MAGGIOLI EDITORE - Bilancio e contabilità


Soggezione passIVA dei Comuni e la tutela della concorrenza (Parte 4)
Con comunicato del 04/01/2016 la rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate si sofferma sulla soggezione passiva secondo la direttiva Iva e sui criteri di analisi applicabili a un caso concreto, esaminiamo la soggezione passiva Iva secondo l’ordinamento nazionale.

Con comunicato del 04/01/2016 la rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate si sofferma sulla soggezione passiva secondo la direttiva Iva e sui criteri di analisi applicabili a un caso concreto, esaminiamo la soggezione passiva Iva secondo l’ordinamento nazionale.

Definizione generale

La norma cardine in materia di soggettività passiva, con riferimento alle attività imprenditoriali, è l’articolo 4, comma 1, Dpr 633/1972, a mente del quale “Per esercizio di imprese si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali o agricole di cui agli articoli 2135 e 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma di impresa, nonché l’esercizio di attività, organizzate in forma di impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’articolo 2195 del codice civile”.

Come si può notare, la definizione, al pari di quella comunitaria, è tendenzialmente onnicomprensiva e consente di ricomprendere le attività commerciali e le attività agricole (alle attività libero professionali è specificamente dedicato l’articolo 5 del Dpr 600/1973).

In sede interpretativa, l’amministrazione finanziaria e la Corte di cassazione hanno effettuato le seguenti precisazioni:

Il secondo comma dell’articolo 4, a differenza di quanto avviene in sede comunitaria, prevede per alcuni soggetti una presunzione assoluta di soggezione passiva “Si considerano in ogni caso effettuate nell’esercizio di imprese:

Come si evince dalla lettera della norma, tale presunzione vale:

Per quanto di nostro interesse, è importante notare come le società in house, disciplinate dagli articoli 113 e 113-bis del Dlgs 267/2000 (Testo unico enti locali), avendo la veste di società commerciali, sono sempre e comunque considerate soggetti passivi indipendentemente dal tipo di attività esercitata.

Se il Comune sceglie di utilizzare tale strumento, l’attività svolta diventa soggetta a Iva anche quando ordinariamente non lo sarebbe (risoluzioni 56/2014, 129/2006, 37/2007).

La soggezione passiva degli enti non commerciali secondo l’ordinamento nazionale

Chiarito che per i soggetti ontologicamente commerciali vige una presunzione assoluta di soggezione al tributo, passiamo a esaminare il regime degli enti non commerciali, nel cui novero rientrano, ovviamente, anche gli enti pubblici.

Tali enti, come noto, possono svolgere sia attività istituzionali sia attività commerciali.

Per “attività istituzionali” si intendono quelle volte alla realizzazione degli scopi a motivo dei quali l’ente è stato costituito; tali scopi sono indicati dallo statuto, dall’atto costitutivo o dalla legge (circolare 124/1998).

Essendo necessario verificare, caso per caso, se l’attività svolta possiede le caratteristiche di commercialità richieste dalla norma, le stesse sono brevemente richiamate:

La normativa nazionale, concordemente a quella comunitaria, dopo aver specificato che gli enti non commerciali sono assoggettati a Iva solo per le attività commerciali o agricole dagli stessi svolte, prevede che, per alcune attività, tali enti siano sempre considerati soggetti passivi indipendentemente dalle modalità di svolgimento.

Precisamente, l’articolo 4, comma 5, primo periodo, dispone che “Agli effetti delle disposizioni di questo articolo sono considerate in ogni caso commerciali, ancorché esercitate da enti pubblici, le seguenti attività:

a) cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita, escluse le pubblicazioni delle associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona cedute prevalentemente ai propri associati;
b) erogazione di acqua e servizi di fognatura e depurazione, gas, energia elettrica e vapore;
c) gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale;
d) gestione di spacci aziendali, gestione di mense e somministrazione di pasti;
e) trasporto e deposito di merci;
f) trasporto di persone;
g) organizzazione di viaggi e soggiorni turistici; prestazioni alberghiere o di alloggio;
h) servizi portuali e aeroportuali;
i) pubblicità commerciale;
l) telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari”.

Affrontato, brevemente, il tema della soggezione passiva per gli enti non commerciali, passiamo a esaminare le specificità relative agli enti pubblici.

La soggezione passiva degli enti pubblici alla luce del diritto nazionale

L’articolo 4, comma 5, secondo periodo, Dpr 633/1972, precisa che “Non sono invece considerate attività commerciali: le operazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, dalle province, dai comuni e dagli altri enti di diritto pubblico nell’ambito di attività di pubblica autorità”.

Tale esclusione, ai sensi del primo periodo del comma citato, non opera per le attività immanentemente commerciali.

La norma nazionale, diversamente da quanto avviene in ambito unionale, non prevede la soggezione al tributo delle attività di pubblica autorità la cui esclusione può creare lesioni della concorrenza.

Data la primazia del diritto comunitario, detta lacuna deve essere colmata applicando i principi dettati dalle disposizioni comunitarie sopra richiamate.


https://www.bilancioecontabilita.it