Atto viziato, atto rimpiazzato: è un’altra tipologia di autotutela

Con comunicato del 12/02/2015 la rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate rende noto che:

La Commissione tributaria regionale della Toscana, con la sentenza 1/17/15 dell’8 gennaio scorso, ha affermato che l’avviso di accertamento emesso in sostituzione di uno precedente, viziato da un errore materiale evidente, non costituisce espressione del potere di autotutela integrativa (ex articolo 43, comma 4, Dpr 600/1973) ma, piuttosto, del potere di autotutela sostitutivo, esperibile anche in assenza di sopravvenute conoscenze.

 Prima di esaminare la questione specifica, va ricordato che l’autotutela nasce come istituto di diritto amministrativo e rappresenta una manifestazione del potere di riesame dell’Amministrazione.

L’amministrazione competente può, in particolare, assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies (revoca del provvedimento) e 21-nonies (annullamento d’ufficio), della legge 241/1990.

Secondo l’opinione, ormai consolidata, di dottrina e giurisprudenza, l’annullamento degli atti in autotutela non deve essere finalizzato al mero ripristino della legalità, dovendo sussistere anche concrete ragioni di interesse pubblico alla rimozione del provvedimento.

L’Amministrazione deve, quindi, procedere a una valutazione discrezionale, in occasione della quale la sottostante posizione soggettiva si configura pertanto come interesse legittimo.

L’autotutela viene, in sostanza, posta dall’ordinamento al servizio della soddisfazione degli scopi istituzionali delle pubbliche amministrazioni e consiste nella possibilità che l’ente possiede di farsi ragione da sé (naturalmente secondo diritto) per le vie amministrative (e salvo ogni sindacato giurisdizionale).

 La normativa

I riferimenti costituzionali di tale potestà sono da ricercarsi nei principi di buon andamento e imparzialità, contenuti negli articoli 97 e 98 della Costituzione, cui la Pa deve sempre uniformarsi.

In campo tributario, la normativa attualmente in vigore è quella dettata dall’articolo 2-quater del Dl 564/1994 e, per l’attuazione, completata dal Dm 37/1997, il quale, all’articolo 2, con un’elencazione non esaustiva, specifica alcune “ipotesi di annullamento d’ufficio o di rinuncia all’imposizione”, che, se sussistono, l’ufficio può procedere, naturalmente quando l’atto è illegittimo, all’annullamento o alla rinuncia (anche solo parziale) all’imposizione, senza necessità di istanza di parte e anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità.

 Con la circolare 198/1998, il ministero delle Finanze ha individuato una serie di circostanze che gli uffici devono tenere in considerazione nell’espletamento dell’attività di annullamento o revoca in autotutela di atti illegittimi.

La circolare afferma, espressamente, che un’attenta correzione degli errori eventualmente riscontrati rappresenta non solo un modo per evitare pericolose deviazioni nell’applicazione delle leggi e il conseguente deterioramento del rapporto di fiducia fisco-contribuente, ma anche l’occasione per diminuire i costi derivanti dal contenzioso.

L’esercizio del potere di annullamento in via di autotutela trova un limite insuperabile solo nell’esistenza di una sentenza passata in giudicato, che abbia pronunziato sul merito del rapporto tributario cui inerisce l’atto che si vorrebbe annullare. Il legislatore non ha previsto altri limiti oggettivi all’autotutela.

 La differenza tra diritto amministrativo e diritto tributario

Tanto premesso, è anche bene evidenziare che, nel diritto amministrativo, ai fini dell’esercizio dell’autotutela, l’Amministrazione deve tenere conto dei confliggenti interessi privati e dello stesso interesse pubblico, specifico e diverso da quello del mero ripristino della legalità violata, con obbligo di ponderazione anche dell’eventuale consolidamento di posizioni soggettive conseguenti all’atto illegittimo.

L’autotutela tributaria, però, presenta una connotazione specifica, diversa da quella amministrativa.

