MAGGIOLI EDITORE - Bilancio e contabilità


Prove di «semplificazione» sulla responsabilità contabile

di Gianni Trovati

I Comuni stanno iniziando in questi giorni la complicata digestione del decreto intitolato al «Rilancio», ma la pioggia normativa anticrisi promette di proseguire a stretto giro con un nuovo provvedimento che proverà a sbloccare procedure e appalti. E anche in questo prossimo decreto, che il governo vorrebbe approvare nel giro di una quindicina di giorni anche se l’esperienza insegna che il calendario sdrucciola, il capitolo da gestire in Comune sarà ricco. L’obiettivo, si diceva, è prima di tutto quello di liberare la spesa per investimenti che dopo le buone performance degli ultimi due anni sta inevitabilmente crollando sotto i colpi della crisi. E i fronti di intervento su cui è stato avviato il confronto fra gli enti locali e il governo sono parecchi. Sul tavolo torna prima di tutto il tentativo di superare la «paura della firma» che paralizza i funzionari alle prese con un dedalo normativo spesso contraddittorio. L’idea è vecchia ma la strada ipotizzata sembra nuova. Tramontata almeno per ora l’ipotesi di attribuire un controllo preventivo alla Corte dei conti per i lavori pubblici sopra una certa soglia con una norma che si è affacciata senza successo in più di un’occasione, i tavoli tecnici e politici ora puntano a una soluzione diversa: sospendere la responsabilità amministrativo-contabile per colpa grave, limitandola ai soli casi in cui emerge il dolo, almeno per una finestra temporale in grado di far ripartire la macchina e testare sul campo la novità. Su questo filone si innesta anche l’ipotesi ricorrente di intervenire sull’abuso d’ufficio, che però incontra troppi ostacoli politici per essere portata avanti davvero. Il confronto ora si concentra sui tempi e la tipologia di opere su cui testare la responsabilità “limitata” alla colpa grave: che inevitabilmente accenderà presto il confronto anche con la Corte dei conti. Sempre in fatto di deroghe alle procedure ordinarie, prende forma anche l’ipotesi di individuare una serie di opere «di interesse strategico locale» da affidare a commissari per replicare quello che il dibattito politico ha voluto battezzare «modello Genova». Modello che ovviamente non è replicabile in sé (fortunatamente) per le condizioni in cui è nato; ma che in ogni caso suggerisce un’esigenza di semplificazione e unificazione delle responsabilità. L’idea è di applicarlo per una serie limitata di opere, che dovrebbero superare una soglia di valore ipotizzata a 2 milioni di euro affidando al sindaco il compito di tirare le fila: ma proprio l’individuazione della figura a cui affidare il ruolo di commissario, insieme al valore minimo da raggiungere per etichettare l’opera come «strategica», sono i punti più sensibili della discussione. In gioco tornano poi altre due soglie, quelle fissata dall’articolo 36 del Codice appalti per definire i casi in cui si può procedere con gli affidamenti diretti: l’ipotesi è quella di alzare da 40mila a 100mila euro il primo livello, quello che non impone nemmeno la consultazione preventiva delle imprese, e da 150mila a 350mila euro il secondo, che per i lavori chiede la valutazione di tre preventivi. Tutto questo si accompagnerebbe a una serie di misure per velocizzare i trasferimenti agli enti locali dei fondi nazionali e comunitari per gli investimenti, perché ovviamente senza soldi non c’è procedura che tenga. Ma proprio questo aspetto sta imponendo ai tecnici al lavoro sul decreto di occuparsi anche di un problema più generale: quello della crisi complessiva dei conti comunali. In questo filone si colloca almeno l’allungamento a 10 anni del tempo utile per ripianare i deficit 2020, che con l’ordinario limite triennale rischiano di portare dritta al dissesto la maggioranza dei Comuni.

Rassegna stampa in collaborazione con Mimesi s.r.l.


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