Immobile comunale del patrimonio disponibile destinato a farmacia

Il Servizio Affari Istituzionali e Locali, Polizia Locale e Sicurezza del sistema delle Autonomie Locali della Regione Autonoma del Friuli Venezia Giulia, risponde alla seguente domanda posta da un Comune.

Il Comune è proprietario di un immobile destinato a farmacia ed appartenente al patrimonio disponibile, a suo tempo concesso in uso gratuito al precedente titolare della farmacia. Il Comune chiede un parere in ordine alla possibilità di procedere ora, allo stesso modo, all’assegnazione gratuita dell’immobile al nuovo farmacista, libero professionista, considerata l’importanza di avere il servizio di farmacia nel proprio territorio montano – distante dai paesi di fondovalle e la cui scarsa popolazione è composta per lo più da anziani – e comunque di sapere attraverso quale strumento giuridico sia legittimo agire (locazione, comodato, concessione). Il Comune rappresenta, inoltre, l’utilità di assicurare ai residenti ulteriori servizi – consegna farmaci a domicilio, misurazione pressione, uso defibrillatore – per i quali valuterebbe di dare un corrispettivo al farmacista.

In via preliminare, si precisa che l’attività del Servizio consiste nel fornire agli enti locali un supporto giuridico generale sulle questioni poste, da cui poter trarre elementi utili per l’individuazione in autonomia della soluzione dei casi concreti, in relazione alle specificità che li connotano. Pertanto, in via collaborativa, si esprimono sul tema in oggetto le seguenti considerazioni.

Il tipo di negozio giuridico da utilizzare per l’affidamento di immobili comunali dipende dalla natura di questi, demaniale, patrimoniale indisponibile o patrimoniale disponibile.

In particolare, la natura demaniale o patrimoniale indisponibile dell’immobile determina l’applicazione dello strumento pubblicistico della concessione amministrativa, mentre per i beni del patrimonio disponibile l’attribuzione in godimento a soggetti terzi deve essere effettuata secondo gli schemi di diritto privato[1]. La giurisprudenza della Cassazione civile è costante nell’affermare che, a prescindere dalla qualificazione giuridica attribuita dalle parti o dalla pubblica amministrazione al rapporto posto in essere, la natura demaniale o patrimoniale indisponibile dell’immobile implica l’esistenza di una concessione amministrativa, mentre il rapporto avente ad oggetto il godimento di un bene immobile compreso nel patrimonio disponibile si configura quale locazione[2].

Queste considerazioni portano a ritenere che la concessione in uso dell’immobile comunale, appartenente al patrimonio disponibile dell’Ente (per sua espressa indicazione), vada effettuata a mezzo di negozi contrattuali di diritto privato.

In ordine a quale contratto possa essere utilizzato, in particolare se anche il comodato, la Corte dei conti, nel rimarcare che le concrete scelte gestionali in questo ambito rientrano nell’esclusiva discrezionalità degli enti[3], ha espresso principi generali, continuando a specificarne i contenuti e le deroghe nel susseguirsi dei suoi pronunciamenti sino ad oggi.

La Corte dei conti ha innanzitutto tratto dal quadro normativo vigente il principio di fruttuosità dei beni pubblici, muovendo dalla lettura combinata delle disposizioni di cui agli artt. 9, comma 3, L. n. 537/1993[4], e 32, c. 8, L. 724/1994[5], che impongono la determinazione e l’aggiornamento dei canoni dei beni dati in concessione a privati, sulla base dei prezzi praticati in regime di libero mercato, e da cui deriva il principio di gestione del patrimonio pubblico in modo da incrementare le entrate patrimoniali dell’amministrazione [6].

Per la Corte dei conti, infatti, queste norme sono la chiara espressione della volontà del legislatore di rapportare i canoni locativi di tutti gli immobili pubblici ai valori di mercato; e ciò sia che si tratti, più propriamente, di immobili destinati ad uso abitativo (quali quelli disciplinati dall’art. 9, comma 3, della legge n. 537 del 1993), sia che si tratti di immobili appartenenti al patrimonio indisponibile (quali quelli regolati dall’art. 32, comma 8, della legge n. 724 del 1994), sia che si tratti – come nella specie – di immobili del patrimonio disponibile destinati ad uso commerciale, relativamente ai quali – già prima della entrata in vigore delle nuove disposizioni – il principio della redditività secondo valori di mercato discendeva dai principi di buona amministrazione cui sono astretti gli enti pubblici[7].

