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La legge di stabilità sale a quota 30 miliardi
Verso il Cdm. L'operazione porterà l'impatto dei tagli alla spesa pubblica dai 10-11 miliardi previsti ad almeno 16 miliardi

Puntare forte sulla riduzione delle tasse. La decisione di destinare 18 miliardi all’alleggerimento del peso del fisco e del costo del lavoro fa lievitare la Legge di stabilità 2015 a 30 miliardi. A dare l’annuncio è Matteo Renzi, dopo che lo stesso premier nei giorni scorsi aveva fatto riferimento a una manovra da 23-24 miliardi.

Un intervento taglia tasse che tiene conto dei 3 miliardi già previsti per il prossimo anno dal decreto Irpef e che soprattutto punta sull’azzeramento della componente costo del lavoro dell’Irap, che da sola vale 6,5 miliardi. Un’operazione che ha come prima ricaduta quella di riportare il target della spending review per il prossimo anno dai 10-11 miliardi indicati negli ultimi giorni anche dagli esperti di Palazzo Chigi a 16 miliardi, ovvero in linea con l’obiettivo fissato dal Def di aprile.

L’altro serbatoio che alimenterà la Stabilità è rappresentato dagli 11,5 miliardi ricavati dal Governo azionando la leva del deficit, rimanendo comunque sotto il tetto del 3%. Altri 2-3 miliardi arriveranno poi da nuove entrate e lotta all’evasione, sotto forma di interventi sul settore dei giochi, e forse anche con l’ampliamento del reverse charge sull’Iva. A queste misure si aggiungeranno alcune micro una-tantum.

Cambia anche la configurazione del puzzle della manovra dalla chiara impronta “espansiva”. I 18 miliardi destinati a fertilizzare il terreno in chiave crescita saranno utilizzati anzitutto per stabilizzare il bonus Irpef da 80 euro. Per questo intervento servono 10 miliardi, che in realtà in Legge di stabilità diventano 7 perché 3 sono già assicurati in via strutturale dal decreto sul bonus Irpef. Altri 500 milioni saranno utilizzati per rafforzare le detrazioni delle famiglie numerose prioritariamente monoreddito. Come detto, 6,5 miliardi saranno impiegati per azzerare la componente lavoro dell’Irap e un altro miliardo servirà per incentivare la cancellazione (per tre anni) dei contributi per le nuove assunzioni a tempo indeterminato con il nuovo sistema di tutele crescenti. Pertanto, sui 18 miliardi indicati da Renzi per alleggerire il peso fiscale e del costo del lavoro dovrebbero essere individuate coperture per non più di 15 miliardi.

Il conto sale considerando le altre voci “obbligate” della Legge di stabilità dalla fisionomia “espansiva”, che sarà varata domani dal Consiglio dei ministri. A partire dall’allentamento del Patto di stabilità interno per i Comuni che sarà pari a 1 miliardo e non verrà accompagnato dall’anticipo dal 2016 al 2015 dell’obbligo di pareggio di bilancio previsto in Costituzione per i Comuni, come invece era stato ipotizzato nei giorni scorsi.

Un altro miliardo servirà per la stabilizzazione di 150mila precari inserita nelle linee guida della riforma della scuola. Non meno di 1,5 miliardi saranno destinati ad alimentare i nuovi ammortizzatori sociali collegati al Jobs act. Un altro miliardo servirà poi per rendere semi-strutturale il credito d’imposta per la ricerca (500 milioni l’anno) e per prorogare l’ecobonus del 65% e il bonus del 55% per le ristrutturazioni edilizie. A questo punto siamo già arrivati a quota 19,5 miliardi, ai quali si aggiungeranno 5-6 miliardi per la copertura delle cosiddette spese indifferibili (dal rifinanziamento del 5 per mille alle missioni internazionali di pace). E, soprattutto, i 3 miliardi necessari per disinnescare la clausola fiscale ereditata dal Governo Letta. In tutto 27,5-28,5 miliardi, al netto delle coperture per lo sblocco degli scatti del personale del settore sicurezza (circa 1 miliardo), delle eventuali risorse aggiuntive per far decollare l’operazione Tfr in busta paga e della dote (sempre eventuale) da garantire al Comune di Genova per far fronte all’emergenza legata all’alluvione dei giorni scorsi. Il conto, quindi, si chiuderebbe più o meno a 30 miliardi, come indicato dal premier.

Servirebbero pertanto 18,5 miliardi da aggiungere agli 11,5 miliardi ricavati azionando la leva del deficit. Almeno 16, assicura il premier, arriveranno dalla riduzione della spesa, che si tradurrà in un mix di “spending” (adottando una parte, seppure rivista e corretta, del piano preparato dal dimissionario Carlo Cottarelli) e di tagli semi-lineari seguendo la regola Renzi del 3%. Un’operazione non semplice. E la caccia alle coperture da parte dei tecnici dell’esecutivo, proseguita ieri fino a tarda notte, sembrerebbe testimoniarlo. Sembra confermata l’intenzione di non toccare le pensioni. I tagli si concentreranno soprattutto sulle Regioni, per almeno 4-4,5 miliardi. Che a questo punto rischiano di non poter evitare di toccare la sanità, dalla quale è atteso un contributo minimo di quasi 1 miliardo utilizzando la nuova stretta sui beni e servizi (che avrà una ricaduta trasversale su tutte le amministrazioni centrali e territoriali per non meno di 3,5-4 miliardi).

Gli enti locali dovrebbero essere chiamati a garantire un contributo minimo di 2,5-3 miliardi, che per circa 1 miliardo deriverebbe dalla prima fase di “potatura” delle municipalizzate. Un altro miliardo dovrebbe arrivare dal pubblico impiego soprattutto attraverso il taglio del 3% delle retribuzioni dei dirigenti pubblici (almeno 600 milioni). Altri 4-4,5 miliardi potrebbero essere assicurati dal giro di vite sulle voci di competenza diretta dei ministeri e tra i 500 milioni e il miliardo dal piano di razionalizzazione degli immobili. I 3 miliardi mancanti dovrebbero essere recuperati con alcune mini una-tantum non fiscali (quasi un miliardo) e per circa 2 miliardi dal riordino di tax expenditures e incentivi alle imprese, che con un aggiustamento contabile non rientrerebbe più tra le maggiori entrate ma tra le minori spese. Per quanto riguarda la nuova tassa unica per la casa si punterebbe, al momento, ad intervenire in Parlamento come fu fatto per la Tasi.


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