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Demanio ai comuni, rischio flop
Nonostante le aperture del governo, i sindaci chiedono un intervento nella legge di stabilità

Il federalismo demaniale rischia di trasformarsi in un flop. La devoluzione agli enti locali degli immobili non più strategici per le amministrazioni statali, rimasta in stand by per oltre due anni e rivitalizzata dal decreto del fare (dl 69/2013), ha fino ad ora fatto registrare poco più di 600 richieste di beni provenienti da circa 150 comuni. Troppo poco se si pensa che sin dallo scorso 1° settembre gli enti locali possono inviare le richieste di trasferimento all’Agenzia del demanio. E così a meno di un mese dalla chiusura dell’operazione (la dead line, salvo proroghe, è fissata al 30 novembre) i numeri parlano da soli. E certificano un mezzo fallimento che però, secondo i sindaci, non può essere attribuito alla responsabilità dei comuni.

Sulla procedura continuano, infatti, a gravare numerose incognite (si veda ItaliaOggi del 1° ottobre 2013) che il governo, nonostante le rassicurazioni del sottosegretario all’economia Pier Paolo Baretta (nel corso dell’ultima assemblea Anci di Firenze), non ha ancora dissipato.

A cominciare dalla decurtazione dei trasferimenti nel caso in cui il bene statale trasferito dal centro alla periferia sia locato. I comuni chiedono che la riduzione dei contributi avvenga solo per il periodo di durata del contratto e temono invece che l’alleggerimento dei trasferimenti possa cristallizzarsi nel tempo. Baretta ha riconosciuto il problema e offerto la disponibilità del governo, ma nessun atto ufficiale ne è più seguito. I comuni sperano che la legge di stabilità possa essere la sede ideale per accogliere le modifiche alla disciplina del federalismo demaniale e nel frattempo preparano un pacchetto di emendamenti pronti per essere depositati in senato. A Firenze, il sottosegretario all’economia ha anche avallato la richiesta dell’Anci di destinare all’abbattimento del debito locale il 10% delle risorse incassate dalla vendita del patrimonio originario che invece, stando al decreto del fare, dovrebbero essere destinate esclusivamente a ridurre il debito pubblico statale. «E’ stata sostanzialmente riconosciuta l’equivalenza tra il debito statale e quello dei comuni», spiega a ItaliaOggi Roberto Reggi, presidente della Fondazione patrimonio comune, la struttura che l’Anci ha messo in piedi per aiutare i sindaci nel processo di valorizzazione dei beni demaniali. Ma anche su questo punto gli enti vorrebbero maggiori certezze in modo da valutare con cognizione di causa la convenienza di eventuali investimenti sui beni del Demanio. Il timore che serpeggia tra i primi cittadini è che tra croniche carenze di risorse, problemi di bilancio e obbligo di devolvere il ricavato dell’operazione allo stato (10% se i beni venduti sono comunali, 25% se sono stati trasferiti), imbarcarsi nell’avventura del federalismo demaniale possa rivelarsi un pericoloso boomerang.


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