Riordino province: quando il rispetto della Costituzione diventa oggetto di trattativa politica

Il dibattito in corso in Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica per la conversione in legge del d.l. 188/2012 sul riordino delle Province è emblematico.
Intendiamo soffermarci su quanto emerso finora dalla discussione in Parlamento e dai ripetuti interventi del Ministro Patroni Griffi.
Esaurita la fase preliminare di controllo dei requisiti prescritti dalla Costituzione e dalla legislazione vigente per l’emanazione dei decreti-legge, nella discussione del disegno di legge di conversione è stata proposta la questione pregiudiziale – ai sensi dell’articolo 93 del Regolamento del Senato – con riferimento a vari possibili profili di costituzionalità.
La questione è stata posta con ampie e fondate argomentazioni così sintetizzabili.
1) Il decreto-legge, che prosegue l’iter di riordino delle Province delle Regioni a statuto ordinario, avviato con l’articolo 23 del decreto-legge n. 201 del 2011 e incrementato con gli articoli 17 e 18 del decreto n. 95 del 2012, che hanno indicato i requisiti minimi demografici e territoriali per l’istituzione delle città metropolitane, all’art. 1 stabilisce che le Province devono possedere requisiti minimi determinati con legge dello Stato o con deliberazione del Consiglio dei ministri, già fissati dallo stesso Consiglio dei Ministri nella riunione del 20 luglio 2012, ponendosi in contrasto con l’articolo 114 della Costituzione;
2) L’articolo 2, combinato con l’articolo 17 del decreto-legge n. 95, appare in contrasto con l’articolo 133 della Costituzione, a norma del quale il mutamento delle circoscrizioni provinciali presuppone l’iniziativa dei comuni interessati. In proposito, è stato ricordato che il Governo ha tentato di rimuovere il vincolo prevedendo che il riordino delle attuali province fosse proposto e approvato dai Consigli delle autonomie locali. Tuttavia non vi è stata alcuna iniziativa dei comuni e non si può ritenere che il parere del consiglio delle autonomie locali sia equiparabile all’attivazione dei comuni.
3) Si tratta di disposizioni attuative del decreto-legge n. 95, che quindi si configurano come ordinamentali e perciò carenti sotto il profilo della necessità e dell’urgenza.
4) Si pone una questione di gerarchia delle fonti, tenuto conto che i requisiti di estensione demografica e territoriale sono stati definiti da una delibera del Consiglio dei ministri: vi è il rischio di un contenzioso giurisdizionale, anche costituzionale.
5) Occorre considerare il vincolo dell’articolo 114 della Costituzione: trattandosi di enti costitutivi della Repubblica, non è pacifico che la legge ordinaria possa incidere così profondamente nell’ordinamento delle province né si può ignorare l’esiguo tasso di partecipazione democratica alle decisioni relative al loro riordino.
6) L’articolo 7, comma 1, del decreto-legge, nel combinato disposto con l’articolo 23 del decreto-legge n. 201 e con l’articolo 17 del decreto-legge n. 95 vìola gli articoli 5 e 114 della Costituzione, in quanto la prevista riduzione della governance e la sottrazione al corpo elettorale dell’investitura diretta degli organi della provincia, pur essendo in linea di principio riconducibile a materie di competenza esclusiva dello Stato (legislazione elettorale e organi di governo), incide direttamente sulla rappresentatività democratica dell’ente provincia con delegittimazione dei suoi organi e svilimento della natura stessa dell’ente, elemento costitutivo della Repubblica e istituzione esponenziale di una comunità territoriale.
7) Il decreto-legge incide sull’elettorato passivo. Infatti, la decadenza degli organi provinciali – disposta con provvedimento d’urgenza – contraddice le disposizioni costituzionali che garantiscono i diritti elettorali. Il problema si pone non solo per i consiglieri provinciali, ma soprattutto per i componenti delle giunte che, essendosi dimessi dalla carica di consiglieri in considerazione delle incompatibilità previste dalla legge, si trovano a perdere immediatamente sia la prerogativa di assessori sia quella di consiglieri.
