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Partecipate, sui compensi agli amministratori la Corte dei conti chiede canoni di ragionevolezza

di Leonardo Archimi e Sara Sileoni

La delibera della Corte dei conti del Friuli Venezia Giulia n. 15/2020 Nell’attesa del decreto previsto dall’articolo 11, comma 6, del Dlgs 175/2016, che dovrebbe disciplinare la misura dei compensi sulla scorta della classificazione delle società pubbliche in cinque fasce in base ad alcuni indicatori dimensionali quantitativi, volti a valutare la complessità organizzativa e gestionale e le dimensioni economiche, le sezioni di controllo della Corte dei conti tornano a occuparsi dei compensi degli amministratori delle società partecipate (Corte dei conti, Liguria, delibera n. 29/2020, sul Quotidiano degli enti locali e della Pa del 15 maggio). È ormai diffusa e riconosciuta la consapevolezza, anche da parte dell’organo di giustizia contabile, che il riferimento alla spesa storica dell’anno 2013 – previsto dall’articolo 4, comma 4, secondo periodo, del Dl 6 luglio 2012 n. 95 e tuttora vigente sino all’emanazione del decreto-fasce – sia inadeguato a regolamentare la materia. La pronuncia è della Corte dei conti del Friuli Venezia Giulia (delibera n. 15/2020) e nasce dalla richiesta del Presidente della Regione, che, premettendo di aver avviato un progetto di riforma e riordino dei parchi scientifici e tecnologici regionali che vede il coinvolgimento di una propria partecipata, chiede il criterio cui attenersi per la determinazione del compenso dell’organo amministrativo atteso che quello della spesa storica non appare utilmente applicabile vista l’irrisorietà del gettone di presenza previsto. Il Collegio, dopo la ricostruzione dell’evoluzione normativa, ha rammentato che l’orientamento delle sezioni regionali di controllo, in un’ottica volta al contenimento dei costi pubblici, è stato prevalentemente restrittivo, ma ha anche evidenziato le criticità derivanti dall’ultrattività di una norma la cui applicazione doveva essere limitata a un periodo transitorio, di per sé di breve durata. La Corte ha evidenziato che il compenso deve essere tale da garantire un proficuo e professionale funzionamento degli organi societari, rilevando che, al contrario, la generalizzata e incondizionata applicazione del criterio della spesa storica potrebbe condurre a esiti irragionevoli e contrari allo spirito della norma perché potrebbe premiare gli enti meno oculati, che hanno realizzato ampi volumi di spesa, a discapito di quelli più virtuosi, i quali non ne hanno sostenuta alcuna. Da ciò la necessità di superare il criterio della spesa storica, qualora non adeguato al caso concreto, individuando un «parametro diverso, anche se comunque ancorato a criteri di razionalizzazione della spesa» (richiamando anchela delibera della Sezione Autonomie n. 1/2017 e quella della Sezione regionale di controllo per il Veneto n. 31/2018). In particolare, il compenso deve essere determinato «in base a canoni di ragionevolezza che coniughino gli obiettivi di efficacia, legati al reperimento delle migliori professionalità, con gli obiettivi di economicità e contenimento della spesa, dei valori di compenso che, anche considerando altre realtà societarie proficue di dimensioni analoghe, possano considerarsi adeguati alla luce di un’ottica di contenimento»; in sostanza gli stessi criteri che il giudice civile utilizza nel caso in cui le società commerciali non abbiamo previamente stabilito l’emolumento dell’organo amministrativo. Ciò coerentemente al fatto che le società partecipate, per tanto non derogato dal testo unico, sono soggette alla disciplina prevista per le società nel codice civile e nelle norme generali di diritto privato (articolo 1, comma 3, del Dlgs 175/2016). Fermo resta, precisa la Corte dei Conti, che la sopravvenienza del decreto-fasce determinerà la riduzione dell’eventuale compenso deliberato in maniera superiore.

Rassegna stampa in collaborazione con Mimesi s.r.l.


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