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Spending review, si decide sui tagli al pubblico impiego
Dal riordino della Pa, con la fase due, nel 2013-14 potrebbero arrivare altri 20-30 miliardi. Dalla sanità risparmi per 1 miliardo

Per il decreto legge sulla spending review il Consiglio dei ministri di questa mattina promette solo un primo esame (con il varo comunque confermato prima del vertice europeo del 28-29 giugno). Ma la scelta che dovrebbe maturare si annuncia pesante e riguarda il pubblico impiego.
Monti e i suoi ministri, stando alle indicazioni convergenti da più fonti, dovranno stabilire se inserire i tagli sui dipendenti statali subito in questo decreto o se, invece, spostarli in autunno e renderli operativi assieme ad altre misure di «manutenzione» dei conti con la cosiddetta fase due della spending review, un intervento da 15-20 miliardi per il biennio 2013-2014, quota che potrebbe salire fino a 30 miliardi, e che farà perno su una riorganizzazione più complessiva della Pa partendo dai ministeri e a cui stanno lavorando Giarda e Patroni Griffi.
Il «pacchetto statali» non è ancora pronto nei suoi dettagli e sarà al centro di un vertice già convocato per lunedì prossimo tra Tesoro, Ragioneria generale e Funzione pubblica, mentre non è detto che tornerà a riunirsi il comitato interministeriale con Enrico Bondi prima del varo del Dl. Sarebbero quattro o cinque gli interventi previsti, il più pesante dei quali, se confermato, si tradurrebbe in un taglio del 5% delle dotazioni organiche delle amministrazioni centrali, delle agenzie fiscali e degli enti pubblici non economici. Si tratterebbe del quarto intervento sul personale delle amministrazioni statali dopo quelli varati all’inizio della legislatura nella forma del blocco degli organici e che finora hanno prodotto un calo di circa il 30% delle dotazioni.
Il nuovo taglio, da definire nelle sue modalità esecutive, produrrebbe tra i 12 e i 15mila posti in meno (sarebbero escluse la scuola e la sanità). Uno dei criteri individuati per la sospensione dalle attività del personale dichiarato in esubero partirebbe da coloro che hanno compiuto 60 anni: a loro andrebbe un’indennità dell’80% dello stipendio base (non dell’intero trattamento economico) fino alla pensione. Ma le opzioni al vaglio sono diverse e prevedono anche, per i dirigenti giunti alla maturazione dei 42 anni di contribuzione (41 per le donne), la sospensione immediata.
Sempre sul versante della dirigenza si lavora poi a una riparametrazione delle retribuzioni, visto che dopo il varo del tetto ai manager esistono ancora asimmetrie di trattamento tra diverse amministrazioni. Quasi certa, infine, la stretta sui buoni pasto degli statali (importo unico per tutte le strutture) e la riduzione delle consulenze: solo il 20-25% dovrebbe sopravvivere al giro di vite già deciso.
Oggi l’esame dei ministri partirà dal piano Bondi su forniture della Pa e affitti. Il «metodo Consip», a partire dal 1° luglio, sarà utilizzato a vasto raggio e dei 5 miliardi realizzabili per quest’anno, almeno 1 miliardo dovrebbe arrivare dalla sanità. Sarà realizzata una “rete” tra le centrali di acquisto regionali e la Consip e verranno introdotti gli strumenti dei fabbisogni e dei costi standard per la spesa delle regioni. Con i risparmi attesi da questo piano dovrebbe essere possibile evitare il previsto aumento dell’Iva e, al tempo stesso, garantire una tranche ulteriore di risorse alle aree dell’Emilia-Romagna colpite dal terremoto, come ha ribadito ieri Piero Giarda. Il piano, che conterrà anche un drastico taglio alle spese per gli affitti e un ulteriore intervento sulle auto blu, potrebbe salire di altri 1-2 miliardi arrivando a quota 6-7 miliardi proprio con gli interventi sul pubblico impiego e i primi tagli alla spesa dei ministeri.
Ieri intanto in commissione Affari costituzionali della Camera è iniziato l’esame del Dl sulla spending review già approvato in Senato e che definisce i poteri del commissario e le norme organizzative del comitato interministeriale. L’attesa per l’esame del piano Bondi e dei provvedimenti aggiuntivi su ministeri e pubblico impiego hanno alzato l’attenzione politico-sindacale. «La spending review non può massacrare i ceti popolari. Abbiamo consumi all’osso, non possiamo massacrare il mercato interno» ha scritto Pier Luigi Bersani, su twitter, mentre Susanna Camusso, dopo le indiscrezioni circolate in questi giorni, ha chiesto al Governo di convocare le parti sociali.


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