Decreto liberalizzazioni – La relazione illustrativa

DISEGNO DI  LEGGE PER LA CONVERSIONE IN LEGGE DEL DECRETO-LEGGE      GENNAIO  2012,   N. 1,  RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI PER LA CONCORRENZA, LO SVILUPPO DELLE INFRASTRUTTURE E LA COMPETITIVITA’.

RELAZIONE

L’accelerazione dei fenomeni economici impone ai governi occidentali decisioni rapide e immediate. Non solo per adeguare i tempi di reazione alla velocità imposta dai mercati; ma soprattutto per difendere le tutele sociali ed il potere d’acquisto dei cittadini  Le previsioni economiche a medio termine sono ancora condizionate da elementi di incertezza e criticità. Il rallentamento della crescita assume dimensioni generalmente più accentuate nei Paesi occidentali, rispetto alle economie emergenti di Cina e India, Brasile e Russia. Le prospettive sono tuttavia ancor più preoccupanti per il nostro sistema economico, caratterizzato da tassi di crescita ben inferiori a quelli dei principali partner commerciali.
A ciò si aggiungono mali antichi che portano istituzioni internazionali (OCSE, World Bank e FMI) a valutare l’Italia come un Paese in cui l’iniziativa economica privata è fortemente scoraggiata a causa dell’atteggiamento dell’amministrazione, non ultima quella fiscale; i processi decisionali pubblici per l’avvio di nuove imprese e le autorizzazioni delle grandi opere sono farraginosi; la giustizia civile, imbrigliata dalla lentezza dei processi, ostacola il corretto funzionamento dei mercati. Infine, in vaste aree del Paese problemi di ordine pubblico costituiscono di per sé un ostacolo a volte insuperabile allo sviluppo d’iniziative imprenditoriali lecite. 
Il governo italiano si è finora impegnato a garantire la sostenibilità della finanza pubblica. L’evoluzione della crisi ha infatti colpito i debiti sovrani, e per prima cosa era necessario e opportuno mettere in sicurezza le fondamenta dello Stato; assicurare i servizi essenziali; difendere i risparmiatori. In questo scenario, il risanamento della finanza pubblica è divenuto un’emergenza non più rinviabile. Negli ultimi tre anni gli sforzi sempre più incisivi di Governo e Parlamento si sono concentrati su questo obiettivo. L’acuirsi della tensione sui titoli del debito ha imposto l’accelerazione dei programmi di consolidamento della riduzione strutturale della spesa pubblica, realizzata da ultimo con il dl 6 dicembre 2011, n. 201.
Finora il governo ha agito sul “numeratore” della crisi: i conti pubblici. Oggi è il momento di intervenire sul “denominatore”: la crescita.
La crescita non si costruisce in laboratorio. La garantiscono, la assicurano, la realizzano i cittadini e le imprese.
I vincoli di finanza pubblica, ulteriormente irrigiditi anche in virtù delle più recenti decisioni assunte in sede comunitaria per garantire la stabilità dell’euro, rendono non praticabili politiche fiscali espansive a sostegno della domanda interna. La situazione impone pertanto strategie alternative basate su interventi incisivi. Con l’obbiettivo di favorire incentivi per l’iniziativa economica privata, creare condizioni più favorevoli per l’investimento interno ed estero, promuovere l’innovazione e più elevati livelli di efficienza in genere, come del resto più volte segnalato negli anni scorsi dalla Banca d’Italia e dall’Antitrust.
E’ in questa strettoia che si muove il governo. Il Bilancio pubblico non può più favorire la crescita. La Moneta unica ha reso impossibili le svalutazioni competitive  che hanno anestetizzato la mancanza di riforme strutturali. Non resta, quindi, che liberare le risorse e la capacità di intraprendere propria delle imprese italiane, intervenendo proprio sugli ostacoli che hanno finora rallentato le potenzialità di crescita.
E’ necessaria, quindi, una politica economica adattata ai tempi. Che abbandoni progressivamente la logica del sussidio alle imprese, come anche l’idea di poter utilizzare l’amministrazione pubblica come ammortizzatore sociale; o, peggio ancora, che venga interpretata esclusivamente come un bancomat a disposizione del sistema, a prescindere dalla qualità della spesa.
Appare sempre più urgente promuovere le condizioni per una ripresa basata essenzialmente sullo sviluppo di autonome attività d’impresa: la liberalizzazione dell’economia rappresenta dunque una via ineludibile per il Paese, se vuole uscire dalla crisi rinsaldando le fondamenta  della propria economia.
Questa possibilità, tuttavia, si scontra con alcuni ostacoli che caratterizzano storicamente il nostro sistema sociale ed economico e che si sostanziano in una regolazione protezionistica o comunque di ostacolo allo sviluppo di autonome iniziative imprenditoriali.
Essenziale diviene una complessiva e generalizzata opera di revisione del quadro normativo e regolamentare che, ai diversi livelli di governo e di competenza  e senza distinzioni tra categorie, interessi e settori economici, elimini le molte e ingiustificate situazioni di barriere all’accesso e le rendite di posizione ancora esistenti. Con l’obiettivo di ampliare le opportunità di lavoro e le prospettive di mobilità e di promozione sociale. Affinché un simile processo di riforma possa conseguire concreti effetti è necessario che sia sostenuto dal più diffuso consenso sociale che si alimenta solo se le misure proposte hanno carattere generale e non discriminatorio: l’azione di apertura dei mercati deve procedere in tutte le direzioni.
In Italia, i settori che producono servizi al riparo dalla concorrenza internazionale sono, sostanzialmente, tutti i settori diversi dal manifatturiero (commercio, trasporti, credito e assicurazioni, costruzioni, elettricità, gas, acqua, hotel e ristoranti, professioni) e rappresentano più del 50 per cento del valore aggiunto complessivo. In questi settori il grado di concorrenza, sulla base di confronti tra paesi OCSE, è relativamente basso. Vi sono, infatti, barriere all’entrata, regolamentazioni sui prezzi e/o limitazioni alle forme d’impresa che garantiscono alle imprese già presenti sul mercato un potere che permette loro di applicare margini di profitto molto elevati rispetto ai costi. Secondo i dati OCSE, per l’Italia il margine di profitto medio nei settori dei servizi sarebbe pari al 61 per cento, contro il 35 per cento nel resto dell’area dell’euro e il 17 per cento nei settori che producono beni e servizi sottoposti alla concorrenza internazionale.
Obiettivo del presente decreto è quello di modificare questi rapporti, attraverso un intervento a largo spettro sui settori interessati. A partire proprio da quelli che coprono la metà del valore aggiunto nazionale. In particolare, si pongono le premesse normative per attivare una radicale riforma della regolazione delle attività economiche che elimini la necessità di preventivi atti di assenso all’avvio delle attività economiche e ridefinisca – semplificandolo – il quadro dei requisiti necessari per il loro svolgimento. Interventi che si inseriscono nel solco delle proposte di modifica Costituzionale dell’art. 41, già presentate in questa legislatura.
L’intervento dell’amministrazione è quindi concepito in forma di controllo ex-post, per valorizzare al massimo le iniziative imprenditoriali. Ed in questo quadro si inseriscono le norme che cancellano le richieste di certificati da parte della pubblica amministrazione.
Questa riforma punta ad eliminare ostacoli ingiustificati nelle norme e nelle prassi amministrative. E vedrà impegnati tutti i livelli di governo del Paese. Dal governo centrale alle Regioni, agli enti locali. Con un ruolo attivo del governo nei confronti delle Regioni inadempienti, come previsto dell’art.120 della Costituzione.
Il quadro economico internazionale, il livello del debito pubblico, la crescita al rallentatore non consentono più al Paese sacche di privilegi e rendite di posizione.
Il mercato deve riprendersi gli spazi per troppo tempo limitati a causa della sedimentazione di questi benefici, non più motivati. Per questo, il decreto contiene misure tese ad allargare il perimetro dei mercati e a stimolare il gioco della concorrenza. Con interventi sui i servizi professionali, i servizi notarili; la distribuzione farmaceutica e i farmaci generici; la distribuzione dei carburanti e della stampa; i mercati elettrici e del gas; i servizi bancari e assicurativi; i servizi e le infrastrutture di trasporto nei settori autostradale, ferroviario, aeroportuale,  portuale e nella mobilità urbana; i servizi pubblici locali, a esclusione del servizio idrico; attività turistiche su beni demaniali.
La crisi economica colpisce in modo particolare le categorie meno protette. I giovani, innanzitutto. Per questo, vengono introdotte misure per favorire l’accesso dei giovani alle attività economiche, salvaguardando la qualità della formazione, rimuovendo gli ostacoli per la costituzione di società a responsabilità limitata. Sono, inoltre, stabilite nuove forme di garanzie ulteriori per i consumatori: si rende più snella la procedura della azione collettiva di classe e si attiva una forma di controllo amministrativo sulle clausole vessatorie nei contratti di massa.
Si tratta di un primo intervento ad ampio raggio che è il frutto della convinzione di dover agire in tutte le direzione, ovunque sia possibile inserire stimoli competitivi. Dunque, è l’inizio di un lavoro, di una politica economica orientata alla crescita.
Il presente decreto si pone, dunque, nel solco degli interventi, in parte già delineati nella legislatura in corso e ampiamente condivisi in ambito Parlamentare, per allineare il nostro Paese alle best practices europee.

Analisi economiche e confronti con i Paesi Ue

Per quanto riguarda il rapporto tra le liberalizzazioni, lo sviluppo economico e l’ innovazione, evidenze empiriche e la stessa letteratura economica[1] hanno ampiamente confermato che una regolamentazione dell’attività d’impresa eccessiva e onerosa ostacola l’ingresso sul mercato di nuovi soggetti, scoraggia gli investimenti e incide negativamente sulla produttività, consentendo a imprese poco efficienti di sopravvivere. Alcuni studi hanno stimato che un miglioramento della qualità della regolamentazione, così come misurata dagli indicatori della Banca Mondiale, tale da far passare un paese dal quartile peggiore al quartile più virtuoso, aumenterebbe il tasso di crescita annuo del PIL di oltre due punti percentuali.
Nel confronto internazionale, l’incidenza dei costi amministrativi e burocratici per le imprese italiane è particolarmente elevata. Secondo le valutazioni della Banca Mondiale sull’estensione e la qualità della regolamentazione dell’attività produttiva l’Italia si colloca alla sessantacinquesima posizione su 181 paesi considerati, in notevole ritardo rispetto alle principali economie avanzate (World Bank, 2008), anche se la posizione risulta significamene migliorata nell’ultimo anno, grazie ad alcuni provvedimenti che hanno velocizzato i procedimenti per l’avvio dell’attività d’impresa.
[1] Banca d’Italia, Rapporto sulle tendenze del sistema produttivo italiano, 2008.
[2] Banca d’Italia, Macroeconomics effects of greater competition in the service sector: the case of Italy, by Lorenzo Forni, Andrea Gerali e Massimiliano Pisani, n.706, march 2009.
[3] Autorità garante della concorrenza e del mercato, Qualità della regolazione e performance economiche a livello regionale: il caso della distribuzione commerciale in Italia, 2007.
[4] Cfr. Audizione del Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, presso la IX Commissione della Camera dei deputati, Trasporti, Poste e Telecomunicazioni, nell’ambito dell’Indagine conoscitiva sul settore del trasporto ferroviario passeggeri e merci, 27 ottobre 2010.
[7] Fonte: elaborazione su dati tratti dal documento di lavoro della Commissione Europea che accompagna il “Report from the Commission to the Council and the European Parliament on Monitoring Development of the Rail market”, dicembre 2009.
[8] Fonte: elaborazione su dati tratti da “Energy and Transport in Figures”, a cura della Direzione Generale Energia e Trasporti della Commissione Europea, ed. 2009.
[9] Fonte: rapporto per la Commissione Europea dal titolo “Study on Regulatory Options on Further Market Opening in Rail Passenger Transport”, settembre 2010, annex vari.
[10] Fonte: documento di lavoro della Commissione Europea che accompagna il “Report from the Commission to the Council and the European Parliament on Monitoring Development of the Rail market”, dicembre 2009.
[11] Fonte: “Towards a common market for rail services: the next steps”, presentazione del direttore esecutivo della Community or European Railway and Infrastructure Companies (associazione di categoria degli operatori ferroviari europei), gennaio 2010.
[12] Au dizione del Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato presso la Commissione straordinaria per la verifica dell’andamento generale dei prezzi al consumo e per il controllo della trasparenza dei mercati, Senato della Repubblica, 23 febbraio 2011.
A livello internazionale, esempi indiscutibili della diretta connessione tra apertura dei mercati e sviluppo economico (inteso quest’ultimo in termini di aumento del PIL) ampliamento e diversificazione dell’offerta e promozione dell’innovazione, anche in settori diversi da quelli nei quali i processi di liberalizzazione si realizzano, sono rappresentati dalla deregulation del trasporto aereo iniziata negli anni Settanta del Novecento negli Stati Uniti, che si è poi estesa al resto del mondo, e dalla liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni, acceleratasi, nel contesto comunitario, con il Trattato di Maastricht del 1992. In entrambi i casi, la caduta dei vecchi monopoli legali, ormai non più giustificati da alcuna ragione economica, ha determinato l’espansione dei mercati, che a sua volta ha prodotto effetti benefici sullo sviluppo dei commerci e in genere su molti settori produttivi, che si sono potuti avvalere del potenziamento dell’offerta di trasporto e di telecomunicazioni, a prezzi accessibili. Tali mutamenti hanno indotto nel medio termine la nascita di nuove attività e di nuovi posti di lavoro. Lo Stato si è ritratto dalla gestione diretta di tali settori e si è riservato l’attività che meglio gli compete, cioè il controllo sul rispetto delle regole. I vantaggi di queste liberalizzazioni sono evidenti.
Non c’è ragione di ritenere che analogo potente stimolo allo sviluppo economico e all’innovazione, derivante dalla rimozione di ingiustificate protezioni, non possa riprodursi anche per altri settori della nostra economia, tutt’ora caratterizzati o da una regolazione protezionistica a favore dei soggetti già presenti sul mercato – come in genere nel  settore dei servizi privati, anche professionali – o dalla eccessiva e non giustificata presenza di imprese ancora sotto il controllo di soggetti pubblici, per di più in assenza di controlli adeguati, come accade nel rilevantissimo settore dei servizi pubblici locali.
Per quanto concerne la liberalizzazione dei servizi privati e pubblici e i conseguenti benefici effetti macroeconomici, si rappresenta che il settore dei servizi rappresenta circa il 70% del PIL e, per tale ragione, ha rilevanza strategica per il rilancio della crescita.
Secondo un report del Centro studi Confindustria, elaborato su dati della Banca d’Italia, le liberalizzazioni produrrebbero nell’arco di 20 anni un incremento stabile del PIL di circa l’1,4% per anno.

In uno studio pubblicato sui Working Papers della Banca d’Italia[2], si fornisce una valutazione quantitativa degli effetti macroeconomici di un ipotizzato incremento in Italia del grado di concorrenza nei settori dei servizi che non sono esposti alla concorrenza internazionale, utilizzando un modello di analisi che paragona l’economia italiana al resto dell’area dell’euro. La presenza di un elevato potere di mercato, riconducibile sostanzialmente a un assetto regolatorio protezionistico e inefficiente, costituisce una distorsione alla concorrenza, con conseguenze sulle variabili macroeconomiche ben note in letteratura e confermate dallo studio in questione: prezzi più elevati e livelli di produzione, consumo, investimento e occupazione più bassi rispetto a quelli conseguibili con mercati più concorrenziali. Sulla base delle simulazioni presentate nel lavoro, si ipotizza che un aumento del grado di concorrenza che porti il markup nel settore dei servizi in Italia al livello medio del resto dell’area – attuato gradualmente in un periodo di cinque anni – avrebbe effetti macroeconomici significativi. Nel lungo periodo il prodotto interno lordo potrebbe crescere in maniera rilevante, i salari reali ne beneficerebbero significativamente, si registrerebbe un forte aumento delle esportazioni (favorito dal calo dei prezzi italiani rispetto a quelli del resto dell’area) a fronte di un modesto incremento delle importazioni (dovuto all’aumento della domanda aggregata). Gli effetti sul benessere delle famiglie italiane sarebbero positivi e consistenti. Questi effetti benefici sarebbero rilevanti anche nel breve periodo.
Analogo significato hanno i risultati di uno studio empirico elaborato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato[3] orientato a verificare quali effetti economici ha avuto il processo di liberalizzazione della distribuzione commerciale innescato dal Dlgs. n. 114/98 che è stato diversamente interpretato dalle Regioni italiane, titolari di rilevanti competenze di regolazione in materia.
Lo studio divide le Regioni in tre categorie in relazione alla maggiore o minore presenza nella propria normativa in materia di vincoli e restrizioni all’attività d’impresa. In particolare, sono stati considerati indici sensibili per la rilevazione di regolazioni restrittive: i) vincoli quantitativi introdotti al fine di programmare, in maniera piuttosto rigida e in forme più o meno esplicite, lo sviluppo del settore e la presenza sul territorio dei punti vendita, attraverso contingentamenti, pianificazione dell’offerta e contenimento della stessa entro percentuali di incremento prefissate; ii) esigenze urbanistiche o di pianificazione territoriale poste in maniera vincolistica e strumentalmente addotte per contenere e programmare, in forme più nascoste rispetto all’esplicitazione di vincoli quantitativi, lo sviluppo della distribuzione commerciale; iii) disciplina delle vendite straordinarie (di liquidazione, di fine stagione, promozionali); iv) orari e giorni di apertura al pubblico dei punti vendita; v) termini e modalità procedurali eccessivamente e inutilmente onerosi che ostacolano la snellezza e la semplicità del procedimento autorizzatorio; vi) potere di sospensiva delle autorizzazioni all’apertura di esercizi di vicinato posto in capo ai Comuni per un massimo di due anni e fino alla redazione di un apposito piano per lo sviluppo commerciale, e previsione di un’azione sostitutiva da parte della Regione in caso di inerzia del Comune; vii) individuazione dei Comuni turistici e delle città d’arte ai fini della deroga dall’obbligo di chiusura (domenicale, festiva, infrasettimanale) degli esercizi commerciali; viii) snellezza e semplicità del quadro normativo, in quanto caratterizzato da una molteplicità di norme regionali (contenute in leggi, regolamenti, delibere, e quant’altro) che si susseguono a modifica di disposizioni precedenti rendendo, per gli operatori del settore, particolarmente oneroso l’orientamento e incerto il contesto normativo di riferimento; ix) possibilità di esercizio congiunto della vendita al dettaglio e all’ingrosso.
Sulla base di questi indici sono state catalogate le regioni in tre gruppi in relazione al diverso grado di apertura alla concorrenza della normativa incidente sulla distribuzione commerciale, caratterizzati rispettivamente da un livello di concorrenzialità alto, medio e basso.
Lo studio evidenzia che nelle Regioni dove si è prestata maggiore attenzione a disegnare un quadro di regole aperto, improntato ai principi della concorrenza, rispetto alle altre ove, invece, sono stati mantenuti o rafforzati i vincoli all’attività economica, si sono registrati innegabili effetti macroeconomici positivi: la pressione inflattiva si è dimostrata in genere assai più contenuta; si è constata una razionalizzazione delle strutture produttive che hanno conseguito economie di scala e dato luogo a ingenti investimenti fissi, aumentando così la qualità del business e dell’offerta; si sono registrati anche l’aumento dei redditi e delle retribuzioni unitarie, con la progressiva specializzazione della manodopera; si è, infine, accertato l’aumento della produttività del lavoro.
Secondo alcune stime, la liberalizzazione ha avuto effetti molto positivi anche nel settore delle parafarmacie. Sulla base di fonte Anifa-Federchimica, nel 2010 fatto 100 il prezzo medio dei farmaci di automedicazione venduti in farmacia, quello dei prodotti venduti in parafarmacia era pari a 94 e quello dei prodotti venduti presso la GDO pari a 79.
Il risparmio di spesa generato dagli sconti praticati dalle parafarmacie è stato pari a 22,5 milioni nel 2010 e a 73 milioni dalla loro introduzione alla fine dell’anno scorso.
Ciò dipende però dalla distribuzione delle vendite tra i canali, fortemente sbilanciata a favore delle farmacie (92% delle vendite). Ipotizzando una quota delle vendite fuori farmacia del 30% il risparmio annuo potrebbe variare, sulla base dei dati 2010, dai 38 ai 143 milioni (a seconda della distribuzione tra parafarmacie e GDO). Inoltre, il dato effettivo non comprende gli sconti delle farmacie attuati sulla scia di quelli praticati dalle parafarmacie. Ipotizzando uno sconto medio delle farmacie pari al 7% (fonte: Associazione Nazionale Parafarmacie Italiane), il risparmio annuo, data la distribuzione attuale delle vendite tra i canali, ammonterebbe a 182 milioni.
Sono stati poi stimati i possibili effetti positivi della liberalizzazione nelle ferrovie. Gli effetti benefici di una liberalizzazione controllata dei servizi ferroviari possono essere meglio apprezzati esaminando quanto avvenuto in altri paesi europei, sulla base di alcuni dati forniti dall’Autorità garante della concorrenza[4].
Esempi di paesi molto avanti nel processo di liberalizzazione sono costituiti da Germania e Svezia; all’opposto, più indietro è la Francia.
In Germania, l’infrastruttura e il servizio fornito da Deutsche Bahn sono verticalmente integrati. L’accesso al mercato è libero sia per il trasporto passeggeri, locale e a lunga percorrenza, che per le merci. Il trasporto locale è pressoché interamente organizzato tramite contratti di servizio pubblico caratterizzati da massicce sovvenzioni pubbliche, assegnati in misura minoritaria tramite procedure competitive. Qui i costi dei finanziamenti pubblici sono risultati minori nei contesti in cui si è svolta la gara. In Svezia, i concorrenti dell’incumbent possono partecipare alle gare per l’assegnazione del trasporto passeggeri locale, e possono offrire servizi di trasporto a lunga percorrenza notturno e nei fine settimana. La rete è separata dagli operatori. In Francia, l’accesso al mercato passeggeri è precluso agli operatori esteri, e la rete è collegata all’impresa ex monopolista.
Nel settore merci, in Italia il volume trasportato (in tonnellate/km) è aumentato del 10,8% tra il 2000 e il 2007. In Germania, esso è aumentato del 38,6%, nel Regno Unito del 45,7% e in Svezia del 19,4%. In Francia si registra un decremento, pari al 26,2%[7].
Il peso della modalità “ferrovia” sul totale dei trasporti terrestri di merci è cresciuto in Italia dal 10,5% all’11,1%, mentre in Germania è passato dal 18,6% al 21,3%, nel Regno Unito dal 9,3% al 12,7% e in Svezia è rimasto invariato al 36%. In Francia è diminuito dal 19,7% al 14,6%[8] .
Nei paesi esaminati, la quota di mercato dei nuovi operatori non è irrilevante: per quanto riguarda il trasporto passeggeri, essa è del 10,1% in Germania e del 100% nel Regno Unito (grazie al sistema di assegnazione delle tratte per gara). In Svezia esistono 12 concorrenti dell’operatore storico con una quota del 35%, in Francia il monopolista pubblico serve ancora l’intero mercato[9].
Per le merci, la quota dei concorrenti è del 22% in Germania, del 100% nel Regno Unito e del 26% in Svezia. In Francia tale quota ammonta al 10%[10].
È da notare anche come in Svezia e Germania i finanziamenti pubblici al sistema ferroviario, intesi come somma di investimenti nella rete più sussidi per le imprese incaricate del trasporto locale, siano ben inferiori alla media europea: in Svezia nel periodo 2002-2006 sono stati meno della metà del dato europeo (in termini di euro/km) e in Germania inferiori di quasi il 30%[11].
Infine, deve segnalarsi come un sicuro effetto delle liberalizzazioni in quasi tutti i settori merceologici sia costituito dal calmieramento dei prezzi e dal contenimento delle spinte inflattive.
In particolare si è mostrato[12] che, nei mercati nei quali in Italia i processi di liberalizzazione e privatizzazione hanno raggiunto un livello di maturità le spinte inflative sono state contenute. Lo stesso è accaduto anche nei mercati nei quali, nonostante la presenza di monopoli naturali (reti energetiche, rete fissa di telecomunicazioni), la regolazione economica posta in essere da autorità indipendenti è stata efficace.

