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Profili di illegittimità di atti degli enti locali. L’istituto del cd. annullamento straordinario governativo (art. 138 d.lgs. 267/2000)

Interessante parere dell’Avvocatura di Stato riguardante la pubblicazione dei bandi per il reperimento di posti di accoglienza temporanea per i richiedenti asilo. Si riporta qui di seguito il contenuto pubblicato.

Interessante parere dell’Avvocatura di Stato 16/11/2017 pubblicato sulla rivista riguardante la pubblicazione dei bandi per il reperimento di posti di accoglienza temporanea per i richiedenti asilo. Si riporta qui di seguito il contenuto pubblicato.

Il PARERE

I Sindaci di diversi comuni hanno adottato un provvedimento contingibile e urgente ex artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267/2000 ordinando l’espletamento di incombenti burocratici ai cittadini che volessero partecipare ai bandi degli U.T.G. finalizzati al reperimento di posti di accoglienza temporanea per i richiedenti asilo.

I Prefetti venivano informati dell’adozione dei provvedimenti dalle stesse Amministrazioni comunali e da componenti politiche e della c.d. società civile. Il Ministero dell’Interno richiedeva a questa Avvocatura la redazione di un parere “[…] tenuto conto della proliferazione dell’adozione della cennata tipologia di ordinanza – assunta a vero e proprio “modello” da numerosi amministratori locali di Comuni siti in diverse province (…) – e della complessità della questione, nonché della possibile strumentalizzazione delle iniziative che saranno assunte sul territorio […]”.

La tematica d’interesse, per la sua complessità e per l’impatto nell’ordinamento, necessita una trattazione puntuale, che tocchi tutte le rilevanti questioni problematiche sottese.

Dagli atti risulta che in generale le ordinanze in considerazione siano state adottate facendo un uso c.d. cumulativo dei poteri riconosciuti al Sindaco dagli artt. 50 c. V e 54 c. IV d.lgs. n. 267/2000.

La normativa in esame, come noto, disciplina i poteri di adozione di ordinanze da parte del Sindaco quale “rappresentante della comunità locale” in caso di “emergenze sanitarie o di igiene pubblica” (art. 50 c. V) e nella veste di “ufficiale del Governo” rispetto all’incolumità pubblica e alla sicurezza urbana (art. 54 c. IV). Entrambi i poteri sono giustificati solo per situazioni non differibili, in ragione dell’inevitabilità di un pericolo imminente (di qui l’urgenza), della straordinarietà dell’evento (di qui la contingibilità), dell’improrogabilità dell’intervento (carattere della necessità). Inoltre tali atti devono conservare l’efficacia solo per il tempo necessario al perdurare dello stato di necessità (di qui la temporaneità).

Tutti questi requisiti devono essere riconoscibili, delineati ed oggetto di motivazione puntuale nell’atto, in ragione della natura c.d. aperta del potere, idoneo ad incidere anche sul diritto vigente, pur sempre, comunque, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento (già in questo senso Corte Cost., sent. n. 8/1956).

Quanto si dice è sufficiente perché possa essere riconosciuto un esercizio illegittimo del potere dei vari Sindaci nei casi in esame. Riguardo all’art. 54 comma 5 T.U.E.L. la giurisprudenza del Consiglio di Stato è pacifica: il potere che l’art. 54 comma 5, T.U.E.L. riconosce al Sindaco, può essere da questo attivato solamente quando si tratti di affrontare situazioni di carattere eccezionale e impreviste, costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità, per le quali sia impossibile utilizzare i normali mezzi apprestati dall’ordinamento giuridico: tali requisiti non ricorrono quando le Pubbliche amministrazioni possono adottare i rimedi di carattere ordinario (ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 19 maggio 2016 n. 2090). Si evidenzia altresì anche l’eterogeneità delle materie richiamate, riferibili per lo più a livelli di governo superiori (violazione degli artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267/2000 per la mancanza, per come è strutturato il provvedimento, del carattere di temporaneità dell’impatto sull’ordinamento giuridico; eccesso di potere per sviamento, in quanto il Sindaco ha utilizzato poteri tipici, attribuiti dal Legislatore per la cura degli interessi pubblici conseguenti ad eventi straordinari ed imprevedibili, per finalità diverse ed estranee alla sua competenza). Questo aspetto sembra rivelare anche la violazione del riparto di competenze previsto nell’art. 117 Cost., nonché nel d.lgs. n. 142/2015, di recepimento della direttiva 2013/33/UE, che ha espressamente demandato alle Prefetture la gestione dell’accoglienza dei richiedenti la protezione internazionale. In ultimo, la previsione di oneri informativi in capo a soggetti privati mostra un eccesso di potere per illogicità manifesta, in quanto l’Amministrazione comunale potrebbe agevolmente richiedere i nominativi e i dettagli dei flussi direttamente alle Prefetture competenti, che peraltro già provvedono anche all’identificazione dei soggetti (v. sui c.d. C.A.S. art. 11 c. IV d.lgs. n. 267/2000).