Peraltro, con particolare riferimento al patrimonio disponibile, di interesse nel caso di specie, la Corte dei conti ha formulato ulteriori riflessioni.

Il Giudice contabile osserva in primis che la concessione in uso gratuito di bene immobile del patrimonio disponibile va qualificata in termini di attribuzione di un ‘vantaggio economico’ in favore di soggetto di diritto privato, per cui detto provvedimento deve essere adottato nel rispetto dei principi generali dettati dalla L. n. 241/1990 (art. 12), nonché delle norme regolamentari dell’ente locale. La Corte dei conti osserva, dunque, che non esiste uno specifico divieto di concessione in uso gratuito di detti beni che appartengono all’ente pubblico iure privatorum. Tuttavia, l’ente locale nell’esercizio della discrezionalità in ordine alla gestione del proprio patrimonio deve non solo evidenziare e pubblicizzare le finalità pubblicistiche che intende perseguire con la stipula del negozio di comodato, bensì deve altresì verificare che l’utilità sociale perseguita rientri nelle finalità a cui è deputato l’ente locale medesimo. Dunque, rientra nella sfera della discrezionalità dell’ente locale la scelta sulle modalità di gestione del proprio patrimonio disponibile, purché l’esercizio di detta discrezionalità avvenga previa valutazione e comparazione degli interessi della comunità locale, nonché previa verifica della compatibilità finanziaria e gestionale dell’atto dispositivo. D’altra parte, la natura pubblica o privata del soggetto che riceve l’attribuzione patrimoniale è indifferente, purché detta attribuzione trovi la sua ragione giustificatrice nei fini pubblicistici dell’ente locale[8].

Successivamente, la Corte dei conti ha assunto una posizione di maggior rigore rispetto alla possibilità di derogare al principio della redditività del patrimonio pubblico.

La Corte dei conti Veneto, deliberazione n. 716/2012, ha osservato che il legislatore stesso ha tracciato i confini delle possibili eccezioni ai principi generali della gestione economica del patrimonio pubblico. In particolare, l’art. 32, comma 8, L. 724/1994, prevede una deroga in considerazione degli ‘scopi sociali’, mentre l’art. 32, L. n. 383/2000, consente agli enti locali di concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, alle associazioni di promozione sociale ed alle organizzazioni di volontariato per lo svolgimento delle loro attività istituzionali.

In questi casi, la mancata redditività del bene è considerata, comunque, compensata dalla valorizzazione di un altro bene ugualmente rilevante che trova il suo riconoscimento e fondamento nell’art. 2 della Costituzione.

Le predette eccezioni si riferiscono a categorie ben individuate di beneficiari, in relazione alle quali la Corte dei conti fa delle precisazioni. E così, l’art. 32, L. n. 383/2000, consente il comodato a favore delle organizzazioni di volontariato ed associazioni di promozione sociale, secondo la definizione contenuta nell’art. 2 della L. 383/2000, che comprende soggetti costituiti al fine di svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza finalità di lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità degli associati. D’altra parte anche il beneficio previsto dall’art. 32, comma 8, L. 724/1994, va letto – secondo la Corte – in riferimento a quanto previsto dal comma 3 del medesimo articolo, che esclude dall’incremento dei canoni annui dei beni patrimoniali, in questo caso dello Stato, una serie di categorie di soggetti, tra le quali sono comprese anche le associazioni e fondazioni con finalità culturali, sociali, sportive, assistenziali, religiose, senza fini di lucro, nonché le associazioni di promozione sociale, con determinati requisiti[9].