In ogni caso, nella comparazione con altri importanti Paesi dell’area euro si è osservato che gli aumenti dei prezzi in Italia tendono a essere più consistenti, le riduzioni viceversa assai meno.
Ciò testimonia di una dinamica concorrenziale ancora frenata e che può e deve essere migliorata.
Nei mercati ancora rimasti in regime monopolistico, nei quali non operano efficaci sistemi di regolazione dei prezzi e caratterizzati da un quadro regolatorio particolarmente restrittivo, l’inflazione è stata indubbiamente maggiore: significativo, in questo senso, la costante crescita dei prezzi nei mercati dei servizi pubblici locali.
Analoghe criticità sono presenti nei mercati dei servizi professionali nei quali prevalgono forme di autoregolazione corporativa o comunque eccessivamente restrittiva.
In questo caso, vi sono evidenze che dimostrano la positiva correlazione tra rimozione dei vincoli normativi e contenimento della crescita dei prezzi.
Il documento dell’Antitrust evidenzia che gli onorari dei commercialisti, (tracciati per atto-tipo), sono risultati in flessione, nei loro ritmi di crescita, nel biennio 2009-2010. Questa circostanza è ricondotta dall’Autorità al fatto che l’Ordine dei commercialisti si sarebbe adeguato ai rilievi formulati dalla medesima in merito alla portata restrittiva di alcune norme del codice deontologico relative alle tariffe che ponevano ostacoli alla libera determinazione dei compensi. L’adeguamento è avvenuto nel 2008 e nel 2009 si sono constatati gli andamenti dei prezzi di questi servizi sempre meno accentuati fino ad allinearsi con il tasso medio d’inflazione.
Secondo l’Antitrust, diversa sarebbe la situazione degli avvocati.
In questo caso, facendo riferimento a dati che partono dal 2000, si registrano andamenti chiaramente connessi con la fissazione autoritativa delle tariffe e comunque ben al di sopra della media dell’inflazione, almeno fino all’abolizione delle tariffe minime avvenuta con DL n.223/2006. Da questo momento in poi, la libertà nella fissazione dei prezzi ha consentito un evidente rallentamento della dinamica di crescita
Il venir meno della tariffa minima obbligatoria, con la liberalizzazione dei prezzi avvenuta nel 2006, ha senza dubbio contribuito alla flessione degli aumenti degli onorari che si registra negli anni successivi.
In conclusione, non appare seriamente dubitabile che la politica di liberalizzazione e di apertura dei mercati, di tutti i mercati dei servizi privati e pubblici, sia possibile ed essenziale per promuovere la crescita del Paese. Non è un caso pertanto che l’Ocse nell’’Economic Survey sul nostro Paese dello scorso maggio abbia continuato a sottolineare tra le riforme più urgenti proprio la riduzione dei vincoli alla competizione.

TITOLO I “CONCORRENZA” CAPO I “NORME GENERALI SULLE LIBERALIZZAZIONI”.

L’articolo 1 (Liberalizzazione delle attività economiche e riduzione degli oneri amministrativi sulle imprese) è volto a conformare l’ordinamento ai principi di libertà individuale ed economica e di concorrenza sanciti dalla Costituzione e dal diritto dell’Unione Europea,  attraverso l’adeguamento delle normative statali, regionali e locali e prassi amministrative – talvolta obsolete, farraginose, stratificate e frammentate, che penalizzano le libertà individuali senza garantire adeguatamente l’interesse pubblico generale – alla scala di valori tutelati dalla Costituzione, nonché alle specifiche esigenze emerse in ambito economico e sociale e allo specifico contesto territoriale. In tal modo è possibile restituire maggiore “certezza” all’ordinamento giuridico secondo i valori costituzionali, ma anche creare un nuovo “senso istituzionale” ed una maggiore “legittimazione sociale” valorizzando sia il “principio di libertà” (che diviene la bussola del nuovo sistema) sia la “tutela della persona” sancita dalla Costituzione (che viene parallelamente potenziata, anziché ridotta).
La necessaria premessa è che la Repubblica assicura sia la piena attuazione dell’articolo 41 della Costituzione in materia di iniziativa economica privata, sia il pieno rispetto dei principi e delle norme sanciti dai Trattati istitutivi dell’Unione Europea, e già in linea con quanto proposto dal precedente Governo in tema di modifiche costituzionali.
Pertanto, l’iniziativa economica privata deve essere libera, in condizioni di completa parità fra tutti i soggetti economici presenti e futuri, e può ammettere solo i limiti, i programmi e i controlli necessari alla tutela della sicurezza, della libertà e della dignità umana (cittadini, lavoratori, consumatori), della salute, dell’ambiente e dell’utilità sociale, nel rispetto degli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica.
La naturale conseguenza è la prevista abrogazione, secondo la disciplina ed i termini previsti dalla norma, delle disposizioni dell’ordinamento italiano delineate dal comma 1, che prevedono limiti numerici, autorizzazioni, licenze, nulla osta o preventivi atti di assenso dell’amministrazione, comunque denominati per l’avvio di un’attività economica, non giustificati da un interesse generale, incompatibili o irragionevoli o non proporzionati rispetto alle esigenze di tutela dei valori costituzionali. Sono altresì abrogate le norme che pongono divieti e restrizioni alle attività economiche, non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche perseguite, nonché le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongono limiti, programmi  e controlli non ragionevoli, non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche.
Il comma 2, a propria volta, sancisce che le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all’accesso ed all’esercizio delle attività economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalità di interesse pubblico generale costituzionalmente rilevanti e compatibili con l’ordinamento comunitario.
Il comma 3 pertanto autorizza il Governo ad adottare, sulla base di una relazione preventivamente approvata dalle Camere, entro il 31 dicembre 2012 uno o più regolamenti di delegificazione finalizzati ad individuare le attività che necessitano di un preventivo atto di assenso e a disciplinare i requisiti per l’esercizio delle altre attività, nonché i termini e le modalità per l’esercizio dei poteri di controllo ex post da parte dell’amministrazione, secondo i criteri ed i principi direttivi individuati  dalla norma in esame e dall’articolo 34 del decreto legge “Salva Italia” n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011. Sugli schemi di regolamento va acquisito il parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, anche in merito al rispetto del principio di proporzionalità.
Il comma 4 pone l’obbligo di adeguamento delle Regioni, delle Provincie e dei Comuni ai principi sopra indicati entro il 31 dicembre 2012. Si prevede che la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nell’ambito dei compiti di cui al successivo articolo 4, comunichi entro il termine del 31 gennaio di ciascun anno, al Ministero dell’economia e delle finanze gli enti che hanno provveduto all’applicazione delle procedure previste dall’articolo
Il comma 5 infine esclude dall’ambito di applicazione della disciplina il trasporto di persone e cose su gomma, i servizi finanziari, i servizi di comunicazione e le attività specificamente sottoposte a regolazione e vigilanza di apposita autorità indipendente.

L’articolo 2 (Tribunale delle imprese) è finalizzato ad ampliare la competenza delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale di cui al decreto legislativo 26 giugno 2003, n. 168, al fine di istituire delle vere e proprie sezioni specializzate in materia di impresa, a cui affidare la trattazione di quelle controversie in cui – tenuto conto dell’elevato tasso tecnico della materia – è maggiormente sentita l’esigenza della specializzazione del giudice.
Al riguardo, si è ritenuto utile valorizzare la positiva esperienza delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale (quale giudice specializzato, di primo e di secondo grado, al quale sono attualmente devolute le controversie in materia di proprietà industriale e intellettuale), attribuendo ad esse anche la cognizione delle controversie in materia societaria, di quelle aventi ad oggetto contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria (c.d. contratti sopra soglia) e le azioni di classe disciplinate dall’art. 140-bis del codice del consumo.
Al fine di evitare interventi sulle piante organiche degli uffici giudiziari (derivanti dalla concentrazione di talune tipologie di cause presso alcuni uffici), si è ritenuto opportuno limitare la cognizione delle sezioni specializzate alle sole controversie relative alle società per azioni e alle società in accomandita per azioni, nonché alle altre società – anche se costituite in forma diversa – del gruppo di cui queste fanno parte.
Tra le competenze attribuite alle predette sezioni, elencate al comma 2, rientrano le cause fra soci e tra soci e società, quelle relative al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni ulteriore fattispecie negoziale inerente le partecipazioni, le impugnazioni delle delibere e delle decisioni degli organi sociali, quelle sui patti parasociali. Le sezioni sono competenti, inoltre, per le cause contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore, il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, per le controversie concernenti le azioni di responsabilità promosse dai creditori delle società controllate contro quelle che le controllano.
L’obiettivo della costituzione di un giudice specializzato in materia di impresa, attraverso la concentrazione delle cause presso un numero ridotto di uffici giudiziari (12 tribunali in luogo dei 164 esistenti), è quello di ridurre i tempi di definizione delle controversie in cui è parte una società di medio/grandi dimensioni, aumentando in tal modo la competitività di tali imprese sul mercato.
Alla costituzione di un giudice specializzato in materia di impresa si accompagna l’aumento del contributo unificato dovuto per le cause devolute alla cognizione di tale giudice. Il maggior gettito derivante da tale aumento verrà assegnato al fondo per la realizzazione di interventi urgenti in materia di giustizia, istituito dall’art. 37, comma 10, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
Le disposizioni relative alle sezioni specializzate in materia di imprese si applicano ai giudizi instaurati dopo 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge.

L’articolo 3 (Accesso dei giovani alla costituzione di società a responsabilità limitata) inserisce, dopo l’art. 2463 del codice civile l’art. 2463-bis, che disciplina la fattispecie di “società semplificata a responsabilità limitata”, che può essere costituita da persone che non abbiano compiuto i trentacinque anni di età. La società è sottoposta ad un regime altamente agevolato sia per quanto riguarda l’ammontare del capitale (previsto nel minimo di un euro) che le formalità di costituzione, meno onerose rispetto alla tipica società a responsabilità limitata.

La disposizione tende a favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro – allineando il requisito dell’età fino ai trentacinque anni in coerenza con l’art. 27 della manovra estiva (circa il regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile, contenuto nel decreto legge n. 98 del 6 luglio 2011) –  mediante la loro partecipazione a strutture associate prive dei rigorosi limiti previsti fino ad ora per le società di capitali, che di fatto impediscono l’accesso a tale tipo di struttura da parte degli imprenditori più giovani e meno abbienti.

L’articolo 4 (Norme a tutela e promozione della concorrenza nelle Regioni e negli enti locali) è anch’esso volto a rimuovere vincoli alle attività economiche. Il processo di riforma della regolazione deve essere, infatti, considerato compito primario di tutti i soggetti dotati di autonomia normativa sulla base della disciplina dettata dallo Stato in materia di tutela della concorrenza. Considerata la necessità di promuovere condizioni minime di uniformità della normativa nei vari mercati nazionali, allo scopo di sviluppare la crescita del Paese, è assegnato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il compito di sorvegliare il processo di adeguamento alla normativa dell’Unione europea, eventualmente anche attraverso i poteri governativi previsti dall’articolo 120 della Costituzione, per la tutela dell’unità giuridica ed economica dello Stato.
In particolare, è affidato alla Presidenza il compito di monitorare la normativa regionale e locale al fine di individuare disposizioni in contrasto con la tutela e la promozione della concorrenza. Tali compiti sono esercitati anche su segnalazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Sono attribuiti altresì i poteri di assegnare all’ente territoriale interessato un congruo termine entro il quale rimuovere i limiti alla concorrenza riscontrati e, in casi di inutile decorso dello stesso, di proporre al Consiglio dei Ministri l’esercizio del potere sostitutivo, previsto dall’articolo 120 della Costituzione, con le modalità indicate dall’articolo 8 della legge n. 131 del 2003.
Per lo svolgimento dei predetti compiti, la Presidenza deve avvalersi delle risorse umane, strumentali e finanziarie già disponibili a legislazione vigente.

CAPO II “TUTELA DEI CONSUMATORI”.

L’articolo 5 (Tutela amministrativa contro le clausole vessatorie) inserisce nel decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante il Codice del consumo, un articolo 37-bis che, posto dopo l’articolo 37 in tema di azione inibitoria concessa alle associazioni dei consumatori nei confronti dei professionisti che utilizzano condizioni generali di cui sia accertata l’abusività, offre un’ulteriore importante tutela amministrativa contro la vessatorietà delle clausole inserite nei contratti tra professionisti e consumatori.
Competente all’accertamento, d’ufficio o su denuncia dei consumatori interessati, in ordine alla vessatorietà delle clausole, è l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, previo accordo con le associazioni di categoria. Il provvedimento che accerta la vessatorietà è diffuso mediante pubblicazione su apposita sezione del sito internet istituzionale dell’Autorità, sul sito dell’operatore che adotta la clausola ritenuta vessatoria e mediante ogni altro mezzo ritenuto opportuno in relazione all’esigenza di informare compiutamente i consumatori.
E’ inoltre contemplata la facoltà per le imprese di interpello preventivo dell’autorità in merito alle vessatorietà delle clausole che intendono utilizzare nei propri rapporti commerciali con i consumatori.
Avverso i provvedimenti di accertamento della vessatorietà delle clausole adottati dall’Autorità è prevista la tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo, fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario sulla validità delle clausole vessatorie e sul risarcimento del danno.

L’articolo 6 (Norme per rendere efficace l’azione di classe) interviene sull’articolo 140-bis del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo a norma dell’articolo 7 della L. 29 luglio 2003, n. 229).
La modifica riguarda l’individuazione dell’ambito della tutela attuabile attraverso l’azione di classe. In luogo del requisito dell’identità del diritto viene previsto quello della omogeneità. Si tratta di una scelta armonica rispetto a quanto stabilito dal primo comma, ove la tutela è riferita ai diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti.
Per altro verso, si è inteso porre rimedio ad una previsione che, come del resto segnalato dalla dottrina più accorta, rischiava di risultare di difficile applicazione e, dunque, in definitiva, contraria alla stessa ratio legis. Ciò perché il requisito della identità del diritto, ad una interpretazione rigorosa, può rivelarsi, nei fatti, di ardua configurabilità: si pensi al caso del fallimento di una banca d’affari: ogni consumatore, avendo sottoscritto titoli in tempi diversi, investendo somme diverse, sarebbe titolare di una situazione soggettiva unica e irripetibile.
In questa prospettiva sono state apportate modifiche al comma 2, lettera a), sostituendo la parola “identica” con la parola “omogenea” e, coerentemente, alle successive lettere b) e c).

L’articolo 7 (Tutela delle microimprese da pratiche commerciali ingannevoli e aggressive) è finalizzato a rafforzare, nell’attuale fase di crisi economica, gli strumenti di tutela a favore delle imprese di minori dimensioni, estendendo le tutele previste dal Codice del Consumo in favore dei soli consumatori persone fisiche, anche alle microimprese (imprese con meno di 10 dipendenti e un fatturato annuo inferiore ai 2 milioni di euro), che rappresentano il tratto caratterizzante della struttura produttiva del Paese.
Trattasi di altra disposizione finalizzata ad una più diffusa tutela del consumatore, parificando di fatto la piccola impresa al consumatore singolo, già tutelato dalle disposizioni di cui al suddetto codice.

L’articolo 8 (Contenuto delle carte di servizio) integra in dettaglio il contenuto minimo delle c.d. “carte di servizio” di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, stabilendo che nelle stesse debbano essere indicati in modo specifico i diritti, anche di natura risarcitoria, che i consumatori e le imprese utenti possono esigere nei confronti dei gestori del servizio e dell’infrastruttura. Sono fatte salve eventuali ulteriori garanzie. Trattasi di disposizione che persegue finalità analoghe a quelle già prevista per la tutela dei consumatori.

CAPO III “SERVIZI PROFESSIONALI”

L’articolo 9 ((Disposizioni sulle professioni regolamentate) abroga le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico. Nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, è previsto che il compenso del professionista sia determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del ministro vigilante. E’ altresì previsto che con decreto del Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze siano anche stabiliti i parametri per oneri e contribuzioni alle casse professionali e agli archivi precedentemente basati sulle tariffe. Tali parametri non possono in ogni caso costituire base per la pattuizione del compenso tra professionista e cliente, pena la nullità della relativa clausola ai sensi dell’art. 36 del Codice del consumo.
Il compenso per le prestazioni professionali è pattuito per iscritto al momento del conferimento dell’incarico professionale. Il professionista deve rendere noto al cliente il grado di complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell’incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell’esercizio dell’attività professionale. In ogni caso la misura del compenso, previamente resa nota al cliente con preventivo scritto se questi lo richiede, deve essere adeguata all’importanza dell’opera e va pattuita in modo onnicomprensivo. L’inottemperanza costituisce illecito disciplinare del professionista.
L’articolo interviene poi sul tirocinio, stabilendo che la durata del tirocinio previsto per l’accesso alle professioni regolamentate non potrà essere superiore a diciotto mesi e per i primi sei mesi, e potrà essere svolto, in presenza di un’apposita convenzione quadro stipulata tra i consigli nazionali degli ordini e il ministro dell’istruzione, università e ricerca, in concomitanza col corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica. Analoghe convenzioni possono essere stipulate tra i Consigli nazionali degli ordini e il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione tecnologica, per lo svolgimento del tirocinio presso pubbliche amministrazioni, all’esito del corso di laurea.
Le disposizioni sul tirocinio non si applicano alle professioni sanitarie per le quali resta confermata la normativa vigente.

Articolo 10 (Estensione ai liberi professionisti della possibilità partecipare al patrimonio dei confidi). Come è noto, il comma 7 dell’articolo 39 del decreto-legge n.201/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214/2011, ha previsto che al capitale sociale dei confidi e delle banche che in base al loro statuto esercitano prevalentemente l’attività di garanzia collettiva dei fidi a favore dei soci possano partecipare, anche in deroga alle disposizioni di legge che prevedono divieti o limiti di partecipazione, imprese non finanziarie di grandi dimensioni ed enti pubblici e privati purché le medie e piccole imprese socie continuino a disporre della maggioranza assoluta dei voti esercitabili in assemblea e la nomina dei membri degli organi di gestione e di supervisione strategica sia riservata all’assemblea.
La disposizione richiamata, che è finalizzata ad aumentare il grado di patrimonializzazione dei soggetti che svolgono l’attività di garanzia collettiva dei fidi nei confronti delle piccole e medie imprese socie, è ora integrata con la previsione della possibilità anche per i liberi professionisti di poter partecipare al capitale sociale, con i medesimi limiti societari previsti per i predetti enti ed imprese.

Articolo 11 (Potenziamento del servizio di distribuzione farmaceutica, accesso alla titolarità delle farmacie e modifica alla disciplina della somministrazione dei farmaci). Il comma 1 dell’articolo fissa in 3000 abitanti il “quorum” di popolazione previsto per l’apertura di una farmacia (in luogo dei 5.000 e 4.000 abitanti attualmente previsti per l’apertura di una farmacia, rispettivamente in centri fino a 12.500 abitanti e in centri con un numero di abitanti superiore a tale entità), prevedendo, altresì, che è sufficiente un’ eccedenza di popolazione di 501 abitanti rispetto al parametro per giustificare l’apertura di un’ulteriore farmacia. Per evitare un eccessivo numero di farmacie nei piccoli centri è, però, precisato che nei comuni con meno di 9000 abitanti l’eccedenza di popolazione rispetto al parametro generale deve superare 1500 abitanti. In tali comuni, perciò, la seconda farmacia può essere istituita soltanto al raggiungimento dei 4501 abitanti e la terza al raggiungimento dei 7.501 abitanti.
Il comma 2 fissa precisi termini per l’approvazione delle nuove piante organiche delle farmacie, in conseguenza dell’applicazione del disposto del comma 1, e per l’indizione di concorsi straordinari per le sedi di nuova istituzione e le sedi vacanti, limitando la partecipazione agli stessi a farmacisti non titolari e a farmacisti titolari di farmacie rurali sussidiate (e quindi a basso fatturato). La norma precisa che l’adozione dei provvedimenti  regionali  costituisce adempimento soggetto alla verifica annuale da parte del comitato e del tavolo di cui agli articoli 9 e 12 dell’intesa sancita in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 23 marzo 2005, ai fini dell’accesso al finanziamento integrativo del Servizio sanitario nazionale. Per accelerare i tempi di definizione dei concorsi straordinari, il comma stabilisce che per le sedi farmaceutiche predette non può essere esercitato il diritto di prelazione da parte del comune.
Il comma 3 prevede la possibilità che le Regioni (in aggiunta al criterio della popolazione disciplinato dal comma 1) possano istituire nuove farmacie in luoghi che ricevono un alto flusso giornaliero di persone: aeroporti internazionali, stazioni ferroviarie e marittime, aree di servizio autostradale ad alta intensità di traffico, servite da servizi alberghieri o di ristorazione, purché non sia già aperta una farmacia a una distanza inferiore a 200 metri, centri commerciali e grandi strutture di vendita con superficie superiore a 10.000 metri quadrati purché non sia già aperta una farmacia a una distanza inferiore a 1.500 metri.
A compensazione della deroga al diritto di prelazione stabilita dal comma 2, è previsto dal comma 4 che, fino al 2022, le nuove farmacie appartenenti alle particolari tipologie disciplinate dal comma 3 siano tutte offerte in prelazione ai comuni in cui le stesse hanno sede.
Il comma 5 mira a consentire l’effettivo accesso dei giovani farmacisti alla gestione delle nuove sedi farmaceutiche. A tal fine pone una nuova regola destinata a valere per il concorso straordinario e per tutti i successivi concorsi, consentendo che i giovani laureati in farmacia in possesso dei necessari titoli e risultati idonei alle eventuali prove selettive possano accordarsi per concorrere per la gestione associata delle farmacie, sommando in tal modo i titoli posseduti da ciascuno al fine di conseguire l’assegnazione. In tal caso la farmacia dovrà peraltro essere gestita in modo associato su basi paritarie, e la quota di ciascuno non potrà essere ceduta (salvi i casi di premorienza e sopravvenuta incapacità), dovendo in caso contrario la sede essere messa nuovamente a concorso.
Il comma 6 pone una misura indispensabile al potenziamento del servizio farmaceutico a vantaggio dei consumatori, prevedendo che le farmacie possano svolgere la propria attività anche oltre gli orari ed i turni di apertura, e praticare sconti su tutti i farmaci pagati direttamente dai clienti.
Il comma 7 assicura, prevedendo l’esercizio da parte del Governo dei poteri sostitutivi di cui all’art. 120 della Costituzione della Repubblica italiana, l’espletamento degli adempimenti previsti per gli enti territoriali dal comma 2.
Il comma 8, modificando il termine previsto dall’articolo 9 dell’articolo 7 della legge n. 362/1991 (termine richiamato anche dal successivo comma 10 dello stesso articolo), riduce da due anni a sei mesi il tempo concesso agli eredi del farmacista titolare o socio di società titolare di farmacia per vendere, rispettivamente, la farmacia o la quota di partecipazione alla società. La norma ha lo scopo di abbreviare il periodo in cui una farmacia privata può appartenere a persone prive dei requisiti professionali, in deroga alla disciplina generale.
La disposizione del comma 9 è diretta a favorire la vendita di farmaci equivalenti. Viene infatti imposto ai medici l’obbligo di informare il paziente in ordine all’eventuale presenza in commercio di un farmaco equivalente se di minor prezzo, tranne nell’ipotesi in cui sussistano specifiche motivazioni cliniche contrarie.
Il comma 10 autorizza la vendita senza ricetta, presso gli esercizi commerciali di cui all’art. 5, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, di medicinali della c.d. fascia C, a conclusione della procedura della procedura amministrativa prevista dall’articolo 32 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Il comma 11 istituisce, presso l’Ente nazionale di previdenza e assistenza dei farmacisti (ENPAF), un fondo di solidarietà nazionale, finanziato dalle farmacie urbane, per l’assistenza farmaceutica nei comuni con meno di mille abitanti. Utilizzando le risorse del fondo, L’ENPAF provvede a corrispondere ai farmacisti titolari di farmacia nei centri abitati con meno di mille abitanti un’indennità che consente il raggiungimento di un reddito non inferiore al centocinquanta per cento del reddito netto conseguibile, in base al contratto collettivo nazionale, da un farmacista collaboratore di primo livello con due anni di servizio.
L’ultimo comma rinvia ad un decreto del Ministro della salute, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentita la Federazione degli ordini dei farmacisti italiani, la fissazione dei livelli di fatturato delle farmacie aperte al pubblico il cui superamento comporta, per i titolari, l’obbligo di avvalersi, ai fini del mantenimento della convenzione con il Servizio sanitario nazionale, di uno o più farmacisti collaboratori.

