Campanilismo o più fondi statali? Il dilemma dei 58 comuni lombardi

Fonte: Corriere della Sera

Riviera Ceresio, Borgo Virgilio, Valle Brembilla e persino un improbabile Chiasso d’Italia: nomi che anche il più attento osservatore cercherebbe invano sull’attuale cartina della Lombardia ma che presto potrebbero entrare nella geografia di casa nostra. Ieri infatti si sono svolti in 58 comuni mignon lombardi i referendum consultivi con cui ai residenti (circa 80 mila in tutto) è stato chiesto se vogliono fondersi con i loro vicini; se la Regione darà seguito all’esito delle consultazioni, molte amministrazioni comunali saranno «disboscate» e nasceranno comuni dai nomi inediti: una vera rivoluzione nell’Italia dei mille campanili (ma la Germania in fatto di comuni lillipuziani ci batte), dove niente è più duro a morire della rivalità con vicini e dirimpettai. Il meccanismo della consultazione è complesso: perché le fusioni abbiano via libera, i «sì» devono ottenere la maggioranza non solo nel calcolo complessivo dei voti ma anche in ogni singolo paese. A spoglio ancora in corso ieri sera i favorevoli erano in netto vantaggio tanto in provincia di Varese (8 paesi alle urne) quanto nel Mantovano (4) e sul lago di como (7). Unione bocciata invece tra Porlezza e gli altri paesi del lago di Lugano e in Valchiavenna. Ma la faziosità, lo spirito ultrà non sono stati messi da parte nemmeno stavolta. A Mezzegra, comune in riva al lago di Como noto perché qui nel ’45 furono fucilati Mussolini e la Petacci, venerdì notte l’auto del sindaco Claudia Lingeri è stata data alle fiamme e vicino al rogo è stato lasciato un volantino a mo’ di rivendicazione, contrario alle nozze amministrative con i confinanti paesi di Tremezzo, Lenno e Ossuccio. Per fortuna il risentimento ha raggiunto toni intimidatori soltanto lì, altrove si è fermato a scontri verbali, seppur accesi, dove le ragioni del sì o del no alla fusione sono ricorrenti: i favorevoli alla semplificazione geografica (i sindaci in primis) dicono che porterà vantaggi finanziari; i contrari sventolano invece la bandiera dell’«identità» dei singoli borghi. Il portafogli contro il cuore, insomma.

I «plus» economici per chi accetta di unirsi ai vicini sembrano indubbi: ogni amministrazione riceverebbe infatti per dieci anni trasferimenti dallo Stato aumentati del 20% rispetto a quelli del 2010. Per fare un esempio: agli abitanti di Faloppio, paese comasco che potrebbe unirsi a Ronago e Uggiate Trevano dando vita all’altisonante «Chiasso d’Italia» oggi spettano da Roma 750 mila euro; la quota salirebbe a 900 mila, una manna visto che tutti gli altri bilanci sono fatti con la forbice. Ma ci pensate alla perdita dello status? Giuliano Guastalla, consigliere pdl di Borgarello (Mantova), ha tuonato che «la nostra attività verrebbe denigrata» al solo pensiero del municipio degradato a sede di associazioni di volontariato nel caso andasse in porto la fusione con la vicina San Giorgio.

A volte i contrasti sono dei veri e propri «derby» in seno alla stessa giunta: Carlo Redondi, primo cittadino di Covo (Bergamo) si è espresso a favore dell’abbraccio con Fara Olivana e Isso, ma il suo assessore all’ambiente, Andrea Cappelletti, la vede esattamente al contrario. E la Lega, sempre schierata a difesa delle autonomie di ogni dimensione e delle piccole patrie? Giosuè Frosio, consigliere regionale bergamasco, se l’è presa con la campagna informativa, che avrebbe presentato le fusioni come un fatto obbligatorio. Lo ha rimbrottato Giovanni Bottani, sindaco di Valsecca, una delle realtà destinate a sparire: «Ma se non abbiamo nemmeno lo stemma comunale…».

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