8) Sono stati ricordati quindi i numerosi ricorsi promossi dalle regioni al fine di sostenere l’incostituzionalità dell’articolo 23 del decreto-legge n. 201 e notato che non sussistono le condizioni di urgenza e necessità previste dall’articolo 77 della Costituzione, poiché l’iter di riordino si concluderà il 31 dicembre 2013 e poiché nella relazione che accompagna il decreto il Governo non ha indicato alcun risparmio di spesa realizzabile con il provvedimento.
A fronte di tali argomentazioni, peraltro da tempo supportati da svariati pareri di illustri costituzionalisti, anziché affrontare nel merito le questioni poste da numerosi Senatori, si è semplicemente preso atto delle dichiarazioni del Ministro Patroni Griffi.
Il Ministro ha ricordato che:
a) il Governo, al suo insediamento, ha preso in considerazione le iniziative legislative pendenti nei due rami del Parlamento in materia di riordino o soppressione delle province e di Carta delle autonomie;
b) Con l’articolo 23 del decreto-legge n. 201 del 2011 sono state introdotte disposizioni relative agli organi delle province, alle modalità per la loro futura elezione e alle funzioni degli enti.
c) Successivamente con il decreto-legge n. 95 del 2012 è stato recepito l’esito, largamente condiviso dai due rami del Parlamento, del dibattito svolto sull’ordinamento degli enti locali e si è definito un percorso sulla base dei criteri della quantità di popolazione e dell’estensione del territorio.
d) Inoltre, è stata confermata la decisione di configurare le province come enti di secondo grado e di attribuire loro funzioni fondamentali, ma solo a decorrere dall’entrata in vigore dell’effettivo riordino.
Il Ministro ha quindi precisato che il Governo dà una lettura dell’articolo 133 della Costituzione nel senso che l’iniziativa dei comuni è necessaria per modifiche specifiche delle circoscrizioni provinciali, per cui occorre l’iniziativa dei comuni coinvolti. Un’interpretazione più estensiva, a suo avviso, non sarebbe coerente con la ratio di quella disposizione, in quanto implicherebbe in ipotesi l’attivazione di tutti i comuni del territorio nazionale.
Quindi ha precisato che il decreto-legge in esame contiene disposizioni sostanzialmente attuative degli articoli 17 e 18 del decreto-legge n. 95 del 2012, già convertito in legge.
Ha confermato la massima disponibilità del Governo a risolvere alcuni aspetti critici, nella salvaguardia dei princìpi fissati con i provvedimenti già adottati e compatibilmente con i termini per la conversione in legge.
Il Governo – ha concluso il Ministro – annette un significato prioritario al provvedimento in esame, sia per le modifiche ordinamentali sia per i risparmi di spesa che potrà determinare attraverso il riordino degli uffici periferici dello Stato e le economie di scala connesse all’accorpamento delle province, nonché per l’istituzione effettiva delle città metropolitane. Precisa che la disponibilità del Governo riguarda anche i temi più critici, come la decadenza degli organi in carica e l’individuazione dei capoluoghi. Tuttavia il Parlamento, nella sua vocazione naturale alla sintesi istituzionale, potrebbe cogliere l’occasione per rendere tangibile la capacità di individuare soluzioni equilibrate e coerenti, risolvendo le inevitabili resistenze che si determinano a livello locale.
Il Ministro ha infine sottolineato che dal Governo c’è una “ovvia disponibilità al confronto con il Parlamento e a eventuali modifiche fatto salvo l’impianto del decreto” mentre è “più difficile poter tener conto di tutte le richieste a livello locale che stravolgerebbero l’impianto”.
Rispetto ai cambiamenti sulla fase transitoria il Ministro dice che potrebbe esserci “uno spostamento di data” o novità sul “soggetto che gestisce il cambiamento”. La fase transitoria, ha ammesso il ministro, “è complessa e potrebbe richiedere tempi diversi o diversi soggetti che gestiscono il cambiamento”.
Appare evidente che dalle dichiarazioni del Ministro non si rinvengono elementi tali da fugare tutti i dubbi di legittimità costituzionale. Anzi, per molti versi, alcune affermazioni appaiono discutibili e imprecise.