Articolo 12 (Incremento del numero dei notai e concorrenza nei distretti). Per le stesse ragioni di potenziamento del servizio agli utenti e ampliamento degli spazi concreti di lavoro, deve essere aumentata la pianta organica dei notai. A tale scopo, è innanzitutto aumentata di cinquecento posti la tabella notarile che determina il numero e la residenza dei notai, di cui all’articolo 4, comma 2, della legge 16 febbraio 1913, n. 89, come revisionata da ultimo con i decreti del Ministro della giustizia in data 23 dicembre 2009 e 10 novembre 2011. Sono previsti successivamente concorsi da ultimare per la copertura di oltre 1500 nuovi posti. Entro il 31 dicembre 2014 deve essere bandito il concorso per la copertura degli ultimi 500 posti.
All’esito della copertura dei suddetti  posti, la tabella notarile che determina il numero e la residenza dei notai, udite le Corti d’appello e i Consigli notarili, viene rivista ogni tre anni.
Nei successivi commi, l’articolo è finalizzato ad attuare i principi di cui all’articolo 3 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, mediante l’estensione dell’esercizio della funzione notarile oltre il territorio del distretto in cui è ubicata la sede e precisamente all’intero ambito territoriale della corte d’appello nella quale tale distretto è ubicato.
Poiché è necessaria la presenza diffusa del notaio in tutto il territorio, la proposta aumenta anche il numero di giorni di assistenza obbligatoria del notaio nella sua sede e prevede la facoltà di aprire uffici secondari nel distretto notarile di appartenenza. Ciò per contemperare l’attuazione dei principi sopra richiamati con l’esigenza di garantire il buon andamento della funzione pubblica notarile mediante il diretto e immediato contatto tra il notaio e l’utenza nello studio che egli è obbligato a tenere aperto nella sede assegnata.
Inoltre, poiché secondo le norme vigenti il potere di promuovere il procedimento disciplinare spetta al procuratore della Repubblica del Tribunale nel cui circondario ha sede il notaio ed al presidente del consiglio notarile del distretto in cui è ubicata la sua sede, sempre al fine di garantire il buon andamento della funzione, la potestà di promuovere l’azione disciplinare viene estesa anche al procuratore della Repubblica ed al consiglio notarile del distretto competenti per territorio con riferimento al luogo in cui la mancanza disciplinare è stata commessa, se tale luogo non ricade nel distretto nel quale ha sede il notaio, ma in altro distretto nel quale egli potrà recarsi a ricevere atti per effetto dell’estensione della sua competenza territoriale a tutto il territorio della corte d’appello.

CAPO IV  “DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ENERGIA”

Articolo 13 (Misure per la riduzione del prezzo del gas naturale per i clienti vulnerabili). L’Autorità per l’energia elettrica e il gas determina trimestralmente l’offerta economica di riferimento che le imprese di vendita sono obbligate a fornire ai clienti c.d. vulnerabili che non abbiano ancora scelto il mercato libero.
Tale indicizzazione segue un paniere di greggi che in buona parte riproduce i sistemi di indicizzazione presenti nei contratti Take or Pay di Eni e degli altri importatori, e che a loro volta vengono utilizzati nelle cessioni di gas alle imprese di vendita al dettaglio.
Di fatto tale meccanismo stacca attualmente il prezzo del gas in Italia dal mercato europeo, dove i prezzi spot stanno scendendo per il calo della domanda e per la sempre maggiore presenza di contratti di più breve termine e di forniture di GNL. Inoltre nel sistema di indicizzazione non viene considerato che circa il 10% della produzione nazionale di gas non è soggetto a tali variazioni di prezzo di acquisto all’estero.
La modifica di tale sistema, con un ingresso graduale dei prezzi di riferimento dei mercati europei nell’indicizzazione contribuirebbe a ridurre il prezzo del gas nel 2012, spingendo gli importatori e i grossisti a rinegoziare  i contratti di approvvigionamento .
La gradualità della misura consente di contemperare l’esigenza di allineamento dei prezzi italiani a quelli europei, con la necessità per gli importatori di disporre di un periodo sufficiente per rinegoziare i sistemi di indicizzazione dei prezzi nei loro contratti di approvvigionamento pluriennale dall’estero. L’Autorità  ha già emanato il 22 dicembre scorso un documento di consultazione che prefigura un sistema simile, per cui le indicazioni presenti nella norma non risultano confliggere con le competenze del regolatore.

Articolo 14 (Misure per ridurre i costi di approvvigionamento di gas naturale per le imprese). Oggi lo stoccaggio di modulazione (circa 10 miliardi di metri cubi annui, che vengono iniettati nel sottosuolo d’estate, quando le importazioni superano la domanda e rierogato d’inverno, durante i maggiori consumi del mercato civile) è di fatto accessibile ai soli venditori di gas al mercato civile. Tale volume è sovrabbondante per le esigenze di tale mercato e viene utilizzato dalle imprese per modulare anche le forniture ad altri tipi di clienti (prevalentemente industriali).
Dato che le capacità di stoccaggio stanno aumentando, grazie ai potenziamenti degli stoccaggi esistenti e ai nuovi stoccaggi promossi da soggetti non verticalmente integrati, una parte dello stoccaggio strategico (5,1 miliardi di metri cubi che vengono tenuti permanentemente stoccati per esigenze di sicurezza) può essere ridestinata allo stoccaggio per il settore industriale, che potrebbe utilizzarlo per approvvigionarsi di gas a prezzi bassi sul mercato spot (ad esempio mediante carichi spot di GNL) e poi utilizzarlo nel corso dell’anno.
Anche se i volumi non sono rilevanti rispetto al totale del consumo industriale, questo originerebbe una tensione verso il basso dei prezzi su tale segmento di mercato. In un primo momento, secondo una stima preliminare, circa  il 10% dello stoccaggio strategico potrebbe essere riconvertito a tale uso senza alterare le caratteristiche di sicurezza del sistema gas italiano.
Per tale azione occorrono alcune misure amministrative di competenza del Ministero dello sviluppo economico, già introdotte con il decreto legislativo n.93 del 2011, e la previsione normativa di tale nuovo tipo di servizio, che sarà poi attuato mediante provvedimenti dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas.

Articolo 15 (Disposizioni in materia di separazione proprietaria). La separazione proprietaria della gestione di una infrastruttura dai soggetti verticalmente integrati è il metodo ottimale per attuare un effettivo mercato concorrenziale del gas naturale tramite la garanzia di uno sviluppo ottimizzato della rete e di un suo accesso in condizioni non discriminatorie da parte degli operatori. Tale soluzione è già stata positivamente sperimentata in Italia con l’analoga operazione Terna/Enel per il settore elettrico.
Nel decreto legislativo n. 93/11 di recepimento della Direttiva europea 2009/73/CE, dei tre modelli comunitari possibili di separazione della rete del gas, ovvero separazione proprietaria (Ownership Unbundling – OU) dell’operatore di trasporto dall’impresa verticalmente integrata, separazione gestionale (Indipendent System Operator – ISO) con le attività di gestione della rete in capo al gestore ma con il controllo finanziario degli “asset” in capo al proprietario della rete, e istituzione di un operatore indipendente (Indipendent Transmission Operator – ITO) ove viene creato un operatore indipendente del trasporto di gas sotto il controllo azionario dell’impresa verticalmente integrata (se pur con l’introduzione di regole atte a garantirne l’indipendenza e la correttezza dell’operato e sotto il controllo del’Autorità di regolazione) è stato adottato il modello ITO in quanto:
– il modello ISO, adottato in precedenza nel settore elettrico, si è rivelato complesso per la gestione operativa e non ha garantito i necessari sviluppi di rete e di conseguenza degli impianti di generazione;
– il modello OU presentava il problema dell’esiguo margine temporale a disposizione (3 marzo 2012) per attuarlo, dovendo cedere una significativa quota azionaria relativa a una rete di trasporto di grandi dimensioni.
Tuttavia, oggi sono notevolmente mutate le condizioni del mercato del gas naturale, anche a causa della crisi finanziaria in atto. Risultano assolutamente necessari una maggiore concorrenza e uno sviluppo infrastrutturale, anche con proiezione sulle infrastrutture di approvvigionamento dall’estero, in modo che i clienti finali possano beneficiare in pieno degli effetti della maggiore attuale disponibilità di gas da importare, con contratti a prezzi più vantaggiosi. Queste potenzialità non possono attuarsi in pieno senza uno sviluppo ottimale della concorrenza e delle infrastrutture (ad esempio rigassificatori e gasdotti di importazione dall’estero) che a loro volta sono collegati al parallelo sviluppo della rete di trasporto del gas. Nel merito anche l’Autorità per l’energia elettrica e il gas ha più volte sottolineato (da ultimo con la segnalazione al Parlamento e al Governo PAS 27/10 del 22 novembre 2010) la necessità che si operi una separazione proprietaria di Snam Rete Gas.
La separazione proprietaria presenta vantaggi di tipo industriale: Snam Rete Gas potrebbe partecipare alla acquisizione di quote di gestori di rete gas europei (se fosse stata già attivata avrebbe potuto acquisire le quote ENI nelle società TRANSITGAS in Svizzera, acquisita da un altro operatore europeo e TAG in Austria, acquisite da CDP), e inoltre gestire in modo coordinato con altri gestori di rete le capacità di transito transeuropee sulle rotte di approvvigionamento verso l’Italia, contribuendo attivamente a realizzare il progetto di un hub italiano per la connessione delle risorse di gas naturale del Nord Africa e dell’area del Caspio, attraverso i progetti già promossi dall’Italia con accordi governativi, con il mercato italiano ed europeo, con vantaggi in termini di sicurezza degli approvvigionamenti e, nel medio termine, di prezzi competitivi di fornitura.
La scelta della separazione proprietaria è stata già definita con la legge n. 290/03, che aveva disposto che “nessuna società operante nel settore della produzione, importazione, distribuzione e vendita dell’energia elettrica e del gas naturale, anche attraverso società controllate o controllanti (…) possa detenere, direttamente o indirettamente, a decorrere dal 1° luglio 2007, quote superiori al 20 per cento del capitale delle società che sono proprietarie e che gestiscono reti nazionali di trasporto di energia elettrica e di gas naturale.”
Tale termine è stato spostato al 31 dicembre 2008 con la legge n. 266/05 (finanziaria 2006) e successivamente, con la legge n. 296/06 (finanziaria 2007), a 24 mesi dall’emanazione di uno specifico DPCM, tuttora non emanato.
Nell’ottica quindi di promuovere la separazione proprietaria di Snam Rete Gas da ENI Spa è sufficiente stabilire con norma un termine per l’emanazione del citato DPCM, ciò a cui provvede l’articolo.

Articolo 16 (Sviluppo di risorse energetiche e minerarie nazionali strategiche). La questione è stata recentemente oggetto di specifico ordine del giorno al Senato (A.S.3066 “Il Senato, in sede di discussione del disegno di legge A.S. 3066 di conversione in legge del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici  premesso che: l’articolo  42 comma 8 prevede importanti misure volte a estendere al settore delle infrastrutture ferroviarie e portuali l’applicazione della norma in materia di finanza di progetto già prevista nella legge di stabilità per il 2012; trattasi pertanto di rilevante disposizione volta a rilanciare l’economia del paese mediante previsioni finalizzate a favorire interventi infrastrutturali nell’ambito dei quali  vanno ricompresi le iniziative dirette allo sviluppo di progetti infrastrutturali e occupazionali di crescita dei territori di insediamento degli impianti produttivi, in quanto idonei a colmare il gap del nostro paese rispetto alle esigenze comunitarie;  infatti lo sviluppo di risorse nazionali di petrolio e gas naturale, strategico per l’approvvigionamento energetico del Paese, può consentire nell’immediato di realizzare investimenti di sviluppo, garantendo una produzione aggiuntiva di idrocarburi nei prossimi 20 anni. Attraverso ulteriori ricerche sono altamente probabili altre scoperte dello stesso ordine di grandezza. Impegna il Governo ad adottare ogni più adeguato intervento applicativo al fine di favorire gli investimenti di sviluppo delle risorse energetiche strategiche nazionali di idrocarburi, le quali garantiscono maggiori entrate per l’erario, prevedendo altresì termini e modalità di destinazione di una quota da destinare allo sviluppo di progetti infrastrutturali e occupazionali di crescita dei territori di insediamento degli impianti produttivi.”)
Lo sviluppo di risorse nazionali di petrolio e gas naturale, strategiche per l’approvvigionamento energetico del Paese, può consentire nell’immediato di realizzare investimenti di sviluppo. Tale sviluppo risulta rallentato o impedito dalle difficoltà derivanti dall’insediamento degli impianti di estrazione di idrocarburi, spesso in competizione con altre attività di sfruttamento del territorio, generalmente di minore valore economico ma fortemente radicate e che generano occupazione. Come risulta dalle conclusioni di un apposito tavolo tecnico Stato-Regione, garantendo ai residenti dei territori  significativi investimenti infrastrutturali (superiori a 8 miliardi di euro, 6 dei quali in Basilicata), attraverso una quota delle maggiori entrate derivanti dalle nuove produzioni di idrocarburi, si assicurano nuove entrate e si crea crescita e  nuova occupazione sul territorio.
Il comma 2 riguarda lo sviluppo e la promozione delle attività subacquee. Le aziende italiane che si dedicano ai lavori subacquei sono più di 1.500, con un fatturato di oltre 700 milioni di euro per il solo settore degli idrocarburi in acque nazionali e all’estero. Il rinvio esplicito alla norma UNI 11366 “Sicurezza e tutela della salute nelle attività subacquee e iperbariche professionali al servizio dell’industria” fornirà un puntuale riferimento alla gestione delle attività subacquee e la possibilità di concorrere sul mercato internazionale con proprie norme e regole.

Articolo 17 (Liberalizzazione della distribuzione dei carburanti). Allo scopo di contenere i continui aumenti dei prezzi dei carburanti per autotrazione e di ridurre il c.d. stacco (la differenza media di prezzo alla pompa) che caratterizza negativamente il nostro Paese rispetto agli altri Paesi europei, occorre irrobustire l’industria distributiva dei carburanti e renderla progressivamente sempre più autonoma dalle compagnie petrolifere che, in particolare nel nostro Paese, sono integrate in tutta la filiera industriale: dalla ricerca degli idrocarburi, alla produzione, alla raffinazione, all’importazione fino alla distribuzione agli utenti finali. Solo in questo modo, sarà possibile promuovere la nascita di operatori di mercato in grado di moderare efficacemente la forza delle major petrolifere verticalmente integrate.
La norma proposta, al fine di definire un sistema distributivo più concorrenziale, prevede che i gestori degli impianti di distribuzione dei carburanti che siano anche titolari della relativa autorizzazione petrolifera possono liberamente rifornirsi da qualsiasi produttore o rivenditore nel rispetto della vigente normativa nazionale ed europea. A decorrere dal 30 giugno 2012 eventuali clausole contrattuali che prevedano per gli stessi gestori titolari forme di esclusiva nell’approvvigionamento sono nulle, per la parte eccedente il 50 per cento della fornitura complessivamente pattuita e comunque per la parte eccedente il 50 per cento di quanto erogato nel precedente anno dal singolo punto vendita. Nel rispetto delle normative nazionali e comunitarie, sono inoltre consentite le aggregazioni di gestori di impianti di distribuzione di carburante al fine di sviluppare la capacità di acquisto all’ingrosso di carburanti, di servizi di stoccaggio e di trasporto dei medesimi.
Nella medesima ottica, vengono poi modificati i commi da 12 a 14 dell’art. 28 (razionalizzazione della rete distributiva dei carburanti) del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, al duplice fine di prevedere: a) che in aggiunta agli attuali contratti di comodato e fornitura ovvero somministrazione possano essere adottate dalle parti, alla scadenza dei contratti esistenti, differenti tipologie contrattuali per l’affidamento e l’approvvigionamento degli impianti di distribuzione carburanti; b) che in ogni momento i titolari e i gestori degli impianti, da soli o in società o cooperative, possano accordarsi per l’effettuazione del riscatto degli impianti da parte del gestore stesso, stabilendo un indennizzo che tenga conto degli investimenti fatti, degli ammortamenti in relazione agli eventuali canoni già pagati, dell’avviamento e degli andamenti del fatturato, secondo criteri stabiliti con decreto del Ministero dello sviluppo economico. L’eventuale comportamento posto in essere dal titolare dell’impianto allo scopo di ostacolare, impedire o limitare, di fatto o tramite previsioni contrattuali, le facoltà attribuite al gestore integrano la fattispecie di abuso di dipendenza economica.
Il comma 4 modifica altri commi del richiamato articolo 28 del decreto-legge n. 98 del 2011. In particolare:
a) il comma 8, al fine di incrementare la concorrenzialità nel settore degli impianti di distribuzione dei carburanti, prevede un ampliamento delle attività già consentite negli impianti stessi, introducendo l’esercizio della vendita dei tabacchi e di ogni bene e servizio;
b) il comma 10 prevede che le attività di cui al comma 8 di nuova realizzazione, anche se installate su impianti esistenti, siano esercitate dai soggetti titolari della licenza di esercizio dell’impianto di distribuzione dei carburanti, salvo rinuncia del titolare medesimo, che può consentire a terzi lo svolgimento delle suddette attività.  Sono comunque fatti salvi i vincoli connessi con procedure competitive in aree autostradali in concessione espletate al 30 giugno 2012 i vincoli connessi a procedure competitive nelle aree autostradali in concessione.
E’ poi previsto, mediante modifica all’articolo 83-bis, comma 17,  del decreto legge  25 giugno 2008, n.112, convertito con legge 6 agosto 2008, n.133, che l’installazione e l’esercizio di  un  impianto  di  distribuzione  di carburanti non possono essere subordinati al rispetto  di  vincoli che prevedano obbligatoriamente la presenza contestuale di più tipologie di carburanti, ivi incluso il metano per autotrazione, se tale ultimo obbligo comporta ostacoli tecnici o oneri economici eccessivi e non proporzionali alle finalità dell’obbligo.
L’ultimo comma affida all’Autorità per l’energia elettrica ed il gas il compito di adottare misure affinché nei Codici di rete e di distribuzione di cui al decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 siano previste modalità per accelerare i tempi di allacciamento dei nuovi impianti di distribuzione di metano per uso autotrazione alla rete di trasporto o di distribuzione di gas, per ridurre gli stessi oneri di allacciamento, in particolare per le aree dove tali impianti siano presenti in misura limitata, nonché per la riduzione delle penali per i superi di capacità impegnata previste per gli stessi impianti.

L’articolo 18 (Liberalizzazione degli impianti completamente automatizzati fuori dei centri abitati) aggiunge un periodo al comma 7 dell’articolo 28 del decreto legge 2011, n. 98, convertito, con modificazioni dalla legge 111/2011, che vieta di porre  vincoli o limitazioni all’utilizzo continuativo, anche durante l’orario di apertura, delle apparecchiature di rifornimento senza servizio con pagamento anticipato, presenti presso gli impianti stradali di distribuzione carburanti posti al di fuori dei centri abitati.

Articolo 19 (Miglioramento delle informazioni al consumatore sui prezzi dei carburanti). Nell’intento di migliorare l’informazione fornita al consumatore finale sui prezzi dei carburanti, la norma stabilisce che il Ministero dello sviluppo economico definisca una nuova metodologia di calcolo del prezzo medio comunicato settimanalmente al Ministero stesso per l’inoltro alla Commissione europea. Questa nuova metodologia si baserà sul prezzo al pubblico praticato per ciascuna categoria di carburante per l’autotrazione in modalità di rifornimento senza servizio.
Al fine di migliorare l’informazione al consumatore sui prezzi del carburante e per favorire una scelta concorrenziale del prodotto il secondo comma prevede che il Ministero dello sviluppo economico definisca le modalità di indicazione dei prezzi dei carburanti.
Per facilitare e migliorare l’informazione da parte del consumatore, si prevede che con provvedimento ministeriale si adottino misure attuative al fine di assicurare concretamente la trasparenza nella pubblicizzazione visiva del prezzo praticato: la cartellonistica stradale dovrà essere ben visibile e riportare i prezzi in modalità non servito in un ordine prefissato; i prezzi in modalità con servizio e i prezzi dei carburanti speciali dovranno essere riportati su cartelloni separati che evidenzino la differenza in aumento del prezzo rispetto alla modalità self service eventualmente presente. Sempre nell’intento di informare con maggiore trasparenza, nei cartelloni presenti nei punti vendita dovranno essere evidenziate con maggior rilievo le prime due cifre decimali del prezzo.

L’articolo 20 (Fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti), mediante modifiche al comma 1 dell’articolo 28 del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, rimuove il limite, attualmente previsto per la destinazione del fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti, all’erogazione di contributi sia per la chiusura di impianti di soggetti titolari di non più di dieci impianti, comunque non integrati verticalmente nel settore della raffinazione, sia per i costi ambientali di ripristino dei luoghi a seguito di chiusura di impianti di distribuzione. E’ inoltre previsto che tale specifica destinazione sia ammessa per un periodo non eccedente i tre (anziché due) esercizi annuali successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto medesimo (7 luglio 2014).
Conseguentemente, il comma 2 modificato prevede che con decreto del Ministro dello sviluppo economico, da emanare entro il 30 giugno 2012, sia determinata l’entità dei contributi di cui al comma 1, nonché della nuova contribuzione al fondo, per un periodo non superiore a tre anni, articolandola in una componente fissa per ciascuna tipologia di impianto e in una variabile in funzione dei litri erogati, tenendo altresì conto della densità territoriale degli impianti all’interno del medesimo bacino di utenza.