Dalla lettura delle norme in questione – afferma la Corte dei conti Veneto n. 716/2012 – ‘risulta pertanto evidente che la deroga alla regola della determinazione di canoni dei beni pubblici secondo logiche di mercato […] appare giustificata solo dall’assenza di scopo di lucro dell’attività concretamente svolta dal soggetto destinatario di tali beni’. E sulla base di queste premesse, la Corte dei conti Veneto, chiamata a pronunciarsi sulla possibilità di applicare un canone ridotto rispetto a quello di mercato ad associazioni senza scopo di lucro di interesse collettivo, nel ribadire che l’indirizzo politico e legislativo che si è venuto affermando negli ultimi anni è stato improntato alla valorizzazione del patrimonio pubblico secondo criteri di redditività, formula, tuttavia, nel caso specifico, conclusioni di apertura. E lo fa attesa la natura dell’ente locale di ente a fini generali, e richiamandolo di conseguenza ad assumere le proprie scelte gestionali in considerazione delle proprie finalità istituzionali, attraverso un’attenta valutazione comparativa tra gli interessi pubblici in gioco, secondo i principi già espressi negli anni precedenti dalla magistratura contabile.

In linea di continuità con la Corte dei conti Veneto n. 716/2012, la Corte dei conti Molise afferma che il comodato di beni del patrimonio disponibile pubblico è da ritenersi ammissibile nei casi in cui sia perseguito un effettivo interesse pubblico equivalente o addirittura superiore rispetto a quello meramente economico ovvero nei casi in cui non sia rinvenibile alcuno scopo di lucro nell’attività concretamente svolta dal soggetto utilizzatore di tali beni. Su queste premesse, nel caso specifico relativo alla possibilità di stipulare un comodato in favore di una cooperativa sociale ONLUS, la Sezione molisana rimette la scelta gestionale all’ente, previa esaustiva motivazione della finalità di interesse pubblico[10].

Si osserva, successivamente alla deliberazione della Sezione veneta n. 716/2012, un uniformarsi della giurisprudenza contabile alle osservazioni ivi svolte circa l’assenza dello scopo di lucro in capo ai soggetti per i quali il legislatore ha previsto la possibilità di derogare alla regola della redditività del patrimonio pubblico. Assenza di fine di lucro necessaria, ad avviso della Corte dei conti, tanto per mitigare quanto per escludere detta redditività. In applicazione di questi principi, nelle fattispecie specifiche sottoposte al suo vaglio, ove i soggetti possibili affidatari dei beni del patrimonio locale sono pp.aa. o soggetti privati connotati dall’assenza di scopo di lucro, la magistratura contabile rimette alla scelta autonoma degli enti la possibilità di determinare il canone di locazione in misura ridotta o di disporre la gratuità dell’utilizzo dell’immobile, ovviamente dando esaustiva motivazione in ordine alle finalità di interesse pubblico perseguite e sulla base di una valutazione ponderata comparativa tra gli interessi pubblici in gioco, secondo i principi già espressi in passato[11].

L’accertamento della sussistenza o meno dello scopo di lucro, inteso come attitudine a conseguire un potenziale profitto di impresa, è rimesso al prudente apprezzamento dell’ente interessato, in relazione allo scopo e alle finalità perseguite dall’operatore e alle modalità concrete con le quali viene svolta l’attività che coinvolge l’utilizzo del bene pubblico[12].

Venendo al caso di specie, in via collaborativa, si osserva che la giurisprudenza ha affermato lo status di imprenditore commerciale del farmacista, in considerazione della sua attività di smercio di medicinali e prodotti parafarmaceutici[13], che rientra nella definizione dell’art. 1470 c.c. e nelle regole tutte della compravendita[14]. Pertanto, alla luce della natura di imprenditore commerciale del farmacista e dell’orientamento giurisprudenziale sulla gestione dei beni pubblici come evoluto negli ultimi anni, sembrerebbe venire in considerazione, per l’affidamento dell’immobile di cui si tratta al nuovo farmacista, il contratto di locazione, nel rispetto della normativa vigente (per un canone corrispondente a quello del valore di mercato).

Per quanto concerne, infine, l’espletamento da parte del farmacista di servizi ulteriori in favore dei residenti, si osserva che la L. n. 69/2009 ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi finalizzati all’individuazione di nuovi servizi a forte valenza socio-sanitaria erogati dalle farmacie pubbliche e private nell’ambito del Servizio sanitario nazionale (art. 11). In attuazione della legge delega, è stato emanato il D.Lgs. n. 153/2009 che ha individuato i nuovi servizi assicurati dalle farmacie previa adesione del titolare della farmacia, tra cui, ad es. la consegna domiciliare dei farmaci (art. 1, comma 2, lett. a, n.1) e l’utilizzo presso le farmacie di dispositivi semiautomatici per la defibrillazione (art. 1, comma 2, lett. d)[15].

In considerazione della valenza socio sanitaria dei nuovi servizi, espressamente indicata dal legislatore, si ritiene che gli stessi non possano essere imputati al Comune, deputato allo svolgimento delle funzioni che riguardano i servizi alla persona (art. 13, c. 1, D.Lgs. n. 267/2000[16]; art. 16, c. 1, L.R. n. 1/2006[17]), i quali attengono alla sfera sociale e socio-assistenziale[18] e non a quella sanitaria e socio-sanitaria, di competenza del Servizio sanitario.

 

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[1] Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione Sardegna, parere 7 marzo 2008, n. 4. La magistratura contabile richiama, in questo senso, la giurisprudenza uniforme di legittimità (tra le altre, Cass. civ., sez. III, 22 giugno 2004, n. 11608) e amministrativa (tra le altre, Consiglio di Stato, Sez. V, 6 dicembre 2007, n. 6265, secondo cui, in caso di presenza di un bene del patrimonio disponibile, l’utilizzo della concessione amministrativa non trova alcun fondamento normativo né alcuna giustificazione, ma si risolve solo ed esclusivamente nell’elusione di norme inderogabili poste dal diritto privato).

[2] Cass. civ., sez. V, 31 agosto 2007, n. 18345; Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 2005, n. 27931.

[3] Corte dei conti, sez. reg. contr. Lombardia, deliberazione 9 giugno 2011, n. 349.

[4] Ai sensi del comma 3 in argomento, ‘A decorrere dal 1° gennaio 1994, il canone degli alloggi concessi in uso personale a propri dipendenti dall’amministrazione dello Stato, dalle regioni e dagli enti locali, nonché quello corrisposto dagli utenti privati relativo ad immobili del demanio, compresi quelli appartenenti al demanio militare, nonché ad immobili del patrimonio dello Stato, delle regioni e degli enti locali, è aggiornato, eventualmente su base nazionale, annualmente, con decreto dei Ministri competenti, d’intesa con il Ministro del tesoro, o degli organi corrispondenti, sulla base dei prezzi praticati in regime di libero mercato per gli immobili aventi analoghe caratteristiche e, comunque, in misura non inferiore all’equo canone. A decorrere dal 1° gennaio 1995 gli stessi canoni sono aggiornati in misura pari al 75 per cento della variazione accertata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) dell’ammontare dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e impiegati, verificatesi nell’anno precedente’.

[5] Il comma 8 in argomento prevede che ‘A decorrere dal 1° gennaio 1995 i canoni annui per i beni appartenenti al patrimonio indisponibile dei comuni sono, in deroga alle disposizioni di legge in vigore, determinati dai comuni in rapporto alle caratteristiche dei beni, ad un valore comunque non inferiore a quello di mercato, fatti salvi gli scopi sociali’.

[6] Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per il Lazio 3 maggio 2004, n. 1737/2004 e 2 marzo 2009, n. 262/2009.

[7] Corte Conti, sez. II giurisdizionale centrale d’appello, 22/04/2010, n. 149. Nello stesso senso, Corte dei conti, sez. reg. contr. Puglia, deliberazione 14 novembre 2013, n. 170, secondo cui l’obbligo della gestione economica del bene pubblico, in modo da aumentarne la produttività in termini di entrate finanziarie, rappresenta attuazione del principio costituzionale di buon andamento (art. 97 Cost.), del quale l’economicità della gestione amministrativa costituisce il più significativo corollario.

[8] Corte dei conti, sez. reg. contr. Lombardia, deliberazione 17 giugno 2010, n. 672 e deliberazione 9 giugno 2011, n. 349. Nello stesso senso, Corte dei conti Veneto 22 aprile 2009, n. 33.

[9] Corte dei conti Veneto n. 716/2012. Conforme sull’interpretazione delle norme in argomento, Corte dei conti Puglia n. 170/2013 cit.. La posizione della Corte dei conti Veneto sull’assenza dello scopo di lucro è altresì richiamata dalle Corti dei conti Puglia, deliberazione 12 dicembre 2014, n. 216; Lombardia, deliberazione 6 maggio 2014, n, 172; Molise deliberazione 15 gennaio 2015, n. 1.

 

[10] Corte dei conti Molise n. 1/2015 cit..

[11] Corte dei conti Puglia n. 170/2013 cit. – nel riaffermare dopo la Sezione veneta n. 716/2012 le eccezioni ai principi generali della gestione economica quali quelle espressamente indicate dal legislatore (art. 32, comma 8, L. 724/1994, interpretato alla luce del comma 3 dell’art. 32 medesimo; art. 32, L. n. 383/2000) – nel caso specifico, rimette alla valutazione dell’ente la possibilità di stipulare il comodato in favore di società consortile senza fini di lucro, previa valutazione comparativa degli interessi pubblici secondo i principi già espressi dalla giurisprudenza contabile in ordine alla gestione dei beni pubblici (in particolare, Corte dei conti Lombardia n. 349/2011, cit.); Corte dei conti Lombardia n. 172/2014 cit. – nel premettere che la Corte dei conti Veneto n. 716/2012 ha chiaramente evidenziato che la deroga al principio generale di redditività del bene pubblico può essere giustificata solo dall’assenza dello scopo di lucro dell’attività concretamente svolta dal soggetto destinatario di tali beni – nel caso specifico, rimette all’ente la scelta gestionale di prevedere tariffe agevolate o la gratuità per l’utilizzo dei beni pubblici in favore di associazioni no profit; Corte dei conti Puglia n. 216/2014 cit. – richiamata la numerosa giurisprudenza sull’assenza di lucro a giustificazione della deroga al principio generale di redditività del bene pubblico – nel caso specifico, si esprime in senso favorevole alla concessione in comodato alla Guardia di Finanza di un immobile comunale per l’allocazione della relativa caserma; Corte dei conti Molise n. 1/2015, cit.. Sul principio del riconoscimento di una riduzione del canone concessorio per l’utilizzo di beni pubblici (nel caso demaniali) da parte del privato, a fini di pubblico interesse, da cui il concessionario non tragga alcun lucro, v. anche Consiglio di Stato 3 giugno 2014, n. 2839, con specifico riferimento alla normativa recata dal Codice della navigazione.

[12] Corte dei conti Veneto n. 716/2012 cit.. Conformi: Corte dei conti Lombardia, n. 172/2014, cit.; Corte dei conti Molise n. 1/2015, cit..

[13] Cass. civ., sez. lav., 24 febbraio 1986, n. 1149. Nello stesso senso, Cass. civ., sez. trib., 3 agosto 2007, n. 17116. Sull’indubbia natura commerciale dell’attività del farmacista, v. anche Consiglio di Stato, sez. III, 25 gennaio 2012, n. 324, e TAR Cagliari, sez. I, 24 febbraio 2010, n. 223. Inoltre, in generale, in ordine al concetto di impresa, la Cassazione civile, sez. trib., 16 luglio 2010, n. 16722, richiama la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, nell’ambito del diritto alla concorrenza, secondo cui la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che eserciti un’attività economica (Corte di giustizia UE, sez. VI, 23 aprile 1991, n. 41 e 11 dicembre 1997, n. 55), e costituisce un’attività economica qualsiasi attività consistente nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato (Corte di giustizia UE, sez. V, 18 giugno 1998, n. 35).

[14] Ai sensi dell’art. 122, R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 (Approvazione del Testo unico delle leggi sanitarie) oggetto prevalente dell’attività del farmacista è la vendita di medicinali «messi in commercio già preparati e confezionati».

[15] D.Lgs. 3 ottobre 2009, n. 153, in attuazione del quale sono stati emanati i DM 16 dicembre 2010, il DM 8 luglio 2011 e il DM 11 dicembre 2012.

[16] ‘Spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito al altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le relative competenze’.

[17] ‘Il comune è titolare di tutte le funzioni amministrative che riguardano i servizi alla persona, lo sviluppo economico e sociale e il governo del territorio comunale, salvo quelle attribuite espressamente dalla legge ad altri soggetti istituzionali’.

[18] V. art. 6, L. n. 328/2000, secondo cui i comuni sono titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale e v. altresì art. 10, L.R. n. 6/2006, secondo cui i comuni sono titolari delle funzioni amministrative concernenti la realizzazione del sistema locale di interventi e servizi sociali.

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