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L'ente in deficit non usa l'avanzo
Decreto enti locali/2. Stop dal Dl 174/2012 all'utilizzo di entrate a specifica destinazione e alle anticipazioni di tesoreria

L’avanzo di amministrazione non può essere utilizzato nel caso in cui l’ente si trovi in una delle situazioni previste dagli articoli 195 (utilizzo di entrate a specifica destinazione) e 222 (anticipazioni di tesoreria) del Dlgs 267/2000, il Testo unico degli enti locali (Tuel). A stabilirlo è l’articolo 3, comma 1, lettera h), del Dl 174 del 10 ottobre 2012, in materia di finanza e funzionamento degli enti locali, integrando l’articolo 187 del Tuel con il comma 3-bis.
Scopo della norma è impedire l’utilizzo dell’avanzo da parte di enti che siano in condizioni di cassa deficitarie. Difatti l’avanzo, ove applicato, va a finanziare maggiori spese, aumentando la capacità autorizzatoria del bilancio di previsione a parità di entrate di competenza. Il rapporto fra dimensione degli avanzi ed effettiva situazione di cassa degli enti locali è la principale contraddizione della finanza locale. L’ammontare complessivo degli avanzi contabili del comparto, nel 2010, è stato pari circa a 7,6 miliardi di euro (6,4 per i Comuni e 1,2 per le Province). Parte di questi avanzi è chiaramente fittizia, a causa della presenza in bilancio di molti residui attivi quantomeno inesigibili.
La crisi di liquidità, esito naturale del mix di avanzo e residui attivi inesigibili di parte corrente, viene di solito tamponata/mascherata con l’utilizzo ripetuto dell’anticipazione di tesoreria e, ancor di più, delle entrate a specifica destinazione. Le due fonti straordinarie di liquidità dovrebbero sottostare a identiche regole di accesso e a un unico, e non cumulativo, limite quantitativo di utilizzo (3/12 delle entrate correnti accertate nel penultimo esercizio). D’ora in avanti, pertanto, sarà obbligatorio, prima dell’adozione delle variazioni di bilancio d’impiego dell’avanzo, che il responsabile del servizio finanziario e i revisori certifichino che l’ente non si trova in anticipazione di tesoreria o in disavanzo delle vincolate.
La prima attestazione è semplice. È sufficiente, difatti, accertare l’assenza di debiti per anticipazione nei confronti del tesoriere. Il riscontro sulle entrate a specifica destinazione, invece, è più complesso, poiché preliminarmente va verificata la corretta tenuta del conto delle stesse (e questo di rado accade). In caso contrario, prima dell’eventuale attestazione, va esattamente ricostruito il saldo delle vincolate.
Dal punto di vista teorico la novità normativa è da apprezzare, data la diffusa crisi di liquidità degli enti locali che rende illogici generalizzati aumenti di spesa finanziati con l’avanzo. L’attuale formulazione, tuttavia, pone dubbi interpretativi che sarebbe opportuno chiarire in sede di conversione.
È chiaro che la norma riguarda l’avanzo libero e non il vincolato, ossia entrate con vincolo di destinazione accertate e non impegnate entro l’esercizio che obbligatoriamente devono trovare imputazione nel bilancio dell’anno successivo. Sul punto, in ogni caso, sarebbe utile un passaggio esplicito. Più complessa, invece, è la definizione di utilizzo dell’anticipazione di tesoreria e delle somme vincolate. Queste situazioni andrebbero specificate in modo più puntuale. L’anticipazione o il ricorso alle vincolate, difatti, potrebbero essere fenomeni sporadici o eccezionali, essendo l’ente in grado di reintegrare gli scoperti con le prime entrate libere. Al contrario, potrebbero essere di carattere ricorrente, con casi limite nei quali manchi strutturalmente la capacità di reintegro degli utilizzi. Sono queste ultime le situazioni nelle quali si dovrebbe proibire l’utilizzo dell’avanzo. In questo senso, sarebbe opportuno indicare, in sede di conversione, parametri fattuali più precisi. Per esempio, si potrebbe fare riferimento a un ben definito criterio finanziario/temporale, quale l’incapacità di reintegro degli utilizzi entro un determinato arco di tempo.


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