L’articolo 21 (Disposizioni per accrescere la sicurezza, l’efficienza e la concorrenza nel mercato dell’energia elettrica) conferisce al Ministro per lo sviluppo economico, sentita l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, il compito di definire un atto di indirizzo per una revisione complessiva della disciplina di riferimento per il mercato elettrico. La norma è finalizzata a contrastare la tendenza alla crescita dei prezzi per l’energia elettrica, riscontrata negli ultimi tempi per effetto sia  di vincoli infrastrutturali, sia dell’andamento delle materie prime sia degli oneri indiretti dovuti alla crescita della produzione da energie rinnovabili. Per esigenze di economicità e sicurezza del sistema, si rende necessaria una norma che consenta di adeguare la disciplina di settore, direttamente dispositiva ove si tratti di materie di competenza governativa, di indirizzo ove si tratti invece di materie di competenza dell’Autorità di  regolazione, in ogni caso coordinando le azioni per aggiornare la disciplina ai cambiamenti in corso ed intervenire per dare maggiore efficienza al settore, anche con riferimento ai mercati connessi.
La revisione della disciplina complessiva consente di aggiornare al nuovo contesto la riforma delle regole di mercato introdotta dalla legge 2/2009 e, per molti aspetti, già attuata nei due anni successivi.
Sempre al fine di contrastare la tendenza alla crescita dei costi per la gestione della sicurezza del sistema, sono anticipati i tempi di attuazione di quanto previsto nel decreto legislativo n.28/2011, nella parte in cui attribuisce all’Autorità per l’energia elettrica e il gas il compito di effettuare, entro il 30 giugno 2013, un’analisi quantitativa degli oneri derivanti dal dispacciamento della produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile non programmabile. Il termine viene anticipato al 28 febbraio 2012, a seguito del quale la medesima Autorità potrà adottare rapidamente, entro i  successivi sessanta giorni,  gli interventi più utili a dare flessibilità e sicurezza al sistema, riducendo i costi per gli oneri di sistema e per le aree territoriali che presentino una più elevata concentrazione di impianti non programmabili, ossia eolico e fotovoltaico.
Si prevede inoltre di attribuire agli emanandi decreti che definiranno il nuovo regime di incentivazione per l’elettricità da fonti rinnovabili l’anticipazione della data – prevista in attuazione del decreto legislativo 28/2011 tramite il cosiddetto Quarto Conto Energia – a partire dalla quale gli inverter utilizzati in impianti fotovoltaici sono chiamati a prestare specifici servizi di rete, contribuendo a dare flessibilità operativa al sistema e ancora una volta con effetto di riduzione dei costi di gestione della sicurezza.

L’articolo 22 (Disposizioni per accrescere la trasparenza sui mercati dell’energia elettrica e del gas) prevede, in relazione a quanto prospettato dall’AGCM nella segnalazione relativa a “Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2012 “, che il Sistema Informatico integrato istituito presso l’Acquirente unico, oltre a contenere i dati identificativi dei clienti finali, contenga anche dati relativi alla misura dell’energia elettrica ed il gas al fine di correggere l’asimmetria informativa oggi esistente tra i distributori e le società di vendita. Il distributore di energia elettrica e gas è il fulcro dei rapporti contrattuali che assicurano l’esecuzione della fornitura di energia elettrica e gas ai clienti finali ed ha, quindi, la responsabilità di gestire i cambi di fornitore, le nuove attivazioni e le cessazioni. Inoltre, in quanto responsabile del servizio di misura, svolge una funzione essenziale ai fini di un corretto rapporto tra venditore e cliente finale, nonché ai fini dell’individuazione degli eventuali sbilanciamenti in prelievo che abbiano richiesto interventi correttivi da parte del gestore della rete di trasporto. La norma proposta intende quindi, attraverso l’integrazione di un sistema informatico già esistente, rendere più efficiente lo scambio di informazioni essenziali fra il soggetto distributore e le società di vendita, migliorando in tal modo la concorrenza nei relativi mercati e  il servizio reso all’utente finale. Infine, l’implementazione concreta della norma è affidata all’Autorità per l’energia elettrica ed il gas che già oggi, ai sensi dell’articolo 35, comma 3, lettera b) del decreto legislativo n.  93/11, deve assicurare che le società di distribuzione rendano disponibili i dati di consumo dei clienti alle società di vendita garantendo qualità e tempestività delle informazioni fornite.
Il comma 2 estende espressamente anche alla fattispecie della mancata osservanza degli obblighi informativi in capo agli operatori la disciplina sanzionatoria introdotta con il citato decreto legislativo 93/2011.

Articolo 23 (Semplificazione delle procedure per l’approvazione del piano di sviluppo della rete di trasmissione nazionale). La rete di trasmissione nazionale è sottoposta ad un costante processo di sviluppo ed aggiornamento, in relazione ai cambiamenti in corso nel settore energetico e segnatamente elettrico.
Il soggetto concessionario (Terna SpA) è in condizioni di assicurare un flusso costante di investimenti infrastrutturali, finanziati direttamente da una componente delle tariffe elettriche senza contributi diretti a carico dell’erario.
Una migliore infrastrutturazione di rete, inoltre, garantisce efficienze di funzionamento del settore elettrico, riduzione dei costi, allineamento dei  prezzi registrati nelle diverse zone di mercato (come dimostra il caso della Sardegna), miglioramento dell’interscambio con l’estero.
Si può accelerare la procedura di approvazione del Piano  agendo sulla procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), in modo peraltro conforme a quanto previsto dal Codice dell’ambiente.
Oggi la procedura VAS è svolta dal Ministero dell’Ambiente ogni anno: il Piano di Terna è deliberato e trasmesso al Ministero dello sviluppo economico a gennaio, lo  svolgimento della VAS impiega un tempo variabile da 6 a 8 mesi e si arriva a conclusione più o meno alla fine dell’anno. Ad esempio, il parere VAS sul piano 2011 è stato prodotto a fine dicembre 2011; con i vari passaggi mancanti, si arriverà ad approvazione a primavera 2012.
Il meccanismo si reitera già a partire dal mese di gennaio dell’anno successivo, su un Piano sostanzialmente molto simile a quello dell’anno precedente. La continua reiterazione della procedura VAS rallenta la realizzazione del Piano, senza che ci siano seri motivi di carattere ambientale, tenuto anche conto che ciascuna opera rilevante prevista dal Piano deve poi essere sottoposta a VIA.
La proposta di cui all’articolo è di conservare la previsione di realizzazione da parte di Terna di un Piano annuale di sviluppo, come previsto anche dalle direttive UE e dal decreto legislativo 93/2011, che individui gli investimenti programmati e da realizzare nel triennio successivo; prevedere la realizzazione della VAS sul Piano nel primo anno di ciascun triennio, in modo da valutare l’effetto ambientale cumulato e dare le prescrizioni necessarie; nei due anni successivi – in cui il Piano dovrebbe rappresentare  più che altro uno stato di avanzamento di quanto programmato e già approvato l’anno precedente – prevedere l’applicazione della procedura di “verifica di assoggettabilità” di cui all’articolo 12 del Codice dell’ambiente, da concludersi entro 90 giorni. In tal modo, il Ministero dell’ambiente potrebbe verificare solo eventuali effetti significativi sull’ambiente eventualmente non considerati nell’esame dell’anno precedente.
La semplificazione, da applicare a partire dal Piano 2012, farebbe guadagnare circa sei mesi all’anno sui tempi di avvio delle attività e delle specifiche procedure autorizzative relative ai singoli progetti.

Articolo 24 (Accelerazione delle attività di disattivazione e smantellamento dei siti nucleari). La sistemazione sicura ed efficiente dei rifiuti nucleari richiede un’efficace attività di decommissioning delle strutture esistenti e la contestuale realizzazione del deposito nazionale, all’interno del Parco Tecnologico, come previsto dalle norme recenti.
Si tratta di attivare investimenti pubblici notevoli, con l’attuazione di procedure di gara che coinvolgono molte imprese qualificate e il relativo indotto, i cui vantaggi si aggiungono ai benefici energetico-ambientali sopra ricordati. La copertura non è onerosa per il bilancio statale, dal momento che gli investimenti sono finanziati con una componente della tariffa elettrica.
La SOGIN, società pubblica incaricata di tali attività, ha stimato il valore delle sole attività di smantellamento per il periodo 2011-2021 in 1,5 miliardi circa di opere, con una media di circa 120 milioni l’anno. Il deposito nazionale e il Parco valgono circa altri 2 miliardi, con l’attivazione peraltro di occupazione qualificata stabile (e non solo di cantiere).
Servono la valutazione rapida e l’autorizzazione dei progetti di decommissioning, oltre che la contestuale realizzazione del Deposito nazionale secondo le specifiche procedure di legge. Oggi vi sono progetti di decommissioning datati 2001 e non ancora approvati, con costi che gravano su tutti e con rallentamento delle attività realizzative.
L’articolo prevede: una specifica procedura per accelerare la valutazione e la possibile  autorizzazione dei progetti di disattivazione presentati da almeno dodici mesi; si tratta di cinque progetti, per tre dei quali è già disponibile la Valutazione d’impatto ambientale (Trino, Garigliano e Latina); un’analoga semplificazione per il rilascio delle autorizzazioni ad eseguire specifici interventi che si dovessero rendere urgenti, in attesa dell’autorizzazione del complessivo progetto di disattivazione, per motivi di sicurezza ovvero per dare più efficienza al processo e ridurre i costi di gestione.
L’ultimo comma impone ai soggetti produttori e detentori di rifiuti radioattivi di conferire, nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria, anche in relazione agli sviluppi della tecnica e alle indicazioni dell’Unione europea, tali rifiuti per la messa in sicurezza e lo stoccaggio al deposito  nazionale  destinato  al loro smaltimento a titolo definitivo.

CAPO V “SERVIZI PUBBLICI LOCALI”

L’articolo 25 (Promozione della concorrenza nei servizi pubblici locali) rafforza i principi di liberalizzazione nel settore dei servizi pubblici locali, a tal fine rendendo il quadro normativo, già delineato dall’art. 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148, più netto ed esplicito in questo senso. Si introducono a questo scopo misure dirette a potenziare la liberalizzazione e la concorrenza nel settore dei servizi pubblici locali.
In particolare, si prevede che l’organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, individuati in riferimento a dimensioni comunque non inferiori alla dimensione del territorio provinciale e tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio, costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale cui le Regioni si conformano.
L’applicazione di procedure di affidamento dei servizi a evidenza pubblica da parte di Regioni, Province e Comuni o degli enti di governo locali dell’ambito o del bacino costituisce elemento di valutazione della virtuosità degli stessi. ai sensi dell’articolo 20, comma 3, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. A tal fine, la Presidenza del Consiglio dei Ministri comunica, entro il termine perentorio del 31 gennaio di ciascun anno, al Ministero dell’economia e delle finanze gli enti che hanno provveduto all’applicazione delle procedure previste dal presente articolo. In caso di mancata comunicazione entro il termine di cui al periodo precedente, si prescinde dal predetto elemento di valutazione della virtuosità.
Vengono poi introdotte alcune norme relative alle società  in house:
– si prevede che le stesse siano assoggettate al patto di stabilità interno con modalità da stabilirsi con decreto e si attribuisce all’ente locale o all’ente di governo locale dell’ambito o del bacino la vigilanza sull’osservanza dei citati vincoli;
– nelle more di adozione del suddetto decreto, si individuano limiti all’importo di spesa per contrarre mutui per la realizzazione di investimenti (gli interessi connessi alle rate di mutuo non devono superare una soglia fissata dalla norma);
– si prevede che acquistino beni e servizi secondo le norme del codice dei contratti pubblici;
– si estende, in materia di personale, l’applicazione dei principi relativi alle procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni, nonché delle disposizioni che stabiliscono a carico degli enti locali divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, contenimento degli oneri contrattuali e per consulenze.

Si prevede, altresì, che le aziende speciali e le istituzioni:
– siano assoggettate al patto di stabilità interno secondo modalità da definire con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con i Ministri dell’interno e degli affari regionali, sentita la Conferenza Unificata;
– si applichino le disposizioni del codice dei contratti pubblici, nonché le disposizioni che stabiliscono, a carico degli enti locali divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze anche degli amministratori; obblighi e limiti alla partecipazione societaria degli enti locali; nonché tutte le norme che costituiscono, comunque, principi di coordinamento della finanza pubblica.

Infine si interviene sull’art. 4 del citato decreto legge n. 138 del 2011, prevedendo in particolare:
– l’attribuzione di poteri più cogenti all’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella valutazione della delibera quadro degli enti locali, che deve individuare i settori dei servizi pubblici da liberalizzare e quelli invece sottratti alla liberalizzazione (l’AGCM deve fornire entro 60 gg. dal ricevimento un parere obbligatorio sulla verifica effettuata dagli enti locali: con la norma ora vigente, è previsto il solo invio all’AGCM per la relazione al Parlamento);
– nelle procedure competitive ad evidenza pubblica per la gestione di servizi pubblici locali, che il bando di gara o la lettera di invito prevedano l’impegno del soggetto gestore a conseguire economie di gestione come elemento di valutazione dell’offerta;
– la riduzione da 900 mila a 200 mila euro annui della soglia entro la quale è ammissibile l’affidamento diretto ad una società in house;
– che, in caso di cessazione della gestione, se ci siano beni non interamente ammortizzati, il gestore subentrante corrisponda al precedente gestore un importo pari al costo storico rivalutato ( non più al valore contabile originario non ancora ammortizzato);
– che venga posticipati al 31 dicembre 2012 ed al 31 marzo 2013 la cessazione ex lege, rispettivamente, degli affidamenti diretti e delle gestioni affidate direttamente non conformi alla disciplina vigente, stabilendo che anche oltre la scadenza e fino al subentro del nuovo gestore sia garantita l’integrale e regolare prosecuzione del servizio (senza indennizzo o compenso aggiuntivo);
– l’applicazione anche al servizio di trasporto regionale della disciplina dei servizi pubblici locali dell’articolo 4 del decreto legge n. 138/11, fatti salvi, fino alla scadenza naturale dei primi sei anni di validità, gli affidamenti e i contratti di servizio già deliberati o sottoscritti in conformità alla normativa attuale.

Per la gestione integrata dei rifiuti urbani:
– si consente l’affidamento della gestione ed erogazione del servizio congiuntamente o meno alle attività di gestione e realizzazione degli impianti (prima era consentito solo congiuntamente);
– si richiede che, nel caso in cui gli impianti siano di titolarità di soggetti diversi dagli enti locali di riferimento si debba garantire, all’affidatario del servizio l’accesso agli impianti a tariffe regolate e predeterminate;
–  si prevede che il servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento sia svolto dai comuni mediante l’attribuzione di diritti di esclusiva nelle ipotesi di cui al comma 1 dell’articolo 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (non in regime di privativa).
L’articolo infine prevede l’obbligo dei concessionari e affidatari di servizi pubblici locali di fornire, a seguito di specifica richiesta, agli enti locali, che devono bandire una gara per l’affidamento del servizio già esercitato dai concessionari e affidatari stessi, i dati concernenti le caratteristiche tecniche degli impianti e delle infrastrutture, il loro valore contabile iniziale, le rivalutazioni e gli ammortamenti e ogni altra informazione utile per la definizione dei bandi di gara.
Qualora i concessionari e gli affidatari diano le suddette informazioni oltre il termine di 60 giorni dalla richiesta o diano informazioni false, il prefetto, su richiesta dell’ente locale, irroga una sanzione stabilita da minimo di euro 5.000 ad un massimo di euro 500.000.

Articolo 26  (Misure in favore della concorrenza nella gestione degli imballaggi e dei rifiuti da imballaggio e per l’incremento della raccolta e recupero degli imballaggi).
Il comma 1 dell’articolo, al fine di assicurare che i nuovi mercati creati nel settore del recupero e riciclaggio dei rifiuti di imballaggio siano aperti alla concorrenza, nonché per mantenere un elevato livello di tutela dell’ambiente e per garantire che i servizi siano prestati al miglior prezzo possibile (anche alla luce di quanto raccomandato dall’AGCM con AS500 del 24/02/09 in Boll. 7/09 e con IC 26 del 3/7/2008 in Boll. 26/08), apporta modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per consentire ai produttori di organizzare autonomamente, anche in forma collettiva, la gestione dei propri rifiuti di imballaggio.
Si pone poi un termine certo all’istruttoria per l’accertamento del funzionamento del sistema, tramite il meccanismo di silenzio assenso, analogamente a quanto avviene per la gestione di rifiuti in regime “semplificato” ex art. 214 D.lgs. 152/06, tenuto conto che il produttore, per progettare la gestione autonoma, deve effettuare ingenti investimenti.
E’ disposta inoltre la soppressione del comma 5 dell’art. 265 (disposizioni transitorie) del citato decreto legislativo non avendo la disposizione alcuna giustificazione ed essendo in contrasto con il parere dell’AGCM reso in data 16 marzo 2009.
Si rendere infine equo e proporzionato il versamento del Contributo al CONAI, nel caso in cui la gestione autonoma non dovesse raggiungere pienamente gli obiettivi.

CAPO VI “SERVIZI BANCARI E ASSICURATIVI”

L’articolo 27 (Promozione della concorrenza in materia di conto corrente o di conto di pagamento di base). L’articolo 12, comma 9, del decreto legge 201/2011 già prevede che Abi, altre associazioni di categoria e Poste definiscano (entro 3 mesi dall’entrata in vigore del citato DL) le regole per assicurare la riduzione delle commissioni interbancarie a carico degli esercenti. Tale commissione non può superare l’1,5%. Il successivo comma 10 prevede che il MISE-MEF, sentite BI, valutino l’efficacia delle misure adottate.
Con la proposta in esame, in forza della previsione di cui al comma 1, lett. b, si proroga al 1° giugno 2012 il termine entro il quale ABI, associazioni e Poste debbano attuare la riduzione delle commissioni interbancarie a carico degli esercenti relative alle transazioni effettuate con carte di pagamento.  Viene meno il riferimento al limite dell’1,5%.
Si prevede, inoltre, alla lett. c) del medesimo comma 1, che in caso di mancata adozione di misure efficaci, si provveda con decreto MEF-MISE, sentita BI.
Si stabilisce che fino alla descritta valutazione di efficacia delle misure, è sospesa l’applicazione dell’art. 34, comma 7, L. 138/2011, secondo cui “le transazioni regolate con carte di pagamento presso gli impianti di distribuzione di carburanti, di importo inferiore ai 100 euro, sono gratuite sia per l’acquirente che per il venditore”.
Con i commi 2 e 3 della diposizione in commento si interviene sull’articolo 117-bis del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, introdotto dalla legge di conversione del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201.
Come è noto tale disposizione stabilisce che i contratti di apertura di credito possano prevedere, quali unici oneri a carico del cliente, una commissione onnicomprensiva, calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma messa a disposizione del cliente e alla durata dell’affidamento, e un tasso di interesse debitore sulle somme prelevate. La norma dispone che l’ammontare della commissione non possa superare lo 0,5 per cento, per trimestre, della somma messa a disposizione del cliente.
In particolare il comma 2 del presente articolo detta la disciplina del regime transitorio correlato all’entrata in vigore dell’articolo 117-bis, stabilendo che i contratti di apertura di credito e di conto corrente in corso devono essere adeguati entro novanta giorni, alle disposizioni di cui all’articolo 117-bis.
Al fine di risolvere un problema interpretativo connesso all’entrata in vigore dell’articolo 117-bis, il comma 3 interviene abrogando la vigente normativa sulla commissione di massimo scoperto, che avrebbe dovuto essere interamente sostituita dal citato articolo 117-bis.

L’articolo 28 (Assicurazioni connesse all’erogazione di mutui immobiliari) impone alle banche, agli istituti di credito ed agli intermediari finanziari  che condizionino l’erogazione del mutuo alla stipula di un contratto di assicurazione sulla vita l’obbligo di sottoporre al cliente almeno due preventivi di differenti gruppi assicurativi.

L’articolo 29 (Efficienza produttiva del risarcimento diretto e risarcimento in forma specifica) dispone, nell’ambito del sistema “risarcitorio diretto”, previsto per i sinistri stradali dal decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, che i criteri per calcolare la misura delle compensazioni tra compagnie assicurative siano definiti tenendo conto dell’esigenza di incentivare i controlli dei costi dei rimborsi e l’individuazione delle frodi.
Si introduce inoltre la possibilità per le compagnie assicurative di offrire il risarcimento in forma specifica in luogo del risarcimento per equivalente. In tal caso, se il risarcimento è accompagnato da idonea garanzia sulle riparazioni, di validità non inferiore ai due anni, il risarcimento per equivalente è ridotto del 30%..
Le disposizioni mirano a ridurre il premio assicurativo per la responsabilità civile obbligatoria, riduzione conseguente ad un evidente risparmio per le imprese assicuratrici.

L’articolo 30 (Repressione delle frodi) introduce l’obbligo, per le imprese di assicurazione per la responsabilità civile su autoveicoli, di trasmettere annualmente all’ISVAP una relazione contenente dettagliate informazioni – indicate dalla norma – connesse alle frodi nel settore dei sinistri. Anche sulla base di tali elementi l’ISVAP esercita i propri poteri di vigilanza.
Le medesime imprese sono altresì tenute a indicare nella relazione o nella nota integrativa allegata al bilancio annuale e a pubblicare sui propri siti internet, o con altra idonea forma di diffusione, una stima circa la riduzione degli oneri per i sinistri, derivante dall’accertamento delle frodi, conseguente all’attività di controllo e repressione delle frodi autonomamente svolta.
La norma persegue la finalità di reprimere le frodi nel settore assicurativo, la cui entità si rivela come causa primaria della lievitazione dei costi nel settore medesimo.

Articolo 31 (Contrasto della contraffazione dei contrassegni relativi ai contratti di assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi per i danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore su strada). Le disposizioni sono finalizzate a potenziare l’azione di contrasto della contraffazione dei contrassegni relativi ai contratti di assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi, per danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore su strada.
E’ disposta, in particolare, la progressiva dematerializzazione dei contrassegni e la sostituzione o integrazione degli stessi con sistemi elettronici o telematici, anche in collegamento con banche dati, e si prevede l’utilizzo, ai fini dei relativi controlli, dei dispositivi o mezzi tecnici di controllo e rilevamento a distanza delle violazioni delle norme del codice della strada.
Il nuovo sistema sarà attuato con regolamento, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legge, del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti l’ISVAP e, per i profili di tutela della riservatezza, il Garante per la protezione dei dati personali.