Ciò prova un ulteriore profilo di eccesso di potere per sviamento, in quanto il Comune utilizza il proprio potere per fini diversi da quelli per cui gli sono stati concessi, cioè per dissuadere la partecipazione dei privati ai bandi per l’accoglienza dei richiedenti asilo predisposti dalle Prefetture.

Questa circostanza rivela inoltre la posizione confliggente del Comune rispetto allo stesso interesse pubblico perseguito dalle U.T.G., che devono provvedere all’adozione delle misure più opportune ai fini dell’art. 11 del d.lgs. n. 142/2015, relative all’individuazione dei c.d. C.A.S., centri temporanei di accoglienza d’urgenza per la gestione dei flussi non assorbiti dallo S.P.R.A.R. Ciò sinteticamente rilevato rispetto ai profili d’illegittimità degli atti esaminati, occorre accertare se sia possibile operare una “sezione” delle ordinanze rispetto al contenuto, cioè alla riferibilità del potere concretamente esercitato all’art. 50 c. V o 54 c. IV d.lgs. n. 267/2000. Può già anticiparsi, vista anche la trattazione unitaria dei profili d’illegittimità, come, nel caso di specie, non sembra possibile riconoscere l’operatività dell’istituto della c.d. invalidità parziale. L’atto amministrativo, infatti, è geneticamente unico e, di regola, il vizio di una parte qualsiasi di esso, comporta la caducazione dell’intero. L’inverso principio, eccezionale, opera solo in caso di atti risultanti da procedimento partecipativo plurisoggettivo in cui solo la partecipazione di uno risulti viziata, oppure in caso d’invalidità di un elemento accidentale del provvedimento.

Secondo un certo orientamento, peraltro minoritario, pare preferibile riconoscere l’invalidità parziale di un atto (con discutibile applicazione analogica della c.d. nullità parziale ex art. 1419 c. I c.c. operante nell’ambito del diritto privato, c.d. diritto tra pari) ogni qualvolta sia possibile distinguere compiutamente le parti valide dalle invalide, ovvero le sezioni riferite all’esercizio di un potere rispetto alle altre.

Il caso in esame non sembra sussumibile in nessuna delle due ipotesi tipiche rappresentate.

Inoltre, dalla lettura del provvedimento, appare arduo, se non proprio impossibile, procedere alla selezione dei presupposti e dei motivi di esercizio del potere ex art. 50 c. V e 54 c. IV d.lgs. n. 267/2000, già solo per l’unicità della natura dell’ordine impartito. Così ricostruita la natura “monolitica” dell’ordinanza esaminata, occorre ora analizzare i poteri che residuano in capo all’Amministrazione per la rimozione dell’atto invalido.

Si ritiene preferibile il ricorso all’istituto del cd. annullamento straordinario governativo di cui all’art. 138 d.lgs. n. 267/2000. Il potere esecutivo, infatti, anche successivamente alla riforma costituzionale del 2001, ha mantenuto il potere d’annullamento degli atti illegittimi degli enti locali ex art. 138 d.lgs. n. 267/2000, che può essere operato in ogni tempo, anche in pendenza di ricorso giurisdizionale, purché ricorrano gravi motivi d’interesse pubblico (v. Cons. St., sez. I, parere n. 1313/2003). In materia rilevano l’art. 2, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, per il quale “sono sottoposti alla deliberazione del Consiglio dei Ministri …. p) le determinazioni concernenti l’annullamento straordinario, a tutela dell’unità dell’ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi, previo parere del Consiglio di Stato”, nonché l’art. 138, comma 1, del testo unico sugli enti locali 18 agosto 2000, n. 267, per il quale “in applicazione dell’articolo 2, comma 3, lettera p), della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo, a tutela dell’unità dell’ordinamento, con d.P.r., previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’interno, ha facoltà, in qualunque tempo, di annullare, d’ufficio o su denunzia, sentito il Consiglio di Stato, gli atti degli enti locali viziati da illegittimità”. Nel rispetto del procedimento ivi previsto, l’art. 138 T.U.E.L. – quale chiave di volta del sistema – ha attribuito al Governo della Repubblica nella sua collegialità, e non al Ministro dell’Interno o al Prefetto, il potere di disporre “l’annullamento straordinario, a tutela dell’unità dell’ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi” (tranne gli atti delle Regioni e delle Province Autonome, come statuito dalla sentenza della Corte costituzionale 21 aprile 1989, n. 229), e dunque, ove ne sussistano i presupposti, anche degli atti formalmente amministrativi, emessi dal Sindaco quale ufficiale del Governo o dello stato civile. L’attribuzione in linea di principio di un tale potere al Governo (in sede centrale e non nella sua articolazione territoriale) ha interessato anche di recente la giurisprudenza, la quale ha fornito indicazioni precise sul potere di annullamento degli atti degli organi degli enti locali (Cons. Stato Sez. III, 1 dicembre 2016, n. 5048), anche tenendo conto dei dibattiti che si erano in precedenza sviluppati soprattutto in ordine alla sussistenza o meno dei poteri impliciti (sul punto Cons. St, sez. VI, sent. n. 3076/2008, che tiene comunque fermo che “l’adozione di ogni misura non può che includere anche il potere di annullamento d’ufficio degli atti adottati dal sindaco quale ufficiale di governo, che risultano essere illegittimi o che comunque minano la menzionata unità di indirizzo”.

