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Il recesso di una Pa dalla partecipata in liquidazione non va previsto nel piano di razionalizzazione

di Esper Tedeschi

È legittimo il provvedimento di recesso di un consorzio comunale da una società a partecipazione pubblica, ormai non operativa rispetto ad ambiti di competenza istituzionale dell’ente partecipante, pur in assenza di una precisa disposizione del piano di razionalizzazione in tale direzione. Del tutto congrua è, dunque, la motivazione posta alla base del provvedimento il quale, lungi dal disvelare profili di difetto di istruttoria, ha, in realtà, posto in essere un’attività dovuta, in linea con il disposto degli articoli 3, commi 27 e seguenti legge n. 244 del 2007 come successivamente trasposto nel Dlgs n. 175 del 2016: obiettivo rispetto al quale ben si poteva prescindere da una formale previsione del piano di razionalizzazione (di competenza, peraltro, del medesimo organo che ha qui adottato l’atto con il quale si dispone il ‘recesso’, ai sensi della legislazione regionale). È quanto afferma il Tar Sicilia, Catania, Sezione I, con la sentenza 18 febbraio 2020 n. 395. Il caso Il giudizio prende le mosse dal ricorso proposto da una società a partecipazione pubblica avverso l’atto con cui il Consorzio comunale partecipante aveva disposto il recesso dello stesso dalla qualità di socio. In particolare, la società ricorrente lamentava la violazione degli articoli 4, 5, 20 e 24 del Dlgs n. 175 del 2016 (Tu in materia di società a partecipazione pubblica), poiché il Consorzio avrebbe deciso di recedere dalla società in mancanza di una corrispondente previsione nel piano di razionalizzazione delle società partecipate, il quale costituirebbe atto presupposto necessario ai sensi dell’articolo 24 del Tu. Di fatto, l’omessa adozione del piano di razionalizzazione con contenuto sostanziale coerente con la scelta di dismettere la partecipazione societaria, avrebbe viziato di difetto di motivazione e d’istruttoria l’atto finale. Inoltre, secondo la società ricorrente, il Comune avrebbe dovuto optare prioritariamente per la clausola statutaria di prelazione, in luogo del recesso. Sennonché, la società partecipata ricorrente era in stato di liquidazione sin dal 2013, con la conseguenza che le era preclusa qualsiasi attività che non fosse inerente a tale fase, con esclusione anche dei servizi di gestione dei rifiuti per cui al tempo era stata costituita. Il Tar Sicilia, sede di Catania, tuttavia, con sentenza del 18 febbraio, n. 395, ha rigettato le doglianze della società ricorrente ritenendole fondate su violazioni solo formali del procedimento concluso con l’atto di recesso. Vincolo di scopo e razionalizzazione delle società a partecipazione pubblica Il Ga, nel rigettare il ricorso, ha osservato come l’atto di recesso del Consorzio comunale avesse realizzato gli obiettivi prefissati dal legislatore negli articoli 4, 5, 20 e 24, Tu, ossia la realizzazione di economie di spesa per l’Ente pubblico e limitare la partecipazione a quelle società strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali. L’atto di recesso si imponeva all’Amministrazione al fine di garantire il rispetto del principio di economicità dell’azione amministrativa (articolo 1, legge n. 241 del 1990) in linea con le esigenze di tutela dell’erario cui le disposizioni di stampo programmatorio contenute nel Dlgs n. 175 del 2016 (e, insieme a queste, quelle precedenti in tema di razionalizzazione delle partecipazioni) sono preordinate. L’obiettivo di riduzione delle partecipazioni si iscrive, invero, nel più ampio progetto di razionalizzazione degli organismi partecipati (anche societari), predisposto dal Commissario straordinario per la spending review ai sensi dell’articolo 23, Dl 24 aprile 2014, n. 66, convertito dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, poi seguito dal Dlgs n. 175 del 2016. D’altra parte, la Corte costituzionale, con sentenza n. 144 del 2016, ha identificato nell’impianto normativo lo scopo di «evitare che soggetti dotati di privilegi svolgano attività economica al di fuori dei casi nei quali ciò è imprescindibile per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ovvero per la produzione di servizi di interesse generale (casi compiutamente identificati dal citato articolo 3, comma 27 [legge n. 244 del 2007, n.d.r.]), al fine di eliminare eventuali distorsioni della concorrenza. Inoltre, esse mirano a realizzare detta finalità con modalità non irragionevoli, siccome il divieto stabilito dalle disposizioni censurate e l’obbligo di dismettere le partecipazioni possedute in violazione del medesimo non hanno carattere di generalità, ma riguardano esclusivamente i casi nei quali non sussista una relazione necessaria tra società, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche, e perseguimento delle finalità istituzionali». Né varrebbe evidenziare la presenza di una clausola di prelazione, poiché – come afferma il Tar – tale clausola statutaria era stata posta in violazione della regola sull’evidenza pubblica e, pertanto, in linea di principio, nulla.

Rassegna stampa in collaborazione con Mimesi s.r.l.


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