Articolo 32 (Ispezione del veicolo, scatola nera, attestato di rischio, liquidazione dei danni). Mediante modifiche agli articoli 132, 134 e 148 del codice delle assicurazioni private, il complesso delle disposizioni recate dall’articolo tende a rendere più rigido il sistema di accertamento e liquidazione dei danni derivanti dalla circolazione dei veicoli, nella prospettiva, altresì, di potenziare il sistema dei controlli antifrode e di ridurre, in generale, l’entità della spesa nel relativo settore.
In primo luogo, si prevede che le imprese di assicurazione possano richiedere, prima della stipula del contratto, l’ispezione del veicolo ai soggetti che presentano proposte per l’assicurazione obbligatoria. Qualora si proceda all’ispezione, la tariffa è ridotta. E’ prevista la possibilità di installare anche una scatola nera che registri l’attività del veicolo, con oneri a carico della compagnia e riduzione della tariffa.
Si introduce inoltre l’obbligo di trasmettere anche in via telematica l’attestazione dello “stato del rischio” connesso alla circolazione  dei veicoli.
Quanto alle modifiche in tema di procedura di risarcimento per i sinistri con soli danni a cose, si prevede  che, al fine di consentire l’ispezione diretta ad accertare l’entità dei danni, le cose danneggiate devono essere messe a disposizione per l’accertamento per cinque giorni consecutivi non festivi, decorrenti dal giorno di ricevimento della richiesta di risarcimento da parte dell’assicuratore. Il danneggiato può procedere alla riparazione delle cose danneggiate solo dopo lo spirare di tale termine.

E’ consentito, infine, all’impresa assicuratrice di non procedere all’offerta di risarcimento qualora emergano dalla “banca dati sinistri” almeno due parametri di significatività, individuati dall’ISVAP, con riferimento ai soggetti o ai veicoli, indicativi di possibili fenomeni fraudolenti. E’ previsto che l’impresa motivi tale decisione con la necessità di condurre ulteriori approfondimenti in relazione al sinistro. La relativa comunicazione è trasmessa dall’impresa al danneggiato e all’ISVAP, al quale è anche trasmessa la documentazione relativa alle analisi condotte sul sinistro. Entro trenta giorni dalla comunicazione della predetta decisione, l’impresa deve comunicare al danneggiato le sue determinazioni conclusive in merito alla richiesta di risarcimento. Restano salvi i diritti del danneggiato ad effettuare l’accesso agli atti relativi al procedimento.

L’articolo 33 (Sanzioni per frodi nell’attestazione delle invalidità derivanti da incidenti) interviene sulla materia delle false certificazioni relative agli stati di invalidità conseguenti ad incidenti stradali da cui derivi l’obbligo del risarcimento del danno a carico delle società assicuratrici, disponendo che agli esercenti una professione sanitaria, che accertino falsamente un’invalidità, si applicano, oltre che le pene previste al comma 1 dell’art. 55-quinquies del d.lgs. 30 marzo 2001, n, 165, anche le sanzioni disciplinari di cui al comma 3 dello stesso articolo. Le disposizioni sono estese ai periti assicurativi, in presenza delle medesime fattispecie.
Il comma 2 aggrava la pena nei confronti di chi commette reati di falso finalizzati a conseguire vantaggi derivanti da contratti di assicurazione, ovvero a chi, allo stesso scopo, cagiona danni o aggrava le conseguenze di lesioni personali prodotte da infortuni, ovvero denuncia un sinistro non accaduto

L’articolo 34 (Obbligo di confronto delle tariffe r.c. auto) è finalizzato ad assicurare la concorrenza fra le imprese assicuratrici, in materia di assicurazioni sulla responsabilità civile auto. Si impone, infatti, agli intermediari di informare il cliente sulle tariffe e le condizioni contrattuali proposte da almeno tre diverse compagnie assicurative non appartenenti agli stessi gruppi (c.d. plurimandato).
In caso di inosservanza del suddetto obbligo, è disposta la nullità del contratto e l’irrogazione di sanzioni, in una misura non inferiore a euro 50.000 e non superiore a euro 100.000. da parte dell’ISVAP a carico della compagnia che ha conferito il mandato all’agente.

Articolo 35 (Misure per la tempestività dei pagamenti per l’estinzione dei debiti pregressi delle amministrazioni statali nonché disposizioni in materia di tesoreria unica). Le disposizioni recate dall’articolo affrontano vari temi, prevedendo, in particolare, misure che favoriscono la tempestività dei pagamenti dei debiti pregressi delle amministrazioni statali e dispongono la sospensione temporanea del sistema di tesoreria unica.
Quanto alle misure per l’estinzione dei pagamenti pregressi delle amministrazioni statali, si prevede l’integrazione di somme nei fondi speciali per la reiscrizione di residui passivi perenti.
Si prevede altresì che i creditori della pubblica amministrazione possano chiedere di essere pagati tramite titoli di Stato nel limite di 2.000 milioni di euro. L’assegnazione di tali titoli non è computata nei limiti delle emissioni nette dei titoli di Stato indicate nella legge di bilancio.
E’ disposto inoltre l’incremento della dotazione finanziaria per l’estinzione dei debiti per spese relative a consumi intermedi, maturati al 31 dicembre 2011 nei confronti dei Ministeri.
Il comma 5 dell’articolo consente alle agenzie fiscali e all’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, al fine di assicurare alle stesse la massima flessibilità organizzativa, di derogare a quanto previsto dall’articolo 9, comma 2, ultimo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, a condizione che sia comunque assicurata la neutralità finanziaria, prevedendo, ove necessario, la relativa compensazione, anche a carico del fondo per la retribuzione di posizione e di risultato o di altri fondi analoghi; restano comunque ferme le riduzioni derivanti dal c.d. contributo di solidarietà per i dipendenti pubblici.
Il comma 7 dispone l’abrogazione, in tema di gestione dei tributi regionali, della norma che prevede che l’atto di indirizzo per il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale di cui all’articolo 59 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, è adottato dal Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con le regioni e sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.
Quanto agli interventi in materia di tesoreria unica, si dispone che dalla data di entrata in vigore del decreto e fino al 31 dicembre 2014, in sostituzione dello speciale regime di tesoreria, previsto per le Regioni e gli enti locali che debbono versare alla tesoreria unica esclusivamente le entrate provenienti dal bilancio dello Stato, si applica l’ordinario regime di tesoreria, secondo cui tutte le entrate dei predetti enti devono essere versate presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato: le entrate proprie in contabilità speciale fruttifera e le altre entrate in contabilità speciale infruttifera.
Entro il 29 febbraio 2012 il 50 per cento delle liquidità dei suddetti enti, depositate presso il sistema bancario, sono versate sulle contabilità speciali fruttifere della tesoreria statale. Entro il 16 aprile 2012 si versa il restante 50 per cento
Entro il 30 giugno 2012 gli eventuali investimenti finanziari, ad eccezione dei titoli di Stato, sono smobilizzati e versati sulle contabilità speciali della tesoreria statale.
Fino al completo riversamento delle suddette risorse, gli enti territoriali per far fronte ai propri pagamenti utilizzano prioritariamente le risorse depositate presso il sistema bancario.
La suddetta disciplina si applica anche agli Atenei.

CAPO VII “TRASPORTI”

L’articolo 36 (Regolazione indipendente in materia di trasporti) è finalizzato ad assicurare l’uniformità e la coerenza del sistema di liberalizzazione in tutto il settore del trasporto, affidandone la regolazione all’Autorità per l’energia elettrica ed il gas nelle more dell’istituzione di un’Autorità indipendente di regolazione dei trasporti, per la quale è previsto che il Governo presenti, entro tre mesi dalla conversione del decreto-legge, un apposito disegno di legge.
Allo scopo, sono apportate modificazioni all’articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, con cui è stato avviato l’iter di liberalizzazione del settore dei trasporti.
Si attribuiscono all’Autorità per l’energia elettrica ed il gas le funzioni di regolazione in materia di trasporti (autostrade, ferrovie, aeroporti, porti, trasporto regionale e urbano su gomma, di linea e non). Il complesso delle competenze attribuite all’Autorità è sintetizzabile come segue. Essa provvede, in particolare, a:
– garantire condizioni di accesso non discriminatorie alle reti e alle infrastrutture, fatte salve le competenze dell’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali;
– definire criteri per la fissazione delle tariffe, canoni e pedaggi (applicando il metodo del price cap al settore autostradale);
– stabilire condizioni minime di qualità del servizio di trasporto nazionale e locale;
– definire il contenuto minimo dei diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere;
– definire schemi di bandi di gara per l’assegnazioni dei trasporti in esclusiva (anche per le concessioni autostradali);
– con particolare riferimento all’accesso all’infrastruttura ferroviaria, definire i criteri per la determinazione dei pedaggi da parte del gestore dell’infrastruttura e i criteri di assegnazione delle tracce e della capacità;
– con particolare riferimento al servizio taxi, adeguare i livelli di offerta del servizio taxi, delle tariffe e della qualità delle prestazioni alle esigenze dei diversi contesti urbani, secondo i criteri di ragionevolezza e proporzionalità, allo scopo di garantire il diritto di mobilità degli utenti, nel rispetto di taluni principi. Tra questi: consentire ai titolari di licenza la possibilità di essere sostituiti alla guida; prevedere la possibilità di rilasciare licenze part-time e di consentire ai titolari di licenza una maggiore flessibilità nella determinazione degli orari di lavoro; consentire ai possessori di licenza di esercitare la propria attività anche al di fuori dell’area per la quale sono state originariamente rilasciate; consentire una maggiore libertà nella fissazione delle tariffe;

Per garantire lo svolgimento delle suddette attività, all’Autorità è conferita la facoltà di avvalersi di un contingente aggiuntivo di personale, complessivamente non superiore alle ottanta unità, comandate da altre pubbliche amministrazioni.

L’articolo 37 (Misure per il trasporto ferroviario) prevede che l’Autorità di cui al precedente articolo 36 definisca, sentiti il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, le Regioni e gli enti locali interessati, gli ambiti del servizio pubblico sulle tratte e le modalità di finanziamento, stabilendo criteri per la ripartizione dei costi tra le imprese ferroviarie. L’Autorità dopo un congruo periodo di osservazione delle dinamiche dei processi di liberalizzazione, analizza l’efficienza dei diversi gradi di separazione tra l’impresa che gestisce l’infrastruttura e l’impresa ferroviaria, anche in relazione alle esperienze degli altri Stati membri dell’Unione Europea. In esito all’analisi, l’Autorità predispone una relazione al Governo e al Parlamento.
Il comma 2 dispone la modifica dell’articolo 36 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, recante l’attuazione delle direttive comunitarie 2001/12/CE, 2001/13/CE e 2001/14/CE in materia ferroviaria. In particolare, viene eliminato l’obbligo, per le imprese ferroviarie e per le associazioni internazionali di imprese ferroviarie che espletano servizi di trasporto sull’infrastruttura ferroviaria nazionale, di osservare i contratti collettivi nazionali di settore, anche con riferimento alle prescrizioni in materia di condizioni di lavoro del personale. Resta ferma invece la prescritta osservanza della legislazione nazionale e regionale.
Il citato articolo 36 era stato modificato dall’articolo 8, comma 3-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148,  che aveva inserito l’obbligo di osservanza dei “contratti collettivi nazionali di settore, compatibili con la legislazione comunitaria” e la prescrizione in materia di “condizioni di lavoro del personale”.

CAPO VIII “ALTRE LIBERALIZZAZIONI”

Articolo 38 (Liberalizzazione delle pertinenze delle strade). L’articolo 24 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 e successive modificazioni, detta disposizioni in materia di pertinenze stradali, definite come le parti della strada destinate in modo permanente al servizio o all’arredo funzionale di essa. Sono pertinenze di servizio le aree di servizio per il rifornimento ed il ristoro degli utenti, le aree di parcheggio, le aree ed i fabbricati per la manutenzione delle strade, determinate dall’ente proprietario in modo che non intralcino la circolazione o limitino la visibilità.
Il comma 5-bis del predetto articolo, aggiunto dall’articolo 5 della legge 29 luglio 2010, n. 120, dispone che, per esigenze di sicurezza della circolazione stradale, le pertinenze di servizio relative alle strade di tipo A), ossia le autostrade, devono essere previste dai progetti dell’ente proprietario ovvero, se individuato, dal concessionario e approvate dal concedente, nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia di affidamento dei servizi di distribuzione di carbolubrificanti – di cui all’articolo 11 della legge 23 dicembre 1992, n. 498 – e d’intesa con le regioni per i profili di competenza delle stesse.
L’articolo modifica il sopra richiamato comma 5-bis, prevedendo l’intervento dell’Autorità di regolazione dei trasporti per la fissazione delle modalità con cui le pertinenze di servizio relative alle autostrade sono previste dai progetti dell’ente proprietario o del concessionario e approvate dal concedente, nel rispetto delle disposizioni in materia di affidamento dei servizi di distribuzione di carbolubrificanti e delle attività commerciali e ristorative nelle aree di servizio autostradali.

Articolo 39 (Liberalizzazione del sistema di vendita della stampa quotidiana e periodica e disposizioni in materia di diritti connessi al diritto d’autore). Le disposizioni recate dal comma 1 consentono una maggiore flessibilità, anche nei confronti dei distributori intermedi, delle attività di vendita da parte degli edicolanti. Si prevede, in particolare, che gli edicolanti possano rifiutare le forniture di prodotti complementari forniti dagli editori e dai distributori e possano altresì vendere presso la propria sede qualunque altro prodotto secondo la vigente normativa. Agli stessi, inoltre, è consentito praticare sconti sulla merce venduta e defalcare il valore del materiale fornito in conto vendita e restituito a compensazione delle successive anticipazioni al distributore.
Le disposizioni di cui ai successivi commi rispondono all’impegno accolto dal Governo con l’OdG 9/4829-A/170 on. De Micheli e altri, per rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il libero esercizio dell’attività di intermediazione dei diritti connessi al diritto d’autore.
Sino al 2009 tale attività era stata gestita in regime di monopolio di fatto dall’IMAIE associazione nata negli anni’70, successivamente elevata ad ente morale. Tale Istituto è stato estinto nel 2009 con provvedimento del Prefetto di Roma, per incapacità di raggiungere gli obiettivi statutari, essendo stato incapace di distribuire oltre 130 milioni di euro agli artisti.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, già con una segnalazione del 2004 (AS.280) aveva chiesto al Parlamento di provvedere a liberalizzare il settore dell’intermediazione dei diritti connessi lasciando ai titolari dei diritti la libertà di decidere a quale intermediario affidare la gestione dei propri diritti patrimoniali.
L’attuale normativa non si adegua a quanto già previsto dall’ordinamento comunitario in materia di libera concorrenza e quanto ribadito più volte, anche di recente, dalla Commissione europea nella decisione sul caso CISAC.
Oggi operano con molte difficoltà diverse imprese e associazioni di artisti (italiane e straniere) i cui livelli di raccolta sono inadeguati a causa dalle resistenze di diversi produttori audio e video che non ripartiscono tali diritti approfittando dell’incertezza normativa data dall’istituzione del NUOVO IMAIE (art. 7 del decreto-legge 30 aprile, n. 64, convertito dalla legge 29 giugno 2010, n. 100).
La norma prevede l’emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per l’individuazione dei requisiti tecnici minimi necessari affinché i soggetti intermediari abbiano sufficienti garanzie economico-finanziarie e un’adeguata rappresentatività di artisti associati. E’ opportuno che tali requisiti siano preventivamente sottoposti all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato affinché siano proporzionati e si eviti il rischio che possano costituire una nuova barriera all’entrata per i nuovi operatori.
La previsione non comporta oneri a carico dello Stato.

Articolo 40 (Disposizioni in materia di carta di identità e in materia di anagrafe della popolazione residente all’estero e l’attribuzione del codice fiscale ai cittadini iscritti). L’articolo, al comma 1, reca la definizione della tempistica, in modo graduale, per il rilascio della carta d’identità elettronica a partire da quei Comuni che verranno identificati con decreto.
Al comma 2: mediante le opportune modifiche all’articolo 3 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, come da ultimo modificato dall’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, viene previsto che le carte d’identità elettroniche devono essere munite anche delle impronte digitali della persona a cui si riferiscono.
Ai commi 3 e 4: si prevede che l’Indice nazionale delle Anagrafi (INA) promuova la circolarità delle informazioni anagrafiche essenziali al fine di consentire alle amministrazioni pubbliche centrali e locali la disponibilità, in tempo reale, anche dei dati relativi ai cittadini italiani residenti all’estero iscritti nell’anagrafe della popolazione italiana residente all’estero (AIRE).
Al comma 5: viene attribuito al Dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell’interno la facoltà di stipulare convenzioni, anche a titolo oneroso, con enti, istituzioni ed altri soggetti che svolgono pubbliche funzioni per l’elaborazione aggiuntiva di dati contenuti nell’INA
Ai commi commi 6, 7 e 8: si prevede infine che l’Amministrazione finanziaria attribuisca d’ufficio il codice fiscale ai cittadini italiani iscritti all’AIRE ai quali non risulta già attribuito, previo allineamento dei dati anagrafici in possesso degli uffici consolari e delle AIRE comunali.

TITOLO II “INFRASTRUTTURE”

Nell’ottica dell’incisività ma anche della continuità con le misure assunte nel recente passato anche ai fini dello sviluppo con il decreto legge n. 201/2011, il cosiddetto decreto “salvaitalia”, recentemente convertito, sono state introdotte, nel settore delle infrastrutture e delle grandi opere, dell’edilizia e dei trasporti, una prima serie di misure finalizzate al rilancio degli investimenti in tali settori.
Ora la fase 2, improntata alla crescita, dopo il consolidamento e la messa in sicurezza dei conti pubblici, richiede misure ancora più incisive per far ripartire il motore produttivo del Paese.
Si intende, dunque, proseguire nella linea intrapresa, individuando ulteriori misure ancor più efficaci che possano innescare un processo virtuoso di crescita e di ripresa economica del Paese, incentivando l’apertura di cantieri e quindi, altresì, la creazione di nuovi posti di lavoro.
E’ necessario, quindi, prevedere una serie di interventi nei settori chiave (per la ripresa) delle infrastrutture, dell’edilizia e dei trasporti.
In particolare, per incentivare ulteriormente l’attrazione di capitali privati nelle infrastrutture, si pensa di:
• rivedere la disciplina in materia di emissione delle obbligazioni da parte delle società di progetto nell’ambito delle operazioni di finanza di progetto, introducendo i cosiddetti “project bond” garantiti, da parte del sistema finanziario e  dei fondi privati, anche durante il periodo di costruzione dell’opera, tradizionalmente scoperto;
• introdurre nella finanza di progetto per le infrastrutture strategiche il diritto di prelazione, per incentivare gli investitori privati ad assumere il ruolo di promotore in grandi opere, anche non previste negli strumenti di programmazione;
• individuare il partenariato pubblico-privato quale strumento idoneo per la realizzazione in tempi brevi, e la gestione (ma solo dell’infrastruttura e dei servizi connessi) di nuove strutture carcerarie;
• disporre che i bandi e i piani economico-finanziari per le opere da affidare in concessione siano definiti in modo da assicurare adeguati livelli di bancabilità delle opere, consentendo agli istituti finanziatori di poter contare almeno su un progetto definitivo dell’opera da realizzare in concessione;
• misure di correzione delle concessioni di costruzione e gestione di opere pubbliche, per aprire nuovi spazi alla concorrenza e rendere più flessibile il meccanismo di subentro.

Non mancano importanti norme di semplificazione e di alleggerimento procedurale, in tema, a titolo di esempio, di approvazione di progetti, affidamento di servizi finanziari, di documentazione a corredo dei piani economico-finanziari.
Si prevedono, inoltre, una serie di misure specifiche nel settore dell’edilizia e della casa, capaci di avere una notevole ricaduta sia in termini di sviluppo economico che occupazionale. In particolare si propone di introdurre la possibilità di detrarre l’IVA per la cessione e la locazione di nuove abitazioni da parte dei costruttori e dei soggetti che operano nei programmi di housing sociale, rendendo l’imposta neutra non solo nel primo periodo; la proposta comporta un costo stimato, e già quantificato, per la finanza pubblica pari 47,2 milioni di euro e consentirebbe alle imprese di costruzioni di vendere le unità immobiliari sul mercato senza penalizzazioni, permettendo l’autofinanziamento delle stesse; le stime parlano di liberazione di ingenti risorse per investimenti da parte dei costruttori, con una movimentazione di capitali destinata alle costruzioni da parte degli stessi pari a circa 840 milioni di euro all’anno , ed ingenti ricadute sul sistema economico e, non da ultimo, occupazionali (circa 68.000 nuovi posti di lavoro di cui 44.000 nelle costruzioni e 24.000 nei settori collegati);
Infine, si intendono proporre alcune importanti misure nel settore dei trasporti con particolare riferimento a:
• introduzione della autonomia finanziaria dei porti, mediante destinazione agli stessi dell’1% dell’Iva e delle accise in essi prodotte; in tal modo, sulla base degli esempi positivi di altri Stati Europei (es. Spagna), verrebbero destinati ad investimenti infrastrutturali nei porti almeno  80/90 milioni di € ogni anno, con notevoli benefici indotti in termini di PIL e aumento dei traffici. Il settore portuale fornisce un contributo al PIL di circa 6,8 miliardi euro pari al  2,7 del PIL nazionale. Con la proposta, si determina una prospettiva di crescita di contributo al PIL ammontante a circa 247,5 milioni di euro;
• destinazione di parte dell’extragettito IVA, relativo alle operazioni riconducibili all’infrastruttura oggetto dell’intervento, alle società di progetto per le opere portuali con conseguente crescita del contributo al PIL nazionale quantificabile in 2,75 euro ogni euro di investimento pubblico o privato;
• anticipo del recupero delle accise per autotrasportatori; la disposizione garantirebbe la pace sociale nel settore dell’autotrasporto che in caso di fermo determinerebbe effetti negativi sul pil con una incidenza di riduzione pari all’1% settimanale; la norma ha un costo per la finanza pubblica pari a 29 milioni di euro, già coperto con le risorse destinate al settore.

CAPO I “MISURE PER LO SVILUPPO INFRASTRUTTURALE”

Articolo 41. (Emissioni di obbligazioni da parte delle società di progetto – project bond).  Si prevede, al fine di consentire l’effettivo sviluppo dello strumento obbligazionario a sostegno del finanziamento di specifici progetti infrastrutturali, la revisione della disciplina recata dall’articolo 157 del codice dei contratti pubblici in materia di emissione delle obbligazioni da parte delle società di progetto che, costituite a valle dell’affidamento di una concessione, realizzano l’opera pubblica.
Rispetto al testo vigente, è eliminata la previsione che le obbligazioni siano garantite mediante ipoteca nel caso in cui superino il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili; è previsto che le obbligazioni siano sottoscritte da investitori qualificati, così da poter coinvolgere nel finanziamento delle opere pubbliche non solo il sistema bancario ma il sistema finanziario nel suo complesso. E’ inoltre previsto che, per la fase di costruzione dell’infrastruttura, durante la quale la stessa non è ancora in grado di produrre flussi di cassa per remunerare il capitale investito, le obbligazioni godano della garanzia da parte del sistema finanziario e di fondi privati; con il meccanismo del project bond si introduce dunque uno strumento, di natura privatistica, atto ad alimentare i flussi per la  realizzazione di infrastrutture ed a garantire la copertura dei rischi di costruzione; a differenza degli attuali strumenti, dove le obbligazioni vengono ripagate tramite il cash flow (pedaggi, canoni  ecc.) delle opere infrastrutturali già realizzate, si andrebbe a  coprire la parte di tempo in cui il progetto non ha ancora iniziato a generare flussi di cassa. Si agevola in tal modo il reperimento, da parte del realizzatore privato dell’opera pubblica, delle risorse finanziarie da utilizzare per la realizzazione dell’opera.

