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La rivalsa sugli enti locali genera forti rischi di dissesto

di Gian Lorenzo Saporito

La rivalsa dello Stato sui Comuni per errori accertati dai giudici comunitari genera forti rischi di dissesto. Il meccanismo è noto: la legge 234 del dicembre 2012 prevede che le amministrazioni responsabili di violazioni che abbiano causato sentenze della Corte di giustizia dell’Unione Europea o della Corte europea dei diritti dell’uomo devono rimborsare gli importi pagati dallo Stato. Il governo centrale, quindi, anticipa gli importi delle sanzioni, ma gli enti locali che abbiano violato le procedure sono soggetti a rivalsa.

Per le espropriazioni vi è un’ampia esperienza. Ad esempio, la vicenda “Scordino” è costata al Comune di Reggio Calabria oltre 3 milioni di euro, dopo la decisione della Cedu del 6 marzo 2007 (su ricorso 43662/98): in questo caso il Comune aveva ritardato la procedura.

Ma rischi altrettanto imponenti emergono per violazioni in altri ambiti, come l’ambiente e l’agricoltura. Ad esempio, è aperta la partita delle ricadute del caso deciso dalla Corte di giustizia Ue con la sentenza del 2 dicembre 2014 (causa C-196/13), che ha condannato l’Italia per inadempimento delle direttive in materia di rifiuti. Nel mirino sono finite 200 discariche irregolari, per cui l’Italia è stata condannata a pagare una multa di 40 milioni, oltre a penalità semestrali. Somme che lo Stato ha chiesto in rivalsa ai Comuni coinvolti.

Si tratta di importi elevati, che, se addossati ai Comuni, avrebbero l’effetto di mandare in dissesto le loro finanze. Tanto che alcuni hanno presentato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica contro l’atto di avvio dell’azione di rivalsa.

Ricorso su cui si è pronunciato il Consiglio di Stato che, con una serie di pareri del 2 dicembre 2019 (nei casi da 632 a 635), ha evitato temporaneamente il dissesto, osservando che il debito dei Comuni non si poteva considerare ancora liquido, mancando l’ intesa tra Stato ed enti locali sulle modalità di recupero.

Data l’entità degli importi, l’intesa sarà comunque difficile, tanto più se si applica il principio posto dalla sentenza del Tribunale di Torino 239 del 2020 (si veda l’articolo in alto), secondo cui la rivalsa è possibile solo se le amministrazioni locali hanno contribuito all’errore accertato dai giudici europei. Comuni e Regioni, in ogni caso, rispondono solo se hanno una propria possibilità di intervento sulla materia. Se invece gli enti locali hanno operato in attuazione di leggi statali, senza contribuire con decisioni e scelte proprie, non vi è loro responsabilità, né quindi rischio di rivalsa.

In altri termini, se l’inadempimento è dello Stato, che non ha provveduto a chiudere e mettere in sicurezza, bonificare o eliminare discariche abusive, le sanzioni disposte dai giudici europei non si possono trasmettere agli enti locali.

Tutto ciò significa che le sanzioni che derivano dalla violazione di norme accertate dai giudici europei devono essere eseguite e, con finalità disussuasive, ne rispondono i soggetti responsabili. Al massimo, si può individuare un criterio di riparto di responsabilità, come sottolinea la Corte costituzionale (sentenza 147/2016), distinguendo tra i vari tipi di consultazione con l’ente locale («sentito» oppure «d’intesa»). Ma resta fermo il principio che ogni ente risponde per le attività proprie, come ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza 219 del 2016.

Rassegna stampa in collaborazione con Mimesi s.r.l.


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