Malgrado questo, i numerosi parlamentari componenti della Commissione hanno ritirato la questione pregiudiziale, per cui l’iter del procedimento di conversione prosegue con la presentazione degli emendamenti la cui scadenza è stata fissata per lunedì 3 dicembre.
Intanto in attesa della presentazione degli emendamenti, la Conferenza delle regioni ha espresso parere negativo sul decreto.
In sede di Conferenza unificata del 25 luglio 2012, la Conferenza delle regioni aveva già espresso, in merito al disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 “spending review”, parere negativo con contestuale consegna di un documento di osservazioni critiche e proposte emendative.
Vanno ricordati i ricorsi alla Corte Costituzionale con impugnazione dell’art. 23 del decreto “salva Italia” proposti dalle Regioni Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Molise, Piemonte, Veneto e Sardegna e dell’art. 17 del d.l. 95/2012 proposti dalle Regioni Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Molise, Piemonte, Sardegna e Veneto.
Le Regioni hanno quindi espresso parere negativo sul disegno di legge, “dal momento che lo stesso aggrava l’incertezza del quadro normativo di riferimento, determinata dai precedenti provvedimenti intervenuti in materia, e non individua gli strumenti necessari a garantire la tenuta del sistema istituzionale in esito alla proceduta di riordino, causando pertanto gravi ricadute sui territori”.
Si tratta di ”un riordino segnato da incertezze, confusione e rischi di ingovernabilità dei processi, per esempio per quanto riguarda la gestione dei dipendenti, le competenze e le risorse”.
I tagli, secondo i presidenti delle Regioni, causeranno così tanti problemi alle Province “che anche quelle che rimarranno si troveranno in condizioni difficilissime, tali da non riuscire a gestire le competenze.
Sul provvedimento le Regioni hanno rilevato le criticità determinate dal continuo utilizzo della decretazione d’urgenza tanto con riferimento ai profili di legittimità costituzionale della stessa quanto con riferimento a quelli connessi agli aspetti di merito. In particolare l’evidente mancanza del requisito della straordinarietà per i presupposti di necessità e urgenza induce le Regioni a non condividere le modalità di intervento del Governo nelle forme e nei contenuti.
Deve altresì essere segnalato che permangono dubbi sulla coerenza, razionalità e ragionevolezza del provvedimento nella parte in cui, nelle medesime norme, da una parte dispone che, alla procedura di riordino, si applicano i requisiti previsti dalla Deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012 e dall’altra vengono fatte salve situazioni particolari.
L’intervento di un nuovo ed ulteriore decreto legge sulla materia rende assai complessa la definizione del quadro normativo attualmente vigente con riferimento alla determinazione delle funzioni della “nuova” provincia.
Si sottolinea la deminutio del ruolo del legislatore regionale al quale risultano sottratte le possibilità discrezionali di scelta su quali debbano essere le funzioni amministrative effettivamente svolte dalle province nonché la mancata armonia degli ultimi interventi (d.l. 201/11; d.l.  95/2012 e d.l. 188/2012) con il disposto degli articoli 114 e 118 della Costituzione.
Il susseguirsi di provvedimenti (art. 23 comma 14 e 18 del d.l. 201/2011, art. 17 comma 6 e comma 10 del d.l. 95/2012, art. 4 d.l. 188/2012) incidenti sulla medesima materia in maniera non organica genera una complessiva confusione all’interno del quadro normativo di riferimento.
L’Unione delle province d’Italia ha espresso parere negativo con un articolato documento di osservazioni ai contenuti del decreto legge e alcune proposte di  emendamenti al testo su organi e funzioni delle province.
Se dalle aule parlamentari e dalle sedi istituzionali ufficiali di confronto fra le Istituzioni della Repubblica si passa ai moderni strumenti di informazione, il quadro dei rapporti istituzionali appare ancora più chiaro e certamente molto meno conforme ai principi di leale collaborazione tra gli organi costituzionali della Repubblica.
Un breve esame delle ripetute dichiarazioni apparse su twitter dalla fonte ufficiale del Ministero della pubblica amministrazione, proprio mentre era in corso la seduta della Conferenza unificata rende ancor meglio l’idea.

Fonte: La Gazzetta degli Enti locali

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