Articolo 42 (Alleggerimento e integrazione della disciplina del promotore per le infrastrutture strategiche). Si prevede di integrare la recente disciplina, introdotta in sede di conversione del decreto legge n. 201/2011, relativa alla finanza di progetto nelle infrastrutture strategiche, introducendo nella cosiddetta procedura ad iniziativa privata il diritto di prelazione. In tale procedura è data facoltà agli operatori economici qualificati di formulare proposte, corredate del progetto preliminare, per interventi che non risultano inseriti nella lista predisposta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; attualmente il promotore non gode di alcuna prerogativa particolare rispetto al successivo eventuale affidamento della concessione, elemento che rende poco appetibile tale tipo di procedura. Si prevede, pertanto, di introdurre, in analogia a quanto già previsto per le opere ordinarie all’articolo 153, comma 19, del codice dei contratti pubblici, a seguito delle modifiche introdotte con il decreto legge n. 70/2011, il diritto di prelazione in favore del promotore all’esito della gara per la scelta del concessionario, gara che il soggetto aggiudicatore pone in essere sulla base del progetto preliminare e della proposta presentate dal promotore e approvate dal CIPE; è previsto che alla gara, in analogia con le disposizioni del citato articolo 153, comma 19, del Codice, partecipi anche il promotore.
Si introducono inoltre, a fini di alleggerimento della disposizione, alcuni rinvii all’art. 153 del codice, in sostituzione di identiche disposizioni previste nella precedente formulazione del comma 14.

L’articolo 43 (Project financing per la realizzazione di infrastrutture carcerarie) è volto a favorire la realizzazione di nuove strutture carcerarie, rese quanto mai necessarie dal problema del sovraffollamento dei detenuti, in un periodo di estrema difficoltà di reperimento delle risorse pubbliche che richiedono il maggior utilizzo possibile di strumenti che prevedano l’impiego del capitale privato. E’ quindi previsto, al comma 1, che si ricorra in via prioritaria, previa analisi di convenienza economica e verifica di assenza di effetti negativi sulla finanza pubblica con riferimento alla copertura finanziaria del corrispettivo di cui al comma 2, alle procedure in materia di finanza di progetto disciplinate dall’articolo 153 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e dell’economia e delle finanze, sono disciplinati condizioni, modalità e limiti di attuazione delle disposizioni, in coerenza con le specificità, anche ordinamentali, del settore carcerario.

Il comma 2 provvede a riconoscere al concessionario, a titolo di prezzo, una tariffa comprensiva dei costi di investimento e di gestione dell’infrastruttura e dei servizi connessi, a esclusione della custodia, determinata in misura non modificabile al momento dell’approvazione del progetto e da corrispondersi successivamente alla messa in esercizio dell’infrastruttura realizzata.

Articolo 44 (Contratto di disponibilità). Al fine di favorire ulteriormente il partenariato pubblico-privato, è introdotto, nell’ambito del codice dei contratti pubblici, un nuovo strumento contrattuale applicabile sia alle opere ordinarie che alle opere di interesse strategico, caratterizzato dall’affidamento a un soggetto privato, che può essere anche un contraente generale, a proprio rischio e spese, della costruzione e della messa a disposizione del committente pubblico di un’opera di proprietà privata, per l’esercizio di un pubblico servizio. Il committente pubblico versa un canone di disponibilità e, al fine di attenuare gli oneri finanziari, un eventuale contributo in corso d’opera, comunque non superiore al 50% del valore dell’opera, nonché un prezzo finale, parametrato al valore residuo rispetto ai canoni versati, da corrispondere nel caso in cui l’opera passi in proprietà al committente. La disposizione si applica anche alle infrastrutture strategiche.
Attraverso l’introduzione di tale nuovo strumento si intende incentivare l’apporto di capitale privato atteso che viene ad ampliarsi il ventaglio degli strumenti di partenariato pubblico-privato attualmente configurati dal codice dei contratti pubblici. Attraverso la nuova procedura potranno essere realizzati edifici ad uso ufficio da destinare, per un periodo di tempo predefinito, all’utilizzo pubblico.

Articolo 45 (Documentazione a corredo del PEF per le opere di interesse strategico). Per consentire la massima tempestività nell’assegnazione da parte del CIPE delle risorse da destinare alle opere di legge obiettivo, è individuata nel dettaglio la documentazione da presentare a corredo del piano economico e finanziario delle opere che accompagna la richiesta di assegnazione delle risorse. L’effetto perseguito è la riduzione della durata della procedura di assegnazione delle risorse da parte del CIPE attraverso l’eliminazione dei tempi necessari ad acquisire tutti gli elementi necessari per l’istruttoria, consentendo un più rapido avvio della fase realizzativa dell’intervento.

Articolo 46 (Disposizioni attuative del dialogo competitivo). Al fine di agevolare l’utilizzo del dialogo competitivo quale sistema di affidamento dei contratti pubblici, in conformità alla direttiva 2004/18/CE, si prevede di integrare la disciplina in materia mediante un rinvio dinamico al regolamento di attuazione del codice dei contratti pubblici. La norma è tesa a conseguire un maggiore utilizzo del sistema del dialogo competitivo attraverso il rinvio ad una specifica normativa attuativa.

L’articolo 47 (Riduzione importo “opere d’arte” per  i grandi edifici – modifiche alla legge n. 717/1949)  interviene sull’articolo 1 della legge 29 luglio 1949, n.717, Norme per l’arte negli edifici pubblici.
La disposizione intende modificare l’attuale previsione della percentuale fissa, pari al 2% della spesa totale prevista per un progetto di edifici pubblici, da destinare alla realizzazione di opere d’arte, introducendo la determinazione di percentuali decrescenti al crescere dell’importo dell’opera secondo la suddivisione in scaglioni progressivi. L’attuale previsione porta a dovere eseguire per edifici di importo rilevante opere d’arte il cui costo, pari in misura fissa al 2% di detto importo, appare incoerente con le finalità della legge di favorire la produzione artistica e di stimolare la creatività invitando gli artisti a partecipare a bandi pubblici e non certo di remunerare le opere d’arte oltremisura. L’onerosità della spesa da sostenere per tali opere d’arte, in un periodo in cui la carenza di risorse economiche rende difficile anche il completamento delle opere programmate, richiede una revisione della norma mediante l’adozione di scaglioni per le percentuali relative agli importi da destinare alle opere d’arte. Inoltre si propone di chiarire che resta esclusa dall’applicazione della norma l’edilizia residenziale pubblica, sia di uso civile che militare, nonché di portare ad un milione di euro, rispetto al miliardo di lire vigente, la soglia per l’esclusione dall’applicazione della norma relativa agli edifici a qualsiasi uso destinati.

L’articolo 48 (Norme in materia di dragaggi) La disposizione mira sostanzialmente a completare e migliorare le normative sul tema rispetto a quanto già avviato con il comma 996 della legge finanziaria 2006 ed al successivo decreto ministeriale del 7 novembre 2008, semplificando e dando maggiore completezza al sistema normativo in materia ma anche maggior chiarezza per ciò che concerne l’applicazione delle norme.

Si prevede che nei siti oggetto di interventi di bonifica di interesse nazionale, ai sensi dell’articolo 252 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, le operazioni di dragaggio possano essere svolte anche contestualmente alla predisposizione del progetto relativo alle attività di bonifica. Al fine di evitare che tali operazioni possano pregiudicare la futura bonifica del sito, il progetto di dragaggio, basato su tecniche idonee ad evitare dispersione del materiale, ivi compreso l’eventuale progetto relativo alle casse di colmata, vasche di raccolta o strutture di contenimento di cui al comma 3, è presentato dall’autorità portuale o, laddove non istituita, dall’ente competente ovvero dal concessionario dell’area demaniale al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con proprio decreto, approva il progetto entro trenta giorni sotto il profilo tecnico-economico e trasmette il relativo provvedimento al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare per l’approvazione definitiva. Il decreto di approvazione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare deve intervenire, previo parere della Commissione di cui all’art. 8 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 sull’assoggettabilità o meno del progetto alla valutazione di impatto ambientale, entro trenta giorni dalla suddetta trasmissione.
Si prevede inoltre che i materiali derivanti dalle attività di dragaggio possano essere immessi o refluiti in mare nel rispetto dell’articolo 109 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Restano salve le eventuali competenze della regione territorialmente interessata.
I materiali di dragaggio possono essere utilizzati anche per il ripascimento degli arenili e per formare terreni costieri su autorizzazione della regione territorialmente competente. I materiali derivanti dalle attività di dragaggio o da attività di dragaggio da realizzare nell’ambito di procedimenti di bonifica di cui all’articolo 252 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che presentino all’origine o a seguito di trattamenti livelli di inquinamento non superiori a quelli stabiliti, in funzione della destinazione d’uso, nella Colonna A e B della Tabella 1, dell’Allegato 5 degli allegati della Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e risultino conformi al test di cessione da compiersi con il metodo ed in base ai parametri di cui all’articolo 9 del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 5 febbraio 1998, possono essere impiegati a terra.

L’articolo 49 (Utilizzo terre e rocce da scavo) è finalizzato ad eliminare i costi per lo smaltimento delle terre e rocce da scavo come rifiuti, laddove le stesse possano essere reimpiegate nella costruzione, nel rispetto delle disposizioni previste dal Codice dell’ambiente.
Per il raggiungimento di tale obiettivo, è prevista l’emanazione, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, di un decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

L’articolo 50 (Disposizioni in materia di concessioni di costruzione e gestione di opere pubbliche) interviene sugli articoli 144 e 159 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.
La disposizione di modifica all’articolo 144 del codice mira ad assicurare fin dalla predisposizione degli atti di gara per l’individuazione del concessionario adeguate condizioni di bancabilità del progetto.
La modifica all’articolo 159 mira ad assicurare piena operatività alla previsione in forza della quale in tutti i casi di risoluzione di un rapporto concessorio per motivi attribuibili al concessionario gli enti finanziatori del progetto possono impedire la risoluzione designando una società che subentri nella concessione al posto del concessionario; in particolare la coincidenza di caratteristiche richieste al soggetto subentrante rispetto al concessionario originario pone un limite troppo stringente che rischia di risultare non adeguato alle reali necessità del progetto, ad es. qualora la sostituzione debba avere luogo in fase di gestione, e di impedire l’attivazione dell’istituto.

L’articolo 51 (Disposizioni in materia di affidamento a terzi nelle concessioni), volto a favorire la concorrenza, interviene sull’articolo 253, comma 25, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE. La modifica è diretta ad aumentare dal 40 al 50 per cento la quota dei lavori che il concessionario autostradale, titolare di concessioni vigenti (già affidate alla data del 30 giugno 2002) è tenuto ad affidare a terzi; la norma ha finalità pro-concorrenziale. E’ previsto che la disposizione trovi applicazione a decorrere dal 1° gennaio 2015; il periodo transitorio è necessario al fine di evitare il blocco degli investimenti già avviati dalle concessionarie autostradali.

L’articolo 52 (Semplificazione nella redazione e accelerazione dell’approvazione dei progetti) interviene sugli articoli 93, 97 e 128 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, nonché sull’articolo 15 del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207.
La proposta è finalizzata ad una velocizzazione dei procedimenti approvativi dei progetti, unificando ove possibile alcune fasi progettuali; questo consente di ottenere in un’unica soluzione approvazioni che, richiedendo livelli progettuali diversi, devono altrimenti essere acquisite in tempi differiti.
Con l’aggiunta di un periodo al secondo comma dell’articolo 93 si prevede che il progetto possa essere ritenuto adeguatamente sviluppato pur in mancanza di uno dei primi due livelli di progettazione, purchè il livello successivo ne contenga tutti gli elementi  e siano garantite la qualità dell’opera e la rispondenza alle finalità relative; la conformità alle norme ambientali e urbanistiche e il soddisfacimento dei requisiti essenziali, definiti dal quadro normativo nazionale e comunitario.
Nella stessa prospettiva opera l’aggiunta del comma 1 bis all’articolo 97.
Le modifiche apportate al sesto comma dell’articolo 128, prevedono la previa approvazione dello studio di fattibilità quale requisito minimo per l’inclusione di un lavoro di importo inferiore a 1.000.000 di euro nell’elenco annuale dei lavori. Per i lavori di importo pari o superiore a 1.000.000 di euro, il requisito minimo viene indicato nell’approvazione della progettazione preliminare, redatta ai sensi dell’articolo 93, salvo che per i lavori di manutenzione.
Infine, è previsto un adeguamento per motivi sistematici del regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

L’articolo 53 (Allineamento alle norme europee della regolazione progettuale delle infrastrutture ferroviarie e stradali e disposizioni in materia di gallerie stradali) dispone che la progettazione delle nuove infrastrutture ferroviarie ad alta velocità deve avvenire secondo le relative specifiche tecniche. Le specifiche tecniche previste per l’alta capacità sono utilizzate esclusivamente laddove ciò risulti necessario sulla base delle stime delle caratteristiche della domanda. Si prevede, inoltre, che non possono essere applicati alla progettazione e costruzione delle nuove infrastrutture ferroviarie nazionali nonché agli adeguamenti di quelle esistenti, parametri e standard tecnici e funzionali più stringenti rispetto a quelli previsti dagli accordi e dalle norme dell’Unione Europea.
Ai commi 3 e successivi, l’articolo prevede modifiche ai decreti legislativi n. 162/2007 e n. 264/2000. Le modifiche a quest’ultimo decreto legislativo in particolare, precisano che le responsabilità in capo alla Commissione di cui all’art. 4 del medesimo decreto legislativo sono relative alle verifiche funzionali effettuate nel corso delle ispezioni di cui all’art. 11 del d.lgs. 264/2006 e non anche al collaudo tecnico amministrativo deputato per legge alla stazione appaltante.

Articolo 54 (Emissione di obbligazioni di scopo da parte degli enti territoriali garantite da beni immobili patrimoniali ai fini della realizzazione di opere pubbliche) Al fine di consentire l’effettivo sviluppo delle strumento obbligazionario – notoriamente a costi inferiori rispetto alle altre forme di finanziamento – a sostegno del finanziamento di singoli e specifici progetti infrastrutturali di competenza degli enti locali, è prevista la costituzione di un patrimonio destinato formato da un asset di beni immobili disponibili di proprietà dell’ente territoriale per un valore almeno pari all’emissione obbligazionaria, destinato esclusivamente alla soddisfazione degli obbligazionisti e non attaccabile dai terzi creditori.
La disposizione si ispira alla riforma del diritto commerciale, che ha portato all’emanazione degli articoli dal 2447-bis al 2447-decies del c.c., e dà alle società di capitali la facoltà di destinare parte del patrimonio ad un singolo affare. Con tale riforma si persegue, tra l’altro, l’ampliamento delle opportunità di finanziamento delle società alle quali è dato anche il vantaggio di non costituire una compagine sociale “ad hoc” per ogni attività di un certo rilievo. L’isolamento di un singolo affare può indurre i risparmiatori a valutarlo più sicuro rispetto all’insieme delle attività dell’ente. Inoltre, l’enucleazione di un patrimonio destinato permette l’emissione di strumenti finanziari di partecipazione all’affare.

L’articolo 55 (Affidamento concessioni relative a infrastrutture strategiche sulla base anche del progetto definitivo) è volto a prevedere la possibilità per l’affidamento delle concessioni per le opere di interesse strategico di porre a base di gara anche il progetto definitivo, mentre attualmente è previsto che possa essere posto a base di gara solo il progetto preliminare.
L’estensione tiene conto del maggior livello di dettaglio del progetto definitivo, anche ai fini della bancabilità dell’opera.

CAPO II “MISURE PER L’EDILIZIA”

L’articolo 56 (Norma nel settore edilizio) prevede la possibilità per i comuni di disporre la riduzione dell’IMU per gli immobili costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e gli immobili non siano in ogni caso locati. La riduzione è limitata comunque ad un periodo non superiore a tre anni dall’ultimazione dei lavori.
La proposta è volta a intervenire in un settore, oggi in forte crisi, come quello delle costruzioni attraverso una previsione fiscale di favore, anche se limitata a tre anni.

Articolo 57 (Ripristino IVA per cessione e locazione di abitazioni di nuova costruzione nonché per housing sociale). Attualmente, sulla base della normativa vigente, le cessioni di immobili destinati ad uso abitativo effettuate dalle imprese costruttrici, oltre i cinque anni dalla costruzione, sono esenti dall’imposizione di IVA; inoltre sono esenti anche la maggior parte delle locazioni di abitazioni effettuate da parte dei medesimi soggetti. Nell’attuale momento di crisi questo regime penalizza particolarmente le imprese costruttrici che non sempre riescono a cedere nei cinque anni dalla fine dei lavori le costruzioni realizzate, trovandosi così nella necessità di dover compiere operazioni di vendita esenti da IVA; questo determina l’impossibilità, per i costruttori, di poter portare a compensazione l’IVA a credito riferita all’acquisto dei beni e servizi correlati all’immobile, sostenuti ai fini della realizzazione dello stesso, considerato che l’IVA provvisoriamente portata in compensazione dovrà essere rimborsata nell’ipotesi in cui l’operazione finale non sia assoggettabile ad IVA. In tale ipotesi, la mancata “neutralità” dell’IVA produce un costo aggiuntivo per i costruttori in quanto gli stessi sono obbligati al rimborso a favore dello Stato delle detrazioni IVA di cui hanno beneficiato nel corso degli anni, per le costruzioni di immobili per i quali non si è conclusa la vendita in regime di imposizione IVA. Problema analogo si presenta nel momento in cui i costruttori intendano concedere in locazione gli immobili che abbiano costruito e che siano rimasti invenduti.
Con la proposta si intende inoltre estendere il beneficio della compensazione dell’IVA relativa alla cessione e alla locazione degli immobili per uso abitativo anche ai soggetti che operano nel settore dell’housing sociale, dal momento che le operazioni di cessioni di immobili, o locazione degli stessi, non sono, in base alla legge vigente, imponibili IVA e pertanto non si può portare a compensazione l’IVA a credito relativa agli immobili.
La proposta è tesa a rendere neutrale l’IVA e consentire alle imprese costruttrici di poter applicare, su opzione del cedente o del locatore, l’IVA nella vendita effettuata anche dopo cinque anni dall’ultimazione dei lavori nonché l’IVA agevolata del 10% nella locazione di abitazioni di nuova costruzione; in tal modo le imprese possono beneficiare delle relative detrazioni IVA, il cui impatto diviene neutrale. La proposta consente di liberare risorse delle imprese di costruzione per avviare nuovi investimenti. La proposta trova applicazione anche nei casi di housing sociale. Inoltre per le imprese che operano nel settore immobiliare si prevede di estendere anche alla cessione di immobili la possibilità di optare per la separazione dell’imposta relativa alle attività di gestione di unità abitative e di gestione di unità non abitative al fine di consentire di beneficiare della detrazione di IVA.
La proposta, per la sola parte relativa alla previsione dell’assoggettamento all’IVA, senza alcun limite temporale, delle cessioni di fabbricati effettuate dalle imprese costruttrici, consentirebbe alle imprese di costruzioni di vendere le unità immobiliari sul mercato senza penalizzazioni e permetterebbe quindi l’autofinanziamento delle stesse imprese. Si stima che si potrebbero liberare risorse per circa 840 milioni di euro all’anno, da destinare a nuovi investimenti in costruzioni con effetti positivi anche sui settori collegati alle costruzioni e sull’occupazione. In particolare si stima una ricaduta sul sistema economico pari a circa 3 miliardi di euro l’anno e un aumento dei livelli occupazionali, nel quinquennio su cui viene ad operare la norma, pari a 68.000 unità di cui 44.000 nelle costruzioni e 24.000 nei settori collegati.
La disposizione di cui al comma 1, lettera a), comporta maggiori oneri pari mediamente a 6 milioni di euro l’anno.
La disposizione di cui al comma 1, lettera b), comporta maggiori oneri pari mediamente a 41,2 milioni di euro annui.
Le disposizioni comportano complessivamente maggiori oneri pari mediamente a 47,2 milioni di euro l’anno.

L’articolo 58 (Semplificazione procedure Piano nazionale di edilizia abitativa) prevede di semplificare le procedure per giungere all’approvazione degli Accordi di programma da stipulare tra il Ministero e le Regioni in attuazione dell’articolo 4 del Piano nazionale di edilizia abitativa di cui al d.P.C.M. 16 luglio 2009, nonché per la rimodulazione di interventi e la per sottoscrizione di atti aggiuntivi, per la sopravvenienza di economie ovvero di nuove risorse finanziarie che si rendessero disponibili, ad accordi di programma già approvati.
Si ritiene, in particolare, che il nuovo iter procedurale, eliminando duplicazioni approvative mediante la previsione di un unico passaggio, contribuisca ad un avvio più sollecito degli interventi innescando, peraltro, ricadute positive sia sull’economia che sull’occupazione oltre a realizzare più celermente gli alloggi per dare risposte concrete al fabbisogno abitativo esistente nel Paese.
La previsione, poi, di ricorrere alla tempistica prevista dai commi 4 e 5 dell’articolo 41 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, consente di giungere più sollecitamente alla concreta attivazione dei programmi costruttivo anche al fine di tenere conto delle criticità attuative riscontrate dalla Corte dei Conti in sede di indagine conoscitiva del Piano nazionale di edilizia abitativa.

CAPO III “MISURE PER LA PORTUALITA’, L’AUTOTRASPORTO E L’AGRICOLTURA”

Articolo 59 (Extragettito IVA per le società di progetto per le opere portuali) Il decreto-legge n. 201 del 2011 ha modificato l’art. 18 della legge di stabilità 2012 prevedendo che il sistema di finanziamento delle infrastrutture mediante defiscalizzazione previsto per le opere autostradali, venisse esteso anche alle infrastrutture portuali appartenenti alla rete strategica transeuropea di trasporto essenziale (CORE TN-T NETWORK). Il presente articolo intende attribuire alle società di progetto, oltre ai benefici fiscali già previsti dal DL 201/2011, anche una percentuale del maggior gettito IVA generato dall’opera.
La corresponsione della quota di incremento del gettito IVA è assicurata alla società di progetto, direttamente dall’ufficio dell’agenzia delle Entrate, a partire dall’anno successivo a quello di entrata in esercizio dell’infrastruttura.
La norma proposta consente quindi di dare avvio anche nei porti ad opere infrastrutturali facendo ricorso a capitali privati sostituendo il contributo pubblico anche con parte dell’IVA generata dall’infrastruttura.
La norma non incide sui saldi di finanza pubblica in considerazione che l’alea dell’eventuale maggior gettito IVA, ricade integralmente sulla società di progetto.
Si prevede, infine, che con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, siano stabilite le modalità di accertamento, calcolo e determinazione dell’incremento di gettito di cui sopra, di corresponsione della quota di incremento del predetto gettito alla società di progetto, nonché ogni altra disposizione attuativa delle precedenti disposizioni.

Articolo 60 (Regime doganale delle unità da diporto). La modifica, apportata al comma 4, dell’articolo 36 del Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, consente alle navi da diporto non battenti bandiera nazionale o comunitaria di permanere stabilmente in ambito nazionale senza dover necessariamente procedere alla dismissione di bandiera ed alla conseguente iscrizione nei registri nazionali.
La sola modifica dell’articolo 36, operata attraverso l’esclusione dalla disciplina delle sole navi da diporto, consentirebbe però il solo “diporto puro” e cioè quello esercitato per scopi non commerciali. Pertanto, al fine di consentire l’utilizzo per finalità commerciali di navi da diporto battenti bandiera extracomunitaria si è proceduto, con il comma 2 ad una modifica dell’articolo 2, comma 3, del Codice della nautica da diporto, estendendo alle navi battenti bandiera extracomunitaria le procedure già previste per le navi non iscritte nei registri nazionali battenti bandiera comunitaria.

Articolo 61 (Anticipo recupero accise per autotrasportatori). Il DPR 9 giugno 2000, n. 277, “Regolamento recante disciplina dell’agevolazione fiscale a favore degli esercenti le attività di trasporto merci, a norma dell’articolo 8 della legge 23 dicembre 1998, n. 448”, prevede una riduzione degli oneri gravanti sugli esercenti l’attività di autotrasporto merci pari agli incrementi dell’aliquota di accise sul gasolio per autotrazione. Il credito derivante da tale riduzione può essere utilizzato dal beneficiario (purché non inferiore ad € 25) in compensazione o riconosciuto mediante rimborso della relativa somma, secondo le modalità previste dal medesimo regolamento.
Tale rimborso delle accise per gli autotrasportatori che utilizzano veicoli superiori alle 7,5 tonnellate, da ultimo è stato riconfermato anche dall’articolo 15 comma 4 del DL 201 del 6 dicembre 2011.
L’onere per le accise da rimborsare (189 euro per mille litri) si può stimare di circa 7.000 euro a camion all’anno e quindi rischia di diventare insostenibile soprattutto per le imprese più strutturate.
La modifica che si propone si rende opportuna, sia per equiparare la normativa italiana alla disciplina vigente in materia negli altri Paesi europei, sia per limitare l’esposizione finanziaria che gli aumenti delle accise  comportano in attesa del rimborso, che ad oggi non avviene prima di un anno. A ciò si aggiungano le difficoltà di cassa in cui versano tuttora le imprese di autotrasporto, che non riescono a recuperare tali incrementi sul mercato con conseguenze sull’intero sistema economico. Infatti, i recenti aumenti delle accise sul gasolio per autotrazione stanno mettendo a dura prova la tenuta del comparto, che ha già dovuto sopportare ulteriori rincari di altre voci di spesa (come assicurazioni e manutenzione dei veicoli), in un contesto economico che è tuttora al di sotto dei livelli antecedenti alla crisi.

L’articolo 62 (Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari) ha ad oggetto i contratti stipulati tra gli operatori della filiera agroalimentare con esclusione del consumatore finale ed assume carattere di urgenza in relazione alle numerose segnalazioni di pratiche commerciali sleali nella filiera agroalimentare, che rischiano di ampliarsi nei prossimi mesi in relazione alle condizioni di crisi economica ed i suoi riflessi in termini di calo dei consumi.
Obiettivo dell’articolo è salvaguardare i rapporti tra le parti da ipotesi dannose e da condizioni aleatorie che minano il buon andamento del sistema, a danno del contraente debole. Il sistema sanzionatorio introduce garanzie affinché nei rapporti negoziali vi siano condizioni di contrattazione prive di distorsione.
Il comma 1 specifica che i contratti aventi ad oggetto la cessione di beni agricoli ed alimentari devono essere conclusi, in coerenza con quanto previsto dal codice civile, in forma scritta.
Il comma 2 identifica le fattispecie di comportamenti considerati “sleali” e che pertanto, ai sensi della norma proposta, vengono vietati nelle relazioni commerciali tra operatori economici della filiera agroalimentare.
Inoltre il comma 3 del presente articolo integra ed estende la disciplina già introdotta, relativamente ai ritardi di pagamento per i prodotti alimentari deteriorabili, dall’art 4 comma 3 (decorrenza degli interessi moratori)  del d.lgs. 9 ottobre 2002 n. 231, Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i  ritardi di pagamento  nelle transazioni commerciali.
Il dlgs 231/02  aveva previsto che, per i contratti aventi ad oggetto la cessione di prodotti alimentari deteriorabili, di cui alla definizione dell’art 2 lettera f),  il pagamento del corrispettivo deve essere effettuato entro sessanta giorni dalla consegna o dal ritiro dei prodotti e che gli interessi decorrono automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine, con un saggio degli interessi maggiorato di due punti percentuali ed inderogabile. Con la norma viene ridotto da sessanta a trenta giorni il termine di pagamento per le cessioni avente oggetto i prodotti alimentari deteriorabili, di cui all’art 4 comma 3 del dlgs 231/02, e assicurata pari tutela nelle transazioni commerciali tra privati che riguardano prodotti alimentari non deteriorabili, introducendo per queste transazioni un termine di pagamento di sessanta giorni.
L’estensione della disciplina di cui al dlgs 231/02 si giustifica per esigenze di omogeneità nel settore, al fine di evitare che vi sia una discriminazione tra gli stessi operatori alimentari, che sono tra le categorie di imprenditori  maggiormente colpiti dai reiterati  ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali tra privati, con particolare riguardo ai rapporti tra le PMI e la GDO.
La definizione di prodotti alimentari deteriorabili di cui al comma 4 del presente articolo corrisponde a quella vigente attualmente, disciplinata dal Decreto del Ministro delle Attività produttive del 13 maggio 2003, di cui all’art 2 lettera f) del Dlgs 231/02. Dal 16 marzo 2013  la direttiva 2000/35/CE sarà abrogata a seguito dell’applicazione della direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Ne deriverà pertanto anche l’ abrogazione del dlgs 231/02, facendo così venire meno la base giuridica del predetto Decreto ministeriale del 2003.
Il mancato rispetto delle previsioni di cui ai commi 1, 2 e 3 determina l’applicazione di una sanzione amministrativa. L’Autorita’ Garante per la Concorrenza ed il Mercato e’ incaricata della vigilanza sull’applicazione delle presenti disposizioni e dell’irrogazione delle sanzioni ivi previste, anche avvalendosi del supporto operativo della Guardia di Finanza.
Le sanzioni pecuniarie sono riassegnate in ugual misura allo stato di previsione del MSE e del Mipaaf.  Tali risorse presso il MSE saranno destinate a  supportare il cofinanziamento di progetti ed iniziative a sostegno dell’informazione ed educazione dei consumatori in materia alimentare, attraverso il coinvolgimento delle associazioni di consumatori aderenti al CNCU, nonché per svolgere attività di monitoraggio, analisi, studio e  ricerca nel settore alimentare nell’ambito dell’Osservatorio unico delle Attività produttive, con particolare attenzione a supportare iniziative rivolte a monitorare la diffusione dell’innovazione tecnologica e non tecnologica nel settore, nonchè la valorizzazione dei risultati della ricerca pubblica, attraverso il coinvolgimento delle associazioni industriali di settore. Presso il Mipaaf, le risorse saranno destinate al finanziamento di iniziative di informazione al consumatore e di educazione alimentare

L’articolo 63 (Attivazione nuovi “contratti di filiera”) consente l’attivazione di un volume di investimenti nel settore agroalimentare (food e no-food) quantificabile in 250-300 milioni di euro. In considerazione della fase di crisi economica e dell’esigenza di rilancio degli investimenti, nonché del fatto che il settore agroalimentare attende l’attivazione di tale strumento da oltre 3 anni, tale intervento assume carattere d’urgenza.
L’articolo 1 della legge 3 febbraio 2011, n. 4, stabilisce che i contratti di filiera e di distretto, strumento per la realizzazione di investimenti produttivi a rilevanza nazionale nel settore agroalimentare e delle agroenergie, siano promossi dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico.
Il quadro regolamentare per l’attuazione dei nuovi contratti di filiera e di distretto è stato già da tempo predisposto con l’adozione del decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro dello sviluppo economico del 22 novembre 2007 che definisce i requisiti, le condizioni, e le altre modalità richieste per l’accesso ai finanziamenti agevolati, previsti dall’articolo 1, commi da 354 a 361 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 e l’approvazione comunitaria del regime di aiuti di Stato n. N 379/2008.
Per quanto riguarda le fonti di finanziamento, è disponibile uno stanziamento di 100 milioni di euro del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca (FRI) della Cassa Depositi e Prestiti (Delibera CIPE n. 101/2010) mentre è necessario trovare copertura per le risorse in conto capitale, inizialmente recate dal FAS e successivamente confluite nel Fondo strategico per il Paese a sostegno dell’economia reale.
La norma proposta consente di finanziare la quota in conto capitale, necessaria per l’attivazione del FRI, utilizzando i rientri per capitale e interessi dei mutui erogati da ISA S.p.A., per conto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, a favore dei contratti di filiera di cui al decreto ministeriale 1° agosto 2003.
Inoltre, in considerazione dei flussi previsti per i suddetti rientri, pari a circa 7 milioni di euro per anno, per il periodo compreso tra il 2014 e il 2020, si autorizza ISA ad anticipare le risorse in modo da garantire la copertura dei fabbisogni finanziari dei primi tre anni.

Articolo 64 (Attuazione dei programmi finanziati dal FEASR, dal FEP e della Decisione della Commissione Europea C(2011) 2929. La norma assicura la rapida e efficace attuazione della Decisione della Commissione Europea C(2011) 2929 che ha autorizzato l’attivazione del “fondo credito”. In considerazione della fase di crisi economica e dell’esigenza di rilancio degli investimenti delle imprese agricole, tale intervento assume carattere d’urgenza.
Obiettivo del Fondo è quello di offrire un ulteriore sostegno all’accesso al credito delle imprese  agricole, soprattutto in alcune aree del Paese, dove la carenza di liquidità deprime fortemente la capacità di accedere ai contributi per la realizzazione di investimenti cofinanziati da risorse comunitarie.
Il fondo è progettato per operare in sinergia con le Autorità di gestione dei Programmi di sviluppo rurale cofinanziati dall’Unione europea e con il sistema creditizio che, nel caso di specie, concorrerebbero alla valutazione del merito creditizio e al finanziamento delle operazioni proposte dai singoli imprenditori. L’erogazione dei finanziamenti, infatti, avviene attraverso il ricorso a banche. Lo schema di accordo-tipo tra Mipaaf, Ismea e singole Regioni ha già acquisito l’intesa della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie Autonome in data 21 dicembre 2011.
Il fondo, inoltre, può rappresentare un ulteriore strumento di supporto alle Amministrazione per una migliore modulazione della spesa ed una riduzione del rischio disimpegno a carico dei programmi cofinanziati dall’Unione europea.
L’iniziativa proposta dal MIPAAF è stata notificata alla Commissione europea, la quale ha approvato il metodo di calcolo dell’elemento di aiuto connesso ai finanziamenti agevolati erogati. Ottenuta tale approvazione, l’obiettivo è quello di procedere, in tempo utile per le prossime scadenze dei termini del disimpegno automatico (esercizio 2012 eseguenti), all’implementazione del fondo attraverso i necessari interventi, compresa la modifica dei Programmi di sviluppo rurale.

Articolo 65 (Impianti fotovoltaici in ambito agricolo).  Il settore agricolo è stato interessato negli ultimi anni da una rapida diffusione degli impianti fotovoltaici a terra con sottrazione di rilevanti aree a vocazione agricola. Di riflesso, tale fenomeno, ha determinato impatti rilevanti, e distorsivi, sul mercato degli affitti e sul’assetto paesaggistico-territoriale. Dalle evidenze emerse negli ultimi mesi, le restrizioni già introdotte dal D.lgs 28/2011, non risultano capaci di dare adeguata risposta al problema. Pertanto tale intervento assume carattere di urgenza, altresì, consentendo il rilancio degli investimenti e della competitività nel segmento degli impianti collocati sulle serre (ferma restando l’invarianza degli obiettivi indicativi di potenza installata e quindi del costo complessivo della tariffa).
Il decreto 28/2011 ha già limitato la possibilità di installare impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole, prevedendo che tali impianti possano essere realizzati a condizione che vengano rispettati determinati requisiti (non sia destinato all’installazione degli impianti più del 10 per cento della superficie del terreno agricolo nella disponibilità del proponente; la potenza nominale di ciascun impianto non sia superiore a 1 MW e, nel caso di terreni appartenenti al medesimo proprietario, gli impianti siano collocati ad una distanza non inferiore a 2 chilometri) nonché nei terreni abbandonati da almeno 5 anni. Si ritiene che tale possibilità debba essere eliminata al fine di evitare la destinazione ad altro utilizzo di terreni comunque potenzialmente destinabili alla produzione alimentare.
Il comma 2 chiarisce l’ambito di applicazione delle nuove disposizioni, prevedendo che queste non si applichino a chi abbia conseguito il titolo abilitativo entro la data di entrata in vigore del presente decreto o per i quali sia stata presentata richiesta per il conseguimento del titolo entro la medesima data, a condizione in ogni caso che l’impianto entri in esercizio entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Ovviamente, per tale ultima fattispecie, la richiesta di titolo abilitativo deve essere conforme alle norme vigenti prima dell’entrata in vigore della presente disposizione (quindi fermi restando i criteri di cui agli abrogati commi 4, 5 e 6 dell’articolo 10 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28).

Il 4° conto energia (decreto 5 maggio 2011 del Ministero dello sviluppo economico) prevede che le serre non siano considerate del tutto equiparate agli edifici ma che qualora le strutture fotovoltaiche costituiscano elementi costruttivi della serra, tali impianti hanno diritto al riconoscimento della tariffa intermedia tra “edifici” e “altri impianti”.
Si ritiene opportuno proporre un emendamento al fine di attribuire la tariffa massima alle serre in quanto il loro utilizzo a finalità anche energetica può contribuire al mantenimento delle attività aziendali nelle aree agricole attualmente penalizzate dalle condizioni economiche compresi i costi crescenti per l’approvvigionamento energetico.
In ogni caso l’attuazione del comma 4. mantiene inalterati gli obiettivi indicativi di potenza installata e i corrispondenti costi indicativi degli incentivi fissati dal decreto 5 maggio 2011.

Articolo 66 (Dismissione di terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola). L’articolo 7 della legge n. 183 del 2011 ha introdotto la disciplina per la dismissione dei terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola. Nel merito sono emersi immediatamente problemi legati alle modalità di esecuzione delle disposizioni (con il rischio di mancato raggiungimento delle finalità della norma) nonché il rischio di speculazioni legato alla durata troppo breve del vincolo di destinazione d’uso.
Pertanto la norma che si propone assume carattere d’urgenza ed interviene abrogando e riscrivendo l’articolo 7 della legge n. 183 del 2011 in tema di dismissioni dei terreni demaniali, con l’introduzione di un vincolo di destinazione ad uso agricolo ventennale ed efficaci modalità di attuazione.
Inoltre nelle procedure di dismissione dei beni di proprietà dello Stato aventi destinazione agricola e non utilizzabili per altri fini istituzionali, la norma prevede che tali beni possano formare oggetto delle operazioni fondiarie di cui all’articolo 4 della legge 15 dicembre 1998, n.441.
Si tratta di operazioni di acquisto o ampliamento di aziende realizzate per il tramite dell’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, Organismo Fondiario nazionale (ISMEA), rivolte a:
a) giovani agricoltori, che non hanno ancora compiuto i quaranta anni, in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale o di coltivatore diretto iscritti nelle relative gestioni previdenziali;
b) giovani che non hanno ancora compiuto i quaranta anni che intendono esercitare attività agricola professionale a condizione che acquisiscano entro ventiquattro mesi dall’operazione di acquisto o ampliamento la qualifica di imprenditore agricolo professionale o di coltivatore diretto e la iscrizione nelle relative gestioni previdenziali entro i successivi dodici mesi;
c) giovani agricoltori, che non hanno ancora compiuto i quaranta anni, che siano subentrati per successione nella titolarità di aziende a seguito della liquidazione agli altri aventi diritto delle relative quote, ai sensi dell’articolo  49  della  legge 3 maggio 1982, n. 203 .
A tali operazioni vengono estese le agevolazioni fiscali e le misure disposte del Titolo I Capo III del D.Lgs. 185/2000 in favore della nuova imprenditorialità in agricoltura, previste rispettivamente dai commi 3 e 4 del vigente articolo 4-quinquies del decreto-legge n. 78 del 2009 per le ipotesi di affitto.

Articolo 67 (Convenzioni per lo sviluppo della filiera pesca). Con tale articolo vengono semplificate le procedure per l’attuazione delle convenzioni tra le organizzazioni di rappresentanza del settore e la P.A. ampliandone il campo di operatività estendendolo all’assistenza tecnica alle imprese della pesca, nell’ambito delle azioni previste dalla PCP, ed alle azioni di agevolazione per l’accesso al credito. Ciò al fine di favorire la professionalizzazione e lo sviluppo del settore, valorizzare la multifunzionalità dell’impresa ittica e garantire uno sviluppo economicamente sostenibile alle imprese della filiera ittica.
Il settore non cresce, è in crisi perché fondamentalmente non crescono le sue imprese e per avviare un processo di sviluppo occorre mettere al centro dell’attenzione l’impresa ittica. Proprio per tale ragione è quanto mai necessario ed urgente l’avvio di un percorso in questa direzione. Si tratta di un processo auspicato anche dai soggetti istituzionali e riconosciuto indispensabile per la crescita e lo sviluppo del settore, ma mai attuato. Si sono accumulati ritardi che occorre colmare al più presto incominciando dall’affermazione di un principio.
La norma non prevede nuovi oneri a carico del bilancio per le seguenti ragioni.
Il Fondo per il credito peschereccio è stato istituito dall’art. 10 della L. 17 febbraio 1982, n. 41, oggi abrogata dall’art. 23 del D. Lgs n. 154/2004, per la concessione di mutui a tasso agevolato per iniziative di costruzioni, acquisto o ammodernamento di navi adibite alla pesca, alla lavorazione, alla trasformazione ed al trasporto dei prodotti della pesca; nonchè costruzioni, ampliamento, miglioramento o acquisto di spacci, magazzini, automezzi frigo, impianti a terra per la lavorazione dei prodotti della pesca, nonché impianti di acquacoltura.
Attualmente, il Fondo in questione, che si configura come gestione stralcio per effetto dell’art. 93, comma 8, L. 27 dicembre 2002, n. 289 – Legge Finanziaria per l’anno 2003 (che ha disposto la riconduzione al bilancio dello Sato delle gestioni fuori bilancio), riceve annualmente i rientri dei mutui per le rate di ammortamento dei finanziamenti concessi nell’ambito del credito peschereccio, che confluiscono sul conto corrente di contabilità speciale c/c 23511 acceso presso la Tesoreria centrale dello Stato intestato al Fondo centrale credito peschereccio.
Dal momento che la legge n. 41/1982 è stata abrogata e non vengono concessi nuovi mutui a valere sul fondo per il credito peschereccio, la presente proposta intende utilizzare le risorse disponibili per la realizzazione di obiettivi di rilancio e di sviluppo del comparto in linea con le finalità della politica comune della pesca
Tale norma non prevede nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

TITOLO III  “EUROPA”
CAPO I “ARMONIZZAZIONE DELL’ORDINAMENTO INTERNO”

Articolo 68 (Repertorio nazionale dei dispositivi medici) Al fine di risolvere la procedura di infrazione n. 2007/4516, avviata nei confronti dell’Italia e attualmente allo stadio di parere motivato, è necessario ed urgente apportare modifiche alla legge finanziaria 2006, innalzando dal 5 al 5,50 per cento il contributo a carico delle aziende che producono o commercializzano in Italia dispositivi medici ed eliminando il pagamento della tariffa di euro 100 per ogni registrazione effettuata nel repertorio dei dispositivi medici.

Articolo 69 (Dichiarazione preventiva in caso di spostamento del prestatore di servizi) Al fine di risolvere la procedura di infrazione n. 2010/2143, avviata nei confronti dell’Italia per il non corretto recepimento della direttiva 2005/36 relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, ed attualmente allo stadio di messa in mora, è apparso necessario ed urgente modificare il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206.
Come rilevato dalla Commissione, l’obbligo di preavviso imposto al prestatore transfrontaliero (30 giorni prima dell’inizio della prestazione di servizi che si intende svolgere, salvi i casi di urgenza) è in contrasto con l’articolo 7 della direttiva 2005/36/CE, che non prevede alcun termine per la dichiarazione preventiva.
La modifica normativa non ha alcun impatto dal punto di vista applicativo. Da un’indagine svolta presso le Autorità competenti risulta, infatti, che il rispetto del termine in questione non è mai stato oggetto di verifica e che il diritto dei prestatori a svolgere la loro attività in Italia in modo occasionale e temporaneo è riconosciuto anche quando la dichiarazione preventiva è stata presentata meno di trenta giorni prima dell’effettuazione della prestazione.

Articolo 70 (Aiuti de minimis a favore di piccole e medie imprese in particolari aree). L’articolo prevede la possibilità di destinare la dotazione di 90 milioni di euro di cui al Fondo istituito dall’articolo 10, comma 1-bis, del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39, convertito con modificazioni dalla legge di conversione 24 giugno 2009, n. 77 (fondo istituito nello stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e delle finanze per il finanziamento delle zone franche urbane) al finanziamento degli aiuti de minimis a favore delle piccole e medie imprese, come individuate dalla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione del 6 maggio 2003, localizzate nelle aree interessati da eventi calamitosi.

