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Ordinanza ingiunzione impossibile contro il concessionario della riscossione per inadempimento contrattuale

Il dirigente finanziario di un Comune siciliano ha emesso una ordinanza ingiunzione nei confronti del concessionario della riscossione, quale differenza tra le somme riscosse per conto del Comune stesso e quanto riversato in Tesoreria comunale.

Secondo la Corte dei conti Siciliana (sentenza n.170/2020) spetta alla giurisdizione della Corte dei conti una eventuale opposizione ad una ingiunzione emessa ex art. 3 R.D. 639/1910 (ordinanza ingiunzione), emessa nei confronti del concessionario della riscossione in materie avente ad oggetto del contendere la contabilità pubblica. Mentre il pagamento di somme di denaro riconducibili ad un danno da inadempimento di obblighi di servizio arrecato dal concessionario della riscossione al Comune non può essere richiesto dall’amministrazione con l’ingiunzione ex R.D. 639/1910, stante la mancanza dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità poiché il credito da danno erariale deve essere accertato, quanto alla sua sussistenza, misura ed addebitabilità, in un giudizio “ordinario” innanzi alla Corte dei conti e previo esercizio dell’azione obbligatoria da parte del pubblico ministero contabile.

La vicenda

Il dirigente finanziario di un Comune siciliano ha emesso una ordinanza ingiunzione nei confronti del concessionario della riscossione, quale differenza tra le somme riscosse per conto del Comune stesso e quanto riversato in Tesoreria comunale, oltre agli interessi passivi corrisposti dal comune per le anticipazioni di cassa onerose concesse dalla tesoreria in considerazione della mancanza del riversamento delle entrate del concessionario. La Società di riscossione ha presentato opposizione all’ordinanza ingiunzione innanzi alla Corte dei conti, in considerazione del suo ruolo di agente della riscossione. Infatti, in considerazione della mancata indicazione dell’autorità presso la quale impugnare l’ordinanza ingiunzione ricevuta, la società di riscossione, impugnava innanzi alla Corte dei conti in considerazione del suo ruolo di agente contabile e in quanto a partecipazione totale pubblica. A tal fine chiedeva ai giudici contabili, la nullità/inammissibilità dell’azione amministrativa esercitata dal Comune e del difetto di legittimazione attiva dello stesso. Infatti, secondo la prospettazione della ricorrente, quanto attiene al rapporto di dare/avere, alle voci di danno risarcitorio, alle verifiche sul conto dovrebbe essere oggetto di azione di competenza esclusiva della Procura regionale della Corte dei conti. Infatti, in caso di negligente gestione della attività di riscossione dovrebbe costituire oggetto di un’azione risarcitoria per responsabilità amministrativa, la cui legittimazione è intestata alla Procura. Nel merito la società di riscossione deduceva vizi dell’ingiunzione, quali la mancata definizione del procedimento amministrativo, senza l’instaurazione del contradditorio che avrebbe consentito di far emergere elementi decisivi nell’adozione del provvedimento finale. Peraltro, non era indicata, l’autorità giudiziaria, né i termini per la relativa opposizione, secondo quanto previsto dall’art.3 comma 4, l. n. 241/1990. Infine, la ricorrente eccepiva la mancanza dei presupposti di certezza, liquidità ed esigibilità dei crediti intimati, poiché la somma richiesta non sarebbe supportata dalla documentazione contabile. Infine, mancherebbero i presupposti per classificare il credito certo, liquido ed esigibile non potendosi considerare certo un credito unilateralmente quantificato, attraverso una mera differenza matematica. In ogni caso, solo attraverso tale procedimento potrebbero accertarsi gli inadempimenti dell’agente della riscossione.

Il Comune, costituitosi in giudizio ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice contabile, in favore del giudice ordinario.

Le indicazioni del Collegio contabile

Il Collegio contabile adito rileva che la controversia riguarda l’ingiunzione emessa dal Comune nei confronti della società ricorrente e il ricorso si pone nei termini di una richiesta di annullamento della stessa, per motivi sia di inammissibilità sia di merito, e, rispetto ai motivi di merito, nei termini di un accertamento negativo dell’esistenza del credito vantato dal Comune. Avendo riguardo, nella sostanza, alla materia del contendere, pur venendo in rilievo partite di dare e avere relative ad un conto giudiziale, non è possibile ravvisare identità di oggetto tra la domanda proposta e il giudizio di conto. La fattispecie dedotta in giudizio, deve essere ricondotta al tipico giudizio di responsabilità amministrativa per danno erariale, riguardando la gestione del rapporto tra la Società ricorrente e il Comune e, in particolare l’impiego delle risorse proprie di quest’ultimo. Infatti, il mancato riversamento di quanto riscosso, sicuramente, configura una mancata esecuzione degli obblighi propri dell’agente della riscossione, legato al rapporto di servizio con il comune. In altri termini, la responsabilità erariale deriverebbe da un danno da mancata entrata, in conseguenza dell’omesso riversamento nella tesoreria comunale di somme riscosse per conto del Comune. Pertanto, il Collegio ritiene che la fattispecie oggetto del giudizio sia da ascrivere alla competenza della Corte dei conti.

In disparte la competenza del Collegio contabile nella vicenda, va ora verificata l’ammissibilità dell’azione proposta. In tale ambito, precisa il Collegio contabile, la responsabilità amministrativa per danno erariale, l’organo competente ad agire è solo il Procuratore regionale della Corte dei conti, organo titolare esclusivo della azione pubblica, obbligatoria e irretrattabile. In altri termini, è il rappresentante del pubblico ministero a svolgere le necessarie indagini, verificando la presunta esistenza di un danno e in quale misura esso debba essere posto a carico dell’agente contabile.

Quindi, nel caso di specie con l’ingiunzione ex R.D. n. 639/1910, la responsabilità viene accertata dall’amministrazione in un ingiunzione senza alcun vaglio di alcun giudice né nelle forme del rito ordinario né nelle forme del giudizio ad istanza di parte.

In altri termini, mancherebbe la certezza del credito vantato dall’amministrazione, in quanto solo dopo l’esercizio dell’azione da parte del pubblico ministero il credito potrà dirsi accertato nell’an e nel quantum e, quindi, è possibile chiederne il pagamento.

In conclusione, prima del rituale accertamento del credito erariale secondo la procedura esposta, mancano i presupposti R.D. n. 639/1910 e, quindi, detto procedimento è inammissibile.

Sarà ora a carico della Procura, che ha avuto notizia, istruire e concluder la pratica la fine di verificare se vi sia stato o meno un danno erariale da mancata entrata.


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