L’ultimo effetto della riforma mancata

Fonte: Il Sole 24 Ore

La confusa vicenda della Tares è figlia di questi tempi difficili. Il piano su cui il Governo sta lavorando comprende due misure. La prima prevede un rinvio a dicembre delle nuove regole di calcolo della Tares “componente rifiuti” e del conseguente inasprimento rispetto alla Tarsu. Il secondo intervento riguarda la “componente servizi indivisibili”, cioè la maggiorazione che i comuni dovrebbero imporre per finanziare spese quali l’illuminazione o la manutenzione stradale.
Questa componente, che vale un miliardo e nei bilanci dei Comuni è stata già compensata da un uguale taglio dei trasferimenti, verrebbe trasformata in un tributo versato direttamente allo Stato con, auspicabilmente, ripristino dei trasferimenti cancellati. Nulla cambierebbe per i contribuenti se non le etichette dei tributi. Ma sono etichette che qualcosa valgono in termini di disegno complessivo del nostro sistema tributario.
La Tares “componente servizi indivisibili” nasce, sul finire del governo Berlusconi, come un escamotage per tassare l’abitazione principale, superando il divieto sancito dalla delega sul federalismo fiscale. Arrivato come un tornado il Dl Salva-Italia del 2011, che ha potenziato l’Imu e riportato a tassazione l’abitazione principale, della Tares “componente servizi indivisibili” non ci sarebbe più stata necessità. E tuttavia nessuna cancellazione è intervenuta nel 2012, probabilmente perché, in questi tempi di affanno per le finanze pubbliche, una volta introdotto un tributo è sempre meglio conservarlo nella cassetta degli attrezzi. Ora si arriva non all’abolizione di questo prelievo, ma alla sua assegnazione allo Stato. Se ci si sforza di riconoscere in tutto ciò un qualche filo rosso, si potrebbe dire che si sta assistendo a un, seppur parziale, “movimento inverso” rispetto a quanto realizzato nella stagione del federalismo, che si concretizzava in un’operazione di sostituzione dei trasferimenti statali ai Comuni con nuove imposte locali. Con l’Imu potenziata dal governo Monti questa tendenza ha trovato la sua sublimazione: la scelta di politica fiscale nazionale, legittima e appropriata, di incrementare i gettiti spostando il prelievo sui patrimoni immobiliari è stata realizzata usando quanto già disponibile attraverso la creazione di una riserva statale nell’Imu comunale. Adesso, sulla spinta delle proteste dei sindaci, si inverte la rotta. Ha iniziato la legge di stabilità 2013 ricentralizzando la componente statale dell’Imu che adesso, delimitata agli immobili industriali, è più riconoscibile come prelievo statale. Ora anche la Tares “componente servizi indivisibili” ritorna allo Stato. E tuttavia, nella sua veste statale, questa componente della Tares sembra ancor più difficile da difendere. Ora che diventerebbe parte della fiscalità generale, quale giustificazione potrebbe avere un prelievo basato sulla superficie dell’immobile occupato? Se lo stato dei conti pubblici non ci consente di rinunciare alla Tares “servizi indivisibili”, proprio non ci sono tributi alternativi, più coerenti con un disegno di fiscalità ordinata, che consentano di recuperarlo?

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