionale.

I norme oggetto di censura del Collegio contabile calabrese

Le norme del d.l. 34/2019, oggetto di censura, sono state le seguenti:

Art.38, comma 1- terdecies per il quale “La tabella di cui al comma 5-bis dell’articolo 243-bis del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e’ sostituita dalla seguente:

Rapporto passività/impegniDi cui al titolo I Durata massima del pianodi riequilibrio finanziario

pluriennale

Fino al 20 per cento 4 anni
Superiore al 20 per centoe fino al 60 per cento 10 anni
Superiore al 60 per centoe fino al 100 per cento per i

comuni fino a 60.000 abitanti

15 anni
Oltre il 60 per cento per icomuni con popolazione

superiore a 60.000 abitanti

e oltre il 100 per cento per

tutti gli altri comuni

20 anni

La decisione della Consulta

Nella sentenza n.115 depositata in data 23 giugno 2020, la Consulta ha dichiarato incostituzionale solo l’art.38 comma 2-ter del decreto crescita, nella parte in cui introduce un meccanismo di manipolazione del deficit che consente di sottostimare, attraverso la strumentale tenuta di più disavanzi, l’accantonamento annuale finalizzato al risanamento e, conseguentemente, di peggiorare, anziché migliorare, nel tempo del preteso riequilibrio, il risultato di amministrazione. In tale contesto, il legislatore ha inserito una dilatazione della spesa corrente – pari alla differenza tra la giusta rata e quella sottostimata – che finisce per incrementare progressivamente l’entità del disavanzo effettivo. Il censurato comma 2-ter autorizza, infatti, gli enti locali che si trovano nella situazione del Comune di Reggio Calabria a tenere separati disavanzi di amministrazione ai fini del risanamento e a ricalcolare la quota di accantonamento indipendentemente dall’entità complessiva del deficit. Da ciò consegue che la gestione del Comune in predissesto, anziché essere strettamente raccordata al piano ritualmente approvato dal Ministero dell’interno e dalla Corte dei conti, riparte da un quadro incerto e irrazionalmente indeterminato, preclusivo di una serie di operazioni indefettibili per raccordare il nuovo piano di riequilibrio con quello approvato originariamente.

La Consulta evidenzia, altresì, come la norma consente una vera e propria violazione della responsabilità di mandato, nella misura in cui l’ente locale in predissesto viene esonerato dal fornire contezza dei risultati amministrativi succedutisi nel tempo intercorso tra l’approvazione del piano originario e quello rideterminato. È costante l’orientamento di questa Corte secondo cui «il bilancio è un “bene pubblico” nel senso che è funzionale a sintetizzare e rendere certe le scelte dell’ente territoriale, sia in ordine all’acquisizione delle entrate, sia alla individuazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche, onere inderogabile per chi è chiamato ad amministrare una determinata collettività ed a sottoporsi al giudizio finale afferente al confronto tra il programmato ed il realizzato» (ex plurimis, sentenza n. 184 del 2016).

Prendendo ad esempio i conti del Comune di Reggio Calabria, a fronte del deficit accertato dalla Commissione prefettizia a monte dell’unico piano di riequilibrio approvato dal Ministero dell’interno e dalla Corte dei conti – pari a euro 110.918.410,00, ripartito in dieci annualità di accantonamento di 11.091.804,10 – ci si trovi ora in presenza di anticipazioni di liquidità pari a euro 258.837.831,63 oltre ad un ulteriore prestito regionale per un servizio obbligatorio di parte corrente pari a euro 64.974.388,27 a fronte di una rata di accantonamento ventennale sottostimata in euro 2.538.485,47 annui.

Le altre questioni non fondate

Espunta, quindi la norma dichiarata incostituzionale, le altre questioni sulle altre due norme oggetto di censura sono state considerate infondate. La Consulta chiarisce come l’art. 38, comma 1-terdecies, del d.l. n. 34 del 2019, si limita a sostituire la tabella che dovrà essere presa a riferimento per rimodulare il piano di riequilibrio, ma non crea un automatismo applicativo, e neppure determina la denunciata arbitrarietà dei poteri conferiti all’ente locale dalla disposizione contenuta nel comma 2-ter, dal momento che il nuovo piano dovrà superare lo scrutinio di sostenibilità della Corte dei conti. Il comma 2-bis del medesimo art. 38, a sua volta, detta la nuova procedura per “riproporre il piano”, ma non certo per renderlo esecutivo nei termini con cui viene redatto dall’ente locale, poiché tale riproposizione dovrà essere sottoposta alla procedura di controllo precedentemente evocata.

In altri termini, spetta al giudice contabile valutare la sostenibilità finanziaria del piano rimodulato dagli enti locali, senza che ciò implichi in via automatica la necessaria cancellazione della norma.

Le conseguenze

Tra l’interruzione del controllo della spesa nel lasso temporale intercorso tra l’approvazione del piano decennale e la presente pronuncia, il Giudice della leggi si è già espresso precisando che:

se, da un lato, l’amministrazione comunale, fino alla data della presente pronuncia, ha gestito realmente partite di spesa superiori a quelle costituzionalmente consentite, in tal modo peggiorando lo stato dei propri conti, dall’altro lo ha fatto sulla base di disposizioni legislative in vigore e di atti contabili dimensionati in rapporto alle potenzialità consentite dalle medesime disposizioni. Ne è derivato che tale gestione si è dipanata in una serie di impegni e pagamenti, in relazione ai quali l’affidamento dei soggetti venuti in contatto con l’amministrazione comunale e la funzionalità di progetti avviati secondo contratti e situazioni negoziali in itinere non possono essere travolti dalla dichiarazione di illegittimità di norme che hanno consentito, durante la loro vigenza, il sovradimensionamento della spesa. […] A ben vedere – proprio in ragione della peculiarità del diritto del bilancio e in particolare del principio di equilibrio dinamico che sposta nel tempo la continua tensione verso un bilanciato contrappeso tra entrate e spese – si è in presenza di una graduazione “naturale” degli effetti temporali della presente sentenza sulla gestione del bilancio comunale e sulle situazioni giuridiche a essa sottese” (sentenza n. 4 del 2020).

In modo non diverso, pertanto, con riguardo alla situazione venutasi a creare nel lungo arco temporale prima ricordato, l’ente locale dovrà avviare il necessario risanamento nei termini di legge precedentemente precisati. A tal fine, la normativa di risulta già consente:


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