CAPO II  “DISPOSIZIONI PER L’ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA 2009/12/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO DELL’11 MARZO 2009 CONCERNENTE I DIRITTI AEROPORTUALI”

Articoli 71 (Oggetto e ambito di applicazione); 72 (Definizioni); 73 (Autorità nazionale di vigilanza); 74 (Reti aeroportuali); 75 (Non discriminazione); 76 (Determinazione diritti aeroportuali Consultazione); 77 (Trasparenza); 78 (Norme di qualità); 79 (Differenziazione dei servizi); 80 (Vigilanza sulla determinazione dei diritti aeroportuali per l’utilizzo delle infrastrutture e dei servizi in regime di esclusiva); 81 (Aeroporti militari aperti al traffico civile); 82 (Clausola di invarianza finanziaria).
Come noto, la direttiva 2009/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 marzo 2009, concernente i diritti aeroportuali, era stata inserita nell’allegato B alla Legge 4 giugno 2010, n. 96 “Legge comunitaria 2009″, che all’articolo 39 recava i criteri di delega per l’attuazione nonché il termine per il recepimento nell’ordinamento nazionale.
Orbene, essendo decorso inutilmente tale termine, con la conseguente decadenza della delega legislativa, si è reso necessario ed urgente, al fine di interrompere la procedura  d’infrazione avviata dalla Commissione europea – con il parere motivato notificato con nota prot. n. 11445 del n. 28 novembre 2011 – proporre le disposizioni di cui agli articoli 71-82, per l’attuazione  della direttiva in parola.
Si illustrano gli aspetti più rilevanti delle disposizioni proposte, premessa una breve disamina della normativa che disciplina il settore de quo.
Con la legge 5 maggio 1976, n.. 324, sono stati determinati i diritti di approdo, di partenza e  di sosta o ricovero per gli aeromobili e di imbarco per i passeggeri. L’articolo 11-nonies del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248 (c.d. legge sui requisiti di sistema) prevede che la misura dei diritti aeroportuali sia determinata, sulla base dei criteri stabiliti dal CIPE, con decreti interministeriali dei Ministri dei trasporti e dell’economia. Nei predetti decreti è fissata, altresì, la variazione annuale massima applicale ai diritti aeroportuali (tenuto conto di fattori quali l’inflazione programmata, l’obiettivo di recupero della produttività, gli ammortamenti dei nuovi investimenti e la remunerazione del capitale investito) che sono stabiliti nei contratti di programma, che l’ENAC sottoscrive con i gestori, approvati con decreto del Ministro dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.
I contratti di programma sono lo strumento attraverso il quale il concedente e il concessionario fissano:
-il piano di ammodernamento ed ampliamento delle infrastrutture aeroportuali da realizzare  nel quadriennio di vigenza dell’atto contrattuale;
-gli obiettivi annuali di qualità, di tutela ambientale  che sono imposti al gestore;
-la dinamica tariffaria che nel periodo oggetto del contratto assicura al concessionario l’integrale copertura dei costi sostenuti e l giusta remunerazione del capitale investito.
Si è ritenuto di individuare, nelle more dell’operatività dell’Autorità indipendente individuata ai sensi dell’articolo 37 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, l’Autorità nazionale di vigilanza, di cui all’articolo 11 della direttiva, nell’Ente nazionale per l’aviazione civile (ENAC), in ragione delle funzioni che l’Ente attualmente svolge in applicazione della normativa vigente:
-attività istruttoria e di regolazione in materia di tariffe, tasse e diritti aeroportuali;
-definizione e controllo del parametri di qualità dei servizi aeroportuali;
-esame, regolazione e valutazione dei programmi di interventi e dei piani di investimento aeroportuale;
-vigilanza sull’uniforme applicazione delle norme in materia di trasporto aereo.
La predetta Autorità provvede ai nuovi compiti avvalendosi della Direzione diritti aeroportuali, apposita struttura istituita in ambito ENAC, nei limiti della dotazione organica, finanziaria e strumentale disponibile all’entrata in vigore della direttiva 2009/12/CE, che opera con indipendenza di valutazione e di giudizio.
Le risorse per le spese di funzionamento della citata Autorità, conformemente a quanto previsto della direttiva (articolo 11, comma 5) in esame, sono reperite tramite un meccanismo di finanziamento che prevede l’imposizione di diritti a carico degli utenti dell’aeroporto e dei gestori.
La modalità del predetto finanziamento sono stabilite con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e previa istruttoria dell’ ENAC, che fissa la misura dei diritti aeroportuali finalizzata a finanziare i predetti costi.
La corresponsione di tali diritti avviene alle scadenze e con le modalità previste per il versamento dei canoni concessori.
Da quanto esposto, si evince chiaramente l’insussistenza di nuovi oneri a carico della finanza pubblica come espressamente rappresentato con la clausola di neutralità finanziaria di cui all’articolo 82. Infatti, i costi per il personale, le strutture e le attrezzature attualmente gravanti sul bilancio dell’ENAC, transiteranno su quello dell’istituenda struttura e saranno, quindi a carico degli utenti dell’aeroporto e dei gestori in forza del richiamato meccanismo di finanziamento.
E’ di tutta evidenza, pertanto, che l’istituzione dell’Autorità non avrà riverberi negativi sulla finanza pubblica ma, al contrario, comporterà per il futuro una diminuzione degli oneri attualmente gravanti sulla stessa.
Al fine della quantificazione della misura dei diritti per il finanziamento dell’istituenda Autorità, considerato che allo stato sulla base del vigente CCNL del personale ENAC, il costo annuo complessivo necessario per l’intera Direzione è stimabile in circa curo 2.400.000,00 e tenuto conto di un traffico passeggeri stimabile  in via prudenziale, in 140.000.000 di passeggeri per il 2011, si ritiene di potere indicare in circa euro 0,0171 a passeggero l’incremento dei costi a carico dell’utenza.
Per gli aeroporti militari aperti al traffico civile, la definizione dei diritti è effettuata sulla base di apposita convenzione con il gestore aeroportuale, tenendo conto dei costi e delle infrastrutture forniti dall’Aeronautica militare.

CAPO III “ALTRE MISURE DI ARMONIZZAZIONE”

Articolo 83 (Modifiche al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30) Al fine di adeguare la normativa nazionale a quella dell’Unione europea, così ottemperando alla procedura d’infrazione n. 2010/4188, avviata nei confronti dell’Italia ai sensi dell’ex articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea ed al momento allo stadio di messa in mora, è necessaria ed urgente l’abrogazione della norma del Codice della proprietà industriale – decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 – che impedisce la sollecita presentazione di una richiesta di autorizzazione all’immissione in commercio per prodotti medicinali generici, se protetti da un brevetto.
Articolo 84 (Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 28 maggio 2009, n. 107). La disposizione si rende necessaria ed urgente al fine di risolvere la procedura d’infrazione n. 2008/4387, attualmente allo stadio di parere motivato, con la quale la Commissione europea ha chiesto allo Stato Italiano di rendere conforme al diritto europeo l’intera normativa in materia di tasse portuali che gravano sul trasporto marittimo di cabotaggio, sia in arrivo che in partenza da porti italiani, come fissate dal DPR 28 maggio 2009, n. 107, articolo 1, comma 1.
Infatti in Italia gravano, sui soggetti interessati, maggiori tasse, quali ad esempio tassa di ancoraggio dovuta anche per le merci caricate in coperta o nelle sovrastrutture, non previste dalla normativa europea in materia.

Articolo 85 (Modifiche al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 211) La disposizione si rende necessaria ed urgente in quanto è volta a risolvere la procedura d’infrazione 2010/4212, attualmente allo stadio di costituzione in mora.
La Commissione europea ha, infatti, contestato all’Italia la scorretta applicazione della direttiva 2001/20 (direttiva sulla sperimentazione clinica) per quanto riguarda il cosiddetto “parere unico” sulle sperimentazioni cliniche. La normativa interna prevede una pluralità di interventi consultivi che vanificano la finalità di semplificazione e velocizzazione che, con la previsione del parere unico, la direttiva ha invece voluto perseguire.

Articolo 86 (Servizio di gestione automatizzata dei pagamenti e dei corrispettivi dovuti per le pratiche di motorizzazione) La norma si rende necessaria ed urgente al fine risolvere la procedura d’infrazione 2011/4079.
Già nel febbraio 2011, i servizi della Commissione europea avevano inviato all’Italia, via EU Pilot, una richiesta di informazioni avente ad oggetto la Convenzione conclusa, il 22 marzo 2004, tra il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Poste italiane S.p.A., per il servizio di gestione automatizzata dei pagamenti e dei corrispettivi dovuti per le pratiche di motorizzazione, in quanto, a giudizio della stessa Commissione, tale Convenzione si porrebbe in contrasto con gli articoli 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, perché non sussisterebbero le condizioni per un affidamento “in house”.
Sostanzialmente si contesta che, sulla base di quanto previsto all’articolo 4, comma 171, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, con la Convenzione è stato affidato in via esclusiva a Poste italiane il servizio citato.
Le autorità italiane hanno provveduto a rispondere alla Commissione facendo presente che la Convenzione non è un affidamento di appalto, ma la disciplina di una modalità di pagamento idonea a provvedere all’incasso e alla rendicontazione immediata della tariffa; che le caratteristiche peculiari del mezzo di pagamento (bollettino postale), sono assenti in altri strumenti di pagamento (ad es. bancari); che la diffusione degli uffici postali è capillare sul territorio; che con questo sistema non ci sono oneri aggiuntivi per lo Stato e che ci sarebbe corrispondenza tra il corrispettivo e i costi sostenuti da Poste.
Nonostante tali argomentazioni la Commissione, a giugno 2011, ha chiuso negativamente il caso preannunciando l’apertura di una procedura di infrazione, limitandosi peraltro a ripetere la contestazione iniziale.
Il 28 settembre 2011 la Commissione ha aperto la procedura d’infrazione, inviando all’Italia una lettera di messa in mora ex art. 258 TFUE.
Con l’intervento proposto, si sopprime il secondo periodo del comma 171 del citato articolo 4 della legge n. 350 del 2003, e si stabilisce che la Convenzione termina con il decorso del periodo di nove anni, quindi nel 2013, previsto dall’articolo 8, primo comma, della Convenzione medesima. Alla sua scadenza il Ministero provvede all’affidamento del servizio ai sensi dalla normativa europea.
L’intervento non comporta oneri in quanto le eventuali attività che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti debba svolgere nel caso non si possa far ricorso alla procedura di gara pubblica, saranno espletate con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Articolo 87 (Prestazione transfrontaliera di servizi in Italia dei consulenti in materia di brevetti). Con la norma in esame si eviterebbe l’avvio di una procedura d’infrazione da parte della Commissione europea, nei confronti dell’Italia, a seguito di un caso EU Pilot non chiuso, per la contestata restrizione della libera prestazione dei servizi degli agenti di brevetto.
In particolare, si prevede che i cittadini dell’Unione europea abilitati all’esercizio della medesima professione in un altro Stato membro possono essere iscritti all’albo nazionale.

Articolo 88 (Applicazione del regime ordinario di deducibilità degli interessi passivi per le società, a prevalente capitale pubblico, fornitrici di acqua, energia e teleriscaldamento, nonché servizi di smaltimento e depurazione). L’articolo 96 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, prevede che gli interessi passivi netti siano deducibili in misura pari al massimo al 30 per cento del risultato operativo lordo della gestione caratteristica, per tutte le società.
II comma 5 del medesimo articolo 96 esclude il predetto limite di deducibilità per una serie  di soggetti (banche e altri .soggetti finanziari, imprese di assicurazione e società capogruppo di gruppi bancari e assicurativi, società consortili costituite per l’esecuzione unitaria di lavori pubblici, società di progetto costituite ai sensi dell’art. 156 del Codice dei contralti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, società costituite per la realizzazione e l’esercizio di interporti merci, società il  cui capitale a sottoscritto prevalentemente da enti pubblici, che costruiscono o gestiscono impianti per la fornitura di acqua, energia e teleriscaldamento, nonché  impianti per lo smaltimento  e la depurazione), per le quali a previsto il regime di integrale deducibilità.
Tali società saranno soggette all’ordinario regime di deducibilità degli interessi passivi previsto dall’articolo 96 del TUIR.
La disposizione è necessaria ed urgente in quanto volta ad escludere la possibilità di procedere all’integrale deduzione degli interessi passivi inerenti all’attività d’impresa per quelle società, a prevalenza di capitale pubblico, che costruiscono o gestiscono impianti per la fornitura di acqua, energia e teleriscaldamento, nonché impianti per lo smaltimento e la depurazione. Si intende infatti superare le criticità evidenziate dalla Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (cfr. bollettino del 15 ottobre 2008, n, 34), che aveva segnalato come il limitare l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’articolo 96 del TUIR. alle società a prevalente partecipazione pubblica operanti nei settori citati determinasse il verificarsi di una “ingiustificata discriminazione a sfavore di tutte le imprese private” operanti negli stessi settori, tale da “ridurre la capacita competitiva delle imprese private”, nonché della Commissione europea (aiuto di Stato SA. 31326).
In particolare, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha  sostenuto che nel caso della costruzione o gestione di impianti per la fornitura di acqua, energia e teleriscaldamento, nonché  di impianti per lo smaltimento  e la depurazione, la limitazione del beneficio dell’ esenzione dalla deducibilità parziale degli interessi passivi alle sole società il cui capitate sia sottoscritto prevalentemente da enti pubblici, introduce una differenziazione del costo del capitale di debito a seconda che la società, che si sia indebitata per costruire o gestire impianti per la fornitura di energia ed altri servizi, sia o meno prevalentemente di proprietà pubblica.
L’Autorità ritiene che tale differenziazione rappresenti un’ingiustificata discriminazione a sfavore di tutte le imprese private operanti nella costruzione o gestione di impianti per la fornitura di acqua., energia e teleriscaldamento, nonché di impianti, per lo smaltimento e la depurazione, in concorrenza attuale potenziale con società il cui capitale sociale sia detenuto prevalentemente da uno o più  Comuni o altri enti locali.

Articolo 89 (Esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 17 novembre 2011, causa C-496/09).  Con sentenza del 17 novembre 2011, resa nella causa C-496/09, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha condannato la Repubblica Italiana a versare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie dell’Unione europea», una somma forfettaria di 30 milioni di euro (oltre ad una penalità di mora connessa all’eventuale persistenza dell’inadempimento), per non avere integralmente eseguito la precedente sentenza del 1° aprile 2004, causa C99/02, relativa al recupero, presso i beneficiari, degli aiuti di Stato illegali concessi per l’assunzione di lavoratori mediante contratti di formazione e lavoro, oggetto della decisione della Commissione europea 11 maggio 1999, 2000/128/CE.
Con la disposizione in esame, l’obbligo di pagamento – il cui termine andrà a spirare il 21 gennaio 2012 – è stato posto a carico dell’INPS, che ha gestito la procedure amministrative e contenziose nazionali connesse all’esecuzione della decisione di recupero.

L’articolo 90 (Interventi per favorire l’afflusso di capitale di rischio verso le nuove imprese), mediante modifiche all’articolo 31 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, è finalizzato a favorire l’afflusso di capitale di rischio verso le imprese italiane. A questo scopo, è previsto, in particolare, che le società destinatarie dei c.d. “Fondi per il Venture Capital” (FVC) debbano avere sede operativa in Italia e le relative quote od azioni debbano essere direttamente detenute, in via prevalente, da persone fisiche.

Articolo 91 (Modifiche alla disciplina del trasferimento all’estero della residenza fiscale dei soggetti che esercitano imprese commerciali. Procedura d’infrazione n. 2010/4141) Con la procedura d’infrazione 2010/4141 (costituzione in mora ex art. 258 TFUE del 24 novembre 2010) la Commissione europea contesta l’imposizione da parte italiana di un’imposta sulle plusvalenze ancora latenti quando l’impresa italiana trasferisce la propria sede in un altro Stato membro dell’UE.
L’articolo, è diretto ad adeguare l’articolo 166 del testo unico delle imposte dei redditi, approvato con DPR 22 dicembre 1986, n. 917, oggetto delle censure della Commissione, prevedendo che  soggetti che trasferiscono la residenza, ai fini delle imposte sui redditi, in Stati appartenenti all’Unione europea ovvero in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo, con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo sulla reciproca assistenza in materia di riscossione dei crediti tributari comparabile a quella assicurata dalla direttiva 2010/24/UE del Consiglio del 16 marzo 2010, in alternativa a quanto stabilito al comma 1, possono richiedere la sospensione degli effetti del realizzo dei componenti dell’azienda o del complesso aziendale, in conformità ai principi sanciti dalla sentenza 29 novembre 2011, causa C-371-10, National Grid Indus BV.

Articolo 92 (Tutela procedimentale dell’operatore in caso di controlli eseguiti successivamente all’effettuazione dell’operazione doganale). L’articolo, prevedendo un adeguamento alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, del 17 giugno 2010, resa nella causa C-423/08, è volto a sanare la procedura di infrazione 2005/2117 in materia di riscossione a posteriori e accreditamento delle risorse proprie comunitarie. In sostanza si prevede una tutela procedimentale dell’operatore in caso di controlli eseguiti successivamente all’effettuazione dell’operazione doganale, in particolare i termini per l’esercizio del “diritto ad essere ascoltati” vengono differenziati, 30 giorni in luogo di 60, in funzione del corrispondente termine in corso di stabilimento a livello comunitario.
Il “diritto ad essere ascoltati”, prima dell’adozione di un provvedimento dell’autorità doganale, è stato codificato nell’articolo 16, comma 4, del Regolamento CE n. 450/2008, recante “Codice doganale comunitario aggiornato”.

Articolo 93 (Preclusione all’esercizio della rivalsa al cessionario o committente dell’imposta pagata in conseguenza di accertamento o rettifica). Con la procedura d’infrazione 2011/4081 (costituzione in mora del 24 novembre 2011), relativa alla rettifica dell’IVA fatturata, la Commissione solleva dubbi sulla compatibilità dell’articolo 60, comma 7, del DPR 633/72 con il diritto UE, quale interpretato dalla Corte di Giustizia. In particolare, la Commissione contesta la legittimità della previsione del citato comma 7 laddove stabilisce che “il contribuente non ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta pagata, in conseguenza dell’accertamento o della rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi”.
L’articolo, prevedendo per il contribuente il diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi, sana la procedura d’infrazione.

Articolo 94 (Domanda di sgravio dei diritti doganali). La norma consente il ricorso giurisdizionale alla Commissione Tributaria (attualmente non previsto) avverso i provvedimenti di diniego di rimborso, di sgravio o di non contabilizzazione a posteriori dei dazi doganali adottati dall’autorità doganale anche nelle ipotesi in cui la fattispecie sia stata trasmessa alla Commissione per la decisione di competenza.

Articolo 95 (Modifiche alla unificazione dell’aliquota sulle rendite finanziarie). Operando le opportune modifiche all’articolo 2 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla legge n. 148/2011, si prevede:
lett. a) la soppressione dell’esclusione dell’applicazione dell’aliquota al 20% sui redditi di capitale e sui redditi diversi di natura finanziaria. Soppressione necessaria per evitare dubbi interpretativi, in quanto l’indicazione dell’ambito oggettivo della norma è già specificato nella norma stessa;
lett. b): il mantenimento della tassazione all’11 per cento su Fondi pensione UE e Stati SSE-white list (proc. d’infraz.2004/4094);
lett. c): l’applicazione dell’aliquota al 12,50 per cento su proventi di pronti conto termine su titoli pubblici emessi da Stati esteri (principio di accessorietà);
lett. d) l’abrogazione della norma che prevede che sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e dei titoli similari maturati fino al momento dell’anticipato rimborso, è dovuta dall’emittente una somma pari al venti per cento, qualora il rimborso abbia luogo entro diciotto mesi dall’emissione.

L’articolo 96 (Residenza OICR) interviene sul Regime IRES degli organismi di investimento collettivo del risparmio, prevedendo, mediante modifiche all’articolo 73 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986,  n. 917:
alla lettera a): l’estensione del regime IRES agli organismi di investimento collettivo del risparmio, residenti nel territorio dello Stato;
alla lettera b): il regime della residenza nel territorio dello Stato per gli organismi di investimento collettivo del risparmio;
alla lettera c): l’ esenzione dal regime IRES per OICR il cui fondo o il soggetto incaricato della gestione sia sottoposto a forme di vigilanza prudenziale.

Articolo 97 (Modifiche al decreto-legge 25 settembre 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 409, nonché al decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286). La proposta si rende necessaria in quanto il Regolamento (CE) 44/2009 del Consiglio dell’Unione Europea del 18.12.2008 ha apportato significative modifiche al Regolamento (CE) 1338/2001 che definisce talune misure necessarie alla protezione dell’Euro contro la falsificazione, elevando gli standard qualitativi del framework di controllo sull’autenticità dell’Euro e prevedendo, tra l’altro, che tutti gli operatori istituzionali che partecipano alla gestione e alla distribuzione al pubblico di banconote e monete hanno l’obbligo di assicurarsi della loro autenticità e idoneità, all’atto della reimmissione in circolazione.
A seguito dell’entrata in vigore del primo dei predetti atti comunitari, la Banca Centrale Europea ha elaborato la Decisione BCE/2010/14 del 16.9.2010 e il Parlamento Europeo e il Consiglio hanno emanato il Regolamento (UE) 1210/2010 del 15 dicembre 2010 – rispettivamente con riguardo a banconote e monete –  con i quali vengono ridefinite e delineate le modalità relative ai controlli di autenticità ed idoneità delle banconote e monete denominate in Euro ed al loro ricircolo.
La revisione della normativa europea comporta, conseguentemente, la necessità di procedere – con ogni possibile urgenza stante l’immediata cogenza della medesima normativa – ad adeguare anche quella nazionale costituita, a livello primario, dall’art. 8 del decreto legge 25.9.2001, n.350, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 409, e dai commi 151, 152 e 153 dell’art. 2 del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286.
La modifica proposta è finalizzata a disciplinare le modalità di trasmissione di banconote e monete denominate in Euro sospette di falsità o non idonee alla circolazione alla Banca d’Italia e all’IPZS, nonchè la trasmissione dei relativi dati e informazioni al Ministero dell’Economia e delle Finanze.
In merito a quest’ultimo aspetto, il decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, ha previsto, per gli intermediari finanziari, con riferimento alle banconote e alle monete sospette di falsità, l’obbligo di trasmissione al Ministero dell’Economia e delle Finanze dei dati relativi ai casi di sospetta falsità “per via telematica”; inoltre, ha stabilito che il passaggio alla nuova modalità di trasmissione fosse disciplinato dalla Banca d’Italia – per quel che concerne le banconote – e dal Ministro dell’Economia e delle Finanze – per le monete – senza però nulla innovare con riferimento al riparto delle competenze reciproche già previsto dall’articolo 8, comma 2, del decreto legge n. 350/2001.
Ciò ha portato la Banca d’Italia a manifestare alcune perplessità in ordine ai propri compiti e competenze nella specifica materia: infatti, essendo la gestione della modalità di invio di dati e informazioni sui casi di sospetta falsità a cura sia del Ministero dell’Economia e delle Finanze che della Banca d’Italia, quest’ultimo Istituto si è trovato a dover regolamentare un’attività che non rientra nelle proprie competenze, dovendosi esso occupare unicamente della modalità di trasmissione delle banconote sospette di falsità e non anche della trasmissione dei relativi dati e informazioni al Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Conseguentemente, la novella normativa pone definitivamente rimedio a questo problema, conferendo unicamente in capo al Ministero dell’Economia e Finanze le modalità di attuazione della trasmissione di dati e informazioni relativi al ritiro dalla circolazione di banconote e monete metalliche in euro sospette di falsità. Inoltre, vengono previste sanzioni amministrative pecuniarie in caso di violazione dell’obbligo di trasmissione dei predetti dati e informazioni.
La modifica normativa proposta disciplina anche la competenza della Banca d’Italia e del Coin National Analysis Centre-CNAC istituito presso l’IPZS – rispettivamente con riguardo a banconote e monete – per quanto concerne i controlli sui gestori del contante e i test sulle apparecchiature utilizzate dagli stessi per il trattamento di banconote e monete.
Quale elemento innovativo, è stata prevista la possibilità per la Banca d’Italia di avvalersi, anche sulla base di appositi protocolli d’intesa all’uopo stipulati, della collaborazione della Guardia di Finanza per l’espletamento dei controlli nei confronti dei gestori del contante.
A ciò è da aggiungere che l’approvazione di tale proposta emendativa costituisce l’ultimo tassello necessario all’entrata in funzione del nuovo sistema informativo di rilevazione delle frodi Euro (SIRFE), del quale è già stata ultimata la realizzazione dell’architettura informatica ed è attualmente in fase di test, creata proprio in applicazione delle citate disposizioni recate dal decreto legge n. 262 del 2006.
Il provvedimento, fissando un quadro trasparente di regole e di controlli, applicabile a tutti gli operatori coinvolti nei servizi di trattamento del contante (banche, Poste, società di servizi, altri gestori), appare essenziale al fine di favorire una sana concorrenza su tale mercato, migliorandone il funzionamento e accrescendone l’efficienza a beneficio sia degli stessi operatori, sia degli utenti, segnatamene i cittadini che utilizzano il contante.
Si segnala inoltre che la modifica normativa proposta, già concordata con la Banca d’Italia, è stata regolarmente sottoposta al preventivo parere della Banca Centrale Europea, rilasciato con esito positivo il 18 novembre 2011, Parere della BCE in materia di protezione contro la falsificazione e di conservazione  della qualità del contante in circolazione (CON/2011/94).
All’attuazione della proposta si provvederà senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato e le amministrazioni competenti procederanno alle modifiche previste con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

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