In materia rilevano l’art. 2, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, per il quale “sono sottoposti alla deliberazione del Consiglio dei Ministri … p) le determinazioni concernenti l’annullamento straordinario, a tutela dell’unità dell’ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi, previo parere del Consiglio di Stato” nonché l’art. 138, comma 1, del testo unico sugli enti locali 18 agosto 2000, n. 267, per il quale “in applicazione dell’articolo 2, comma 3, lettera p), della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo, a tutela dell’unità dell’ordinamento, con d.P. r, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’interno, ha facoltà in qualunque tempo, di annullare, d’ufficio o su denuncia, sentito il Consiglio di Stato, gli atti degli enti locali viziati da illegittimità”.

Tale conclusione, che richiede comunque l’adozione del previo avviso di procedimento ex art. 241/1990, consente l’annullamento in ogni caso, qualunque siano le norme citate nei provvedimenti dei Sindaci.

Non si ritiene invece agevolmente percorribile la soluzione dell’annullamento dell’atto dell’ente locale direttamente ad opera del Prefetto. Tale soluzione alternativa, frutto di un’interpretazione giurisprudenziale (Cons. St., sez. VI, sent. n. 3076/2008) e dell’applicazione della teorica dei c.d. poteri impliciti (sempre con il rispetto delle garanzie procedimentali), non sembra, infatti, essere in linea con il suddetto recente orientamento del Consiglio di Stato posto che la sussistenza di un generale potere di annullamento (desumibile dal sopra riportato art. 7 del T.u.p.s., oltre che dal d.lg. n. 1199 del 1971 sulla disciplina dei ricorsi gerarchici) anche da parte della autorità superiore, non è messo in discussione solo quando sussista un rapporto di sovraordinazione di natura gerarchica. Ed invero, nella specie, difetterebbe il suddetto rapporto di sovra ordinazione gerarchica e di conseguenza il potere del Prefetto di annullare l’atto dell’ufficiale del governo.

È dunque preferibile seguire la soluzione dell’annullamento governativo ai sensi dell’art. 138 TUEL considerato che, in aggiunta a quanto suesposto, 1′ attribuzione in linea di principio del suddetto potere al Governo, in sede centrale e non nella sua articolazione territoriale, consente di evitare il rischio che il giudice amministrativo, anche alla luce del recente orientamento giurisprudenziale inaugurato nel 2016 e sopra illustrato, possa intervenire annullando l’atto di annullamento d’ufficio per il vizio di incompetenza relativa o per “difetto assoluto di attribuzione”, che di per sé comporterebbe addirittura la nullità ex art. 21 septies della legge n. 241 del 1990.

Si evidenzia, pertanto, l’opportunità di dare un assetto diverso agli interessi in gioco e che prescinda da una risoluzione giudiziaria, in quanto l’aleatorietà della tutela cautelare non consente di configurarla come strumento determinante ai fini della soluzione definitiva e rapida della controversia.

Ed invero, in disparte il fatto che resterebbero comunque fermi gli effetti destinati a scaturire all’esito della più ampia cognizione della definizione di merito, permarrebbe la difficoltà di provare il requisito del periculum in mora previsto dal comma 1 dell’art. 55 del c.p.a., per forza di cose difficilmente configurabile in concreto nella gran parte dei casi o comunque, anche qualora prospettabile, non determinante ai fini della motivazione del pregiudizio grave ed irreparabile (impossibilità – di fatto – di ospitare migranti nel territorio comunale nelle more del giudizio amministrativo a causa dell’intralcio ai progetti SPRAR che si riverbera sul diritto dei richiedenti asilo ad una sistemazione decorosa).

Di qui il rischio che l’apprezzamento del giudice cautelare possa pregiudicare gli interessi di codesto Ministero. In ogni caso, una volta radicati i ricorsi, qualunque sia la valutazione della opportunità di investire il T.A.R. della tutela d’urgenza da parte dell’Avvocatura dello Stato, sarà sempre possibile proporre motivi aggiunti qualora le ordinanze sindacali vengano prorogate oltre i termini ivi previsti.

In conclusione, per tutte le ragioni suesposte, si suggerisce di emettere, in quanto maggiormente rispondente agli interessi pubblici, il provvedimento di annullamento governativo.

Si resta comunque a disposizione in ordine all’eventuale impugnazione delle suddette ordinanze innanzi al T.A.R.

Sul predetto parere si è espresso in senso conforme il Comitato Consultivo in data 13 novembre 2017.

Si resta a disposizione per quanto altro occorrer possa.


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