In campo amministrativo, infatti, vi è un bilanciamento di interessi, diverso da quello tributario.

L’interesse pubblico, nel caso dell’autotutela tributaria, riguarda il ristabilimento di una giusta imposizione. In campo tributario, quindi, l’interesse all’autotutela coincide e si compenetra con l’interesse alla legalità dell’azione amministrativa.

 Autotutela sostitutiva e integrativa

In tema di autotutela sostitutiva, la Corte di cassazione, confermando sue precedenti pronunce (cfr nn. 2531/2000 e 4534/2002), ha riconosciuto, con sentenza 11114/2003, la possibilità di ricorrere all’autotutela sostitutiva attraverso la rinnovazione ex nunc dell’atto viziato.

In ogni caso, occorre avere ben presente la differenza tra autotutela sostitutiva e accertamento integrativo (ex articolo 43, comma 3, Dpr 600/1973), che può essere emesso solo in presenza di sopravvenute conoscenze.

Il consolidato orientamento della Cassazione (cfr sentenze nn. 8854/2003 e 4534/2002) in tema di esercizio del potere di autotutela da parte del Fisco ha, infatti, chiaramente delineato i presupposti di ammissibilità della cosiddetta autotutela sostitutiva, consistente nel ritiro di un atto impositivo e nella emanazione di un nuovo atto di identico contenuto, ma corretto dai suoi vizi formali.

Il criterio in base al quale è ritenuto possibile procedere alla nuova emanazione è, dunque, quello indicato quale principio di perennità della potestà amministrativa.

 Nell’ipotesi di integrazione o modificazione si esercita, invece, un ulteriore potere accertativo, che, in quanto tale, richiede necessariamente la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.

Per la Corte suprema, il presupposto della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, per l’esercizio del potere di integrare o di modificare in aumento l’avviso di accertamento già notificato, non è richiesto invece per l’autoannullamento di un precedente avviso di rettifica e la sostituzione dello stesso con uno nuovo, contenente lo stesso dispositivo ma una diversa motivazione, atteso che, in tal caso, non ricorre esercizio del predetto potere integrativo o modificativo, ma sostituzione di un precedente provvedimento illegittimo con un nuovo provvedimento conforme a diritto.

 Questi principi sono stati recentemente ribaditi anche dalla Cassazione, con la sentenza 22019/2014. La Corte evidenzia che, in tema di accertamento, nell’ambito del potere di autotutela amministrativa tributaria, il ritiro di un precedente atto può avvenire in due diverse forme, quella del “contro-atto”, cioè l’atto di secondo grado che assume l’identica struttura di quello precedente, salvo che per il suo dispositivo di segno contrario, con cui si dispone l’annullamento, la revoca o l’abrogazione del primo, o quella della “riforma”, cioè l’atto di secondo grado che non nega il contenuto di quello precedente, ma lo sostituisce con un contenuto diverso.

Entrambi sono caratterizzati dal fatto che l’oggetto del rapporto giuridico controverso resta identico, il che li distingue dall’accertamento cosiddetto integrativo, che è, invece, emesso sulla scorta della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.

 La sentenza della Ctr

In linea con i descritti principi, la Commissione tributaria regionale della Toscana, con la recente sentenza n. 1/17/15 dell’8 gennaio scorso, tra le altre cose, ha affermato che “l’avviso di accertamento che ha sostituito quello che, emesso in precedenza, conteneva un errore materiale ed evidente non costituisce espressione di quel potere, pur riconosciuto all’Ufficio dall’art. 43 comma IV del D.P.R. 600/73, di emissione di un nuovo avviso, di integrazione o modificazione in aumento di un atto precedente, ma semplicemente del potere di autotutela, riconosciuto alla P.A., attraverso il cui esercizio è consentito di rendere l’attività amministrativa maggiormente consona alle esigenze del caso concreto, senza modificare i termini del contraddittorio e dei rapporti col cittadino”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA