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Consulta sui prestiti sblocca-debiti, enti obbligati a ricalcolare i disavanzi

di Patrizia Ruffini

Nuova definizione del disavanzo, obbligo di adozione delle misure correttive e gestione provvisoria: sono d’impatto le conseguenze della sentenza della Corte costituzionale n. 4/2020 (si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa di ieri) che ha bocciato le norme di legge sull’utilizzo del fondo anticipazione di liquidità per farlo confluire nel fondo crediti di dubbia esigibilità. La decisione della Consulta Dall’illegittimità costituzionale degli articoli 25 del decreto legge 78/2015 e 1, comma 814, della legge 205/2017, per contrasto con gli articoli 81, 97, primo comma, e 119, sesto comma, della Costituzione deriva il divieto per gli enti di utilizzare le anticipazioni di liquidità (Fal) per attenuare il peso dell’accantonamento Fcde e migliorare il risultato di amministrazione, assicurando nuove forme di copertura giuridica della spesa. L’inidoneità delle anticipazioni a rimuovere situazioni di deficit strutturale deriva non solo dal contrasto con l’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, ma anche da dati elementari dell’esperienza – ha spiegato la Corte costituzionale – secondo cui solo un investimento efficace può assicurare, attraverso positivi effetti sul patrimonio della comunità di riferimento, la compensazione con i debiti che si contraggono attraverso l’assunzione del prestito. Le norme di legge ora dichiarate illegittime avevano consentito, a fronte di un accantonamento per anticipazione di liquidità (pari all’importo delle somme ricevute per il rispetto dei tempi di pagamento da Cassa depositi e prestiti e non ancora rimborsate), il suo utilizzo per gli accantonamenti del fondo crediti dubbia esigibilità, anch’esso da inserire fra le quote accantonate del risultato di amministrazione. In sostanza anziché tenere separati gli accantonamenti per fondo anticipazione liquidità (per esempio 100) e per fondo crediti dubbia esigibilità (per esempio 400), gli enti hanno potuto – per legge – utilizzare il Fal ai fini dell’Fcde, con l’effetto di accantonare meno risorse e dunque ridurre il disavanzo. Le correzioni Ora gli enti sono costretti a operare le correzioni. Un primo chiarimento scritto nella sentenza solleva le amministrazioni dal riapprovare, risalendo all’indietro, tutti i rendiconti antecedenti alla pronuncia. I rimedi imposti agli enti dalla Corte costituzionale riguardano invece la corretta rideterminazione dei propri disavanzi e di provvedere agli accantonamenti secondo le disposizioni vigenti al tempo di ciascuno dei pregressi esercizi. In pratica deve essere riconteggiato il disavanzo tenendo distinti, con autonomi e separati accantonamenti, il fondo anticipazione di liquidità (Fal) e il fondo crediti dubbia esigibilità (Fcde). È inoltre possibile applicare le norme in vigore al tempo. Per le sole operazioni di riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi di cui all’articolo 3, comma 16, del Dlgs 118/2011, il disavanzo di amministrazione correttamente rideterminato al 1° gennaio 2015 attraverso il riaccertamento straordinario dei residui potrà essere ripianato fino al limite dei trenta esercizi consentiti dalla norma. Ai deficit ulteriormente maturati saranno applicate invece le norme vigenti nel corso dell’esercizio in cui tali ulteriori disavanzi sono maturati. Questa rideterminazione del disavanzo di amministrazione confluirà certamente nel rendiconto dell’esercizio 2019, da approvare entro il prossimo 30 aprile. Per gli enti che devono ancora varare il bilancio di previsione 2020/22, invece, la sentenza interferirà anche sulla determinazione del risultato di amministrazione presunto. Infine, se nel corso dell’esercizio provvisorio, il prospetto aggiornato del risultato di amministrazione presunto evidenzia un disavanzo di amministrazione, l’ente è tenuto a osservare le regole della gestione provvisoria e deve procedere all’immediata approvazione del bilancio di previsione, iscrivendo tra le spese il disavanzo.

Rassegna stampa in collaborazione con Mimesi